giovedì 31 gennaio 2013

non è previsto progettista attesti qualificazione mediante l’apposizione del timbro

la normativa di gara non prevedeva che il progettista dovesse attestare la sua qualificazione mediante l’apposizione del timbro


Il raggruppamento composto dalle odierne appellanti è stato escluso dalla gara di cui al punto 1 che precede perché gli elaborati tecnici progettuali non sarebbero stati sottoscritti da progettisti abilitati ed iscritti ai rispettivi ordini professionali, in violazione di quanto disposto dal disciplinare di gara a pag. 9 V.3 lett. c.
Le appellanti rilevano che i suddetti elaborati sono stati sottoscritti dal rappresentante legale della mandante il quale è architetto iscritto all’albo tenuto dall’Ordine degli architetti di Roma; la mancanza – pacifica in fatto – del timbro comprovante tale qualità costituirebbe mera irregolarità che, a tutto voler concedere, legittimerebbe l’esperimento della procedura di cui all’art. 46 del d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163.
La tesi delle appellanti deve essere condivisa.

Invero, la normativa di gara non prevedeva che il progettista dovesse attestare la sua qualificazione mediante l’apposizione del timbro.
Di contro, deve essere rilevato come non sia controverso il fatto che il firmatario degli elaborati tecnici del raggruppamento delle appellanti sia in possesso della necessaria qualificazione professionale.
In sostanza, quindi, il problema si riduce quindi nello stabilire se la mancanza del timbro comporti la conseguenza che il professionista firmatario non si assuma la responsabilità professionale relativa agli elaborati tecnici che sottoscrive.
Ritiene il Collegio che nel caso concreto il quesito debba trovare risposta negativa.
Invero, il professionista di cui si tratta ha sottoscritto degli elaborati sicuramente riconducibili all’esercizio della sua professione nell’ambito di un procedimento per il quale era espressamente richiesto, appunto, la suddetta qualificazione; oltre tutto il firmatario degli atti in questione è il rappresentante legale e direttore tecnico di una delle società partecipanti, per cui il contenuto della normativa di gara, ed il significato del proprio impegno, non potevano essergli ignoti.
Di conseguenza, la pur apprezzabile esigenza di chiarezza che ha ispirato l’azione dell’Amministrazione doveva essere perseguita con lo strumento di cui all’art. 46 del d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163, imponendo al raggruppamento delle appellanti di chiarire se il firmatario degli elaborati tecnici si è assunto la relativa paternità, e conseguente responsabilità, professionale, eventualmente anche imponendo di presentare nuova copia degli stessi elaborati recante la sottoscrizione autografa ed il timbro del professionista.
L’impugnazione proposta dalle appellante deve quindi essere accolta, annullando per l’effetto la loro esclusione dal procedimento di cui si tratta, con gli atti conseguenti

a cura di Sonia Lazzini

decisione  numero 264  del 17 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

niente risarcimento equivalente_ricorrente ha favorito prodursi danno non impugnando successivi atti

Resta infine da esaminare la domanda di risarcimento danni per equivalente._Per i lotti dove è stata accolta la domanda di aggiudicazione e di subentro (v. sub 10.3.), la tutela in forma specifica è assorbente oltre che in teoria del tutto satisfattiva della pretesa di Controinteressata.
Per i lotti dove Controinteressata non ha superato la prova di resistenza, l’esito negativo del giudizio prognostico sulla spettanza della pretesa (v. Cass. sez. un. n. 500/1999) comporta l’infondatezza anche della domanda risarcitoria.
Per i lotti dove la domanda di annullamento è stata dichiarata improcedibile per mancata impugnazione dell’aggiudicazione, il venir meno della pregiudizialità impugnatoria permetterebbe di esaminare la domanda risarcitoria.

Tuttavia la domanda è chiaramente infondata in punto di danno, per non avere Controinteressata impedito il prodursi del danno non impugnando i successivi atti di gara (v. art. 124 co. 2 c.p.a.) e per non avere dimostrato quale danno abbia davvero sofferto, non essendo più ammissibile il semplice richiamo al criterio forfettario del 10% della base d’asta, occorrendo piuttosto la prova dell’utile che sarebbe derivato dall’esecuzione del contratto (cfr. Cons. St., sez. V, n. 842/2009 e n. 5098/2008; Tar Lombardia, Milano, sez. I, n. 1243/2009).

a cura di Sonia Lazzini

 decisione  numero 481  del 25 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

art. 12 d.l. 52_2012 vale tenere fermi effetti procedure già chiuse o ancora pendenti al 9_5_2012

si reputa che l’art. 12 del d.l. 52/2012 valga a tenere fermi gli effetti delle procedure già chiuse o di quelle ancora pendenti, dove le buste siano state già aperte alla data del 9.5.2012, sebbene ciò sia avvenuto in seduta riservata; e che tale soluzione di diritto transitorio sia immune da vizi di costituzionalità o di incompatibilità comunitaria


l’art. 12 del d.l. 52/2012, nel recepire la tesi di fondo della Plenaria – per cui la commissione giudicatrice deve procedere in seduta pubblica anche all’apertura della busta che contiene l’offerta tecnica, al fine di consentire a tutti i concorrenti di avere contezza della regolarità e completezza della documentazione prodotta - ha novellato gli artt. 120 e 283 del d.p.r. 207/2010 che, prima di allora, non contenevano una previsione espressa in tal senso.
Nel fare questo, nel riconoscere che i plichi contenenti le offerte tecniche debbono essere aperti in seduta pubblica, il legislatore (nel testo modificato dalla legge di conversione 6.7.2012, n. 94) ha specificato che tale regola vale “anche per le gare in corso ove i plichi contenenti le offerte tecniche non siano stati ancora aperti alla data del 9 maggio 2012”.

Da qui, in una disposizione nata per suggellare la fine di una disputa interpretativa, il sorgere, per una non infrequente eterogenesi dei fini, di nuovi dubbi interpretativi, sulla portata della novella legislativa e, soprattutto, sui suoi effetti nei confronti delle gare già bandite e ancora in corso.
In breve, si confrontano, nella giurisprudenza di primo grado, due tesi: quella che vede nell’art. 12 (nulla più che) la positivizzazione dell’interpretazione accolta dalla Plenaria (Tar Lazio, Roma, III, n. 6190/2012; Tar Campania, Napoli, I, n. 2751/2012) e quella che, invece, vi scorge una sorta di sanatoria dei procedimenti di gara nei quali l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche si sia svolta in seduta riservata (Tar Umbria, n. 274/2012). Dove la seconda tesi muove dalla premessa, più o meno esplicitata, che l’indirizzo accolto dalla Plenaria 13/2011 fosse in precedenza incerto, se non addirittura minoritario, e dal conseguente timore che un simile mutamento della giurisprudenza possa comportare, in concreto, la caducazione per vizi procedimentali di un numero significativo di gare, che andrebbero rinnovate, con costi amministrativi ed economici significativi.
Questa Sezione (v. sempre n. 6714/2012 cit.) ha considerato come il legislatore abbia avvertito l’esigenza di intervenire, non per riaffermare il precedente indirizzo prevalente, sulle modalità di apertura delle buste dell’offerta tecnica, ma neppure solamente per codificare il nuovo orientamento giurisprudenziale, quanto, invece, per disciplinare (anche, se non soprattutto) gli effetti del mutamento sui procedimenti di gara ancora in corso, facendosi carico dei delicati problemi di diritto transitorio.
Ciò - deve ritenersi – oltre che per contenere gli oneri amministrativi ed economici della caducazione altrimenti inevitabile di centinaia di gare, anche a tutela dell’affidamento di quanti abbiano partecipato alla selezione confidando nella applicazione di regole procedimentali che, nella maggior parte dei casi, prima del pronunciamento della Plenaria 13/2011, prevedevano l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche in seduta riservata.
Da qui la convinzione che alle disposizioni dell’art. 12 del d.l. 52/2012 non possa riconoscersi una portata meramente ricognitiva ma che ad esse debba attribuirsi la funzione di salvaguardare gli effetti delle procedure già concluse alla data del 9.5.2012 o, se ancora pendenti, nelle quali si sia comunque già
Si tratta di una soluzione normativa, chiaramente transitoria o per meglio dire ad esaurimento, della cui legittimità costituzionale e comunitaria la Sezione non ritiene di poter dubitare, per almeno due ragioni.
La prima ragione è che ad oggi il principio di pubblicità, invocato a fondamento del nuovo indirizzo interpretativo, non si è tradotto, nelle direttive comunitarie, in disposizioni specifiche sulla pubblicità delle sedute di gara; nel senso quindi che l’Adunanza Plenaria ha declinato tale principio nella sua più ampia latitudine pratica ma non è detto che tale soluzione estensiva potesse considerarsi “obbligata” secondo il diritto dell’Unione europea.
La seconda ragione è che il principio di pubblicità, per quanto generale e cogente lo si intenda (come conferma la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 31/2012), deve essere bilanciato con principi di rango almeno equivalente tra i quali il diritto europeo annovera quello dell’affidamento incolpevole. Da riferire, nel caso di specie, tanto alla stazione appaltante quanto, ancora di più, all’impresa aggiudicataria della gara che legittimamente può avere confidato sulla vigenza di determinate regole procedimentali.
In conclusione si reputa che l’art. 12 del d.l. 52/2012 valga a tenere fermi gli effetti delle procedure già chiuse o di quelle ancora pendenti, dove le buste siano state già aperte alla data del 9.5.2012, sebbene ciò sia avvenuto in seduta riservata; e che tale soluzione di diritto transitorio sia immune da vizi di costituzionalità o di incompatibilità comunitaria
a cura di Sonia Lazzini

 decisione  numero 482  del 25 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

confronto a coppie non vi è obbligo di motivare punteggi attribuiti dai commissari

laddove – come nel caso di specie- il metodo di valutazione delle offerte sia quello del c.d. “confronto a coppie”, la motivazione aritmetica è ben sufficiente e non richiede alcun supplemento motivazionale in quanto emerge con chiarezza la preferenza accordata all’uno piuttosto che all’altro elemento

(ex multis: “nelle gare d'appalto, una volta accertata la correttezza dell'applicazione del metodo del confronto a coppie ovvero quando non ne sia stato accertato l'uso distorto o irrazionale, non c'è spazio alcuno per un sindacato del Giudice Amministrativo nel merito dei singoli apprezzamenti effettuati ed in particolare sui punteggi attribuiti nel confronto a coppie, che indicano il grado di preferenza riconosciuto ad ogni singola offerta in gara, con l'ulteriore conseguenza che la motivazione delle valutazioni sugli elementi qualitativi risiede nelle stesse preferenze attribuite ai singoli elementi di valutazione considerati nei raffronti con gli stessi elementi delle altre offerte” -Cons. Stato Sez. V, 28-02-2012, n. 1150 -;

“nel caso in cui un bando abbia indicato criteri valutativi dettagliati e adeguati rispetto allo specifico oggetto del contratto messo a gara, e qualora la commissione giudicatrice abbia previamente individuato correlativi criteri motivazionali, con successiva comparazione delle offerte segnalandone i pregi e i difetti, allora non vi è alcun bisogno di integrare, sul piano motivazionale i punteggi attribuiti dai commissari con il metodo del confronto a coppie, dal momento che detti punteggi si limitano a esprimere le varie preferenze accordate, le quali, costituendo il precipitato dei criteri prestabiliti e delle analisi preliminari compiute, si sottraggono all'obbligo di una specifica, ulteriore motivazione.” - Cons. Stato Sez. V, 05-03-2010, n. 01281 -; “e' legittima la valutazione resa in termini numerici da una commissione giudicatrice qualora il relativo bando di gara, prevedendo lo svolgimento di siffatta attività mediante il metodo del cd. "confronto a coppie", attribuisca valenza di motivazione al grado di preferenza che ogni commissario attribuisce a ciascuna offerta nel raffronto con le altre.”-T.A.R. Marche Ancona Sez. I, 10-05-2012, n. 320 -)

a cura di Sonia Lazzini

decisione  numero 341  del 21 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

obbligo ati orizzontali e verticali indicare rispettive quote partecipazione e esecuzione

l’obbligo di indicare nell’offerta le parti della fornitura che le singole imprese dell’associazione devono eseguire, non integra un mero formalismo, essendo l’unica forma di assunzione di impegno nei confronti della stazione appaltante.
Tale obbligo è ancor più pregnante, ove si tratti, come nel caso, di associazione non ancora costituita, atteso che, diversamente, la stazione appaltante non potrebbe conoscere in sede di offerta l’impegno delle singole imprese nell’esecuzione delle prestazioni.
Come rilevato da ultimo dalle sentenze del Consiglio di Stato, Adunanza plenaria n. 22 del 13 giugno 2012 e n. 24 del 2012, relative al settore dei servizi, l’obbligo di tutti i raggruppamenti siano orizzontali che verticali di indicare già in sede di offerta le rispettive quote di partecipazione e di esecuzione, trova ragione in una pluralità di motivi di natura sistematica e teleologica che sono incentrati sulla natura giuridica di tali soggetti.

L’aggregazione economica di potenzialità organizzative e produttive per la prestazione oggetto dell’appalto, connotante l’istituto delle associazioni di imprese, non dà luogo alla creazione di un soggetto autonomo e distinto dalle imprese che lo compongono, né ad un loro rigido collegamento strutturale, per cui grava su ciascuna impresa, ancorché mandante, l’onere di documentare il possesso dei requisiti di capacità tecnico - professionale ed economico - finanziaria richiesti per l’affidamento dell’appalto. Tanto al fine di evitare l’esecuzione di quote rilevanti dell’appalto da parte di soggetti sprovvisti delle qualità all’uopo occorrenti e per consentire alla stazione appaltante l’accertamento dell’impegno e dell’idoneità delle imprese, indicate quali esecutrici, a svolgere effettivamente le ‹‹parti›› di servizi indicate, in particolare consentendo la verifica della coerenza dell’offerta con i requisiti di qualificazione, e dunque della serietà e dell’affidabilità dell’offerta.
Ne consegue che l’offerta contrattuale, che non contiene la specificazione delle quote dei servizi che saranno eseguite dalle singole imprese associande o associate, deve ritenersi parziale e incompleta, non permettendo di ben individuare l’esecutore di una determinata prestazione nell’ambito dell’a.t.i., e rimanendo dunque indeterminato il profilo soggettivo della prestazione offerta.
Le esigenze di controllo e di trasparenza si pongono maggiormente nei raggruppamenti a struttura orizzontale, dove tutti gli operatori riuniti eseguono il medesimo tipo di prestazioni, per cui, in difetto di specificazione è preclusa una verifica in ordine alla coerenza dei requisiti di qualificazione con l’entità delle prestazioni dalle stesse assunte e ciò anche per impedire che il raggruppamento sia utilizzato non per unire le rispettive disponibilità tecniche e finanziarie, ma per aggirare le norme di ammissione stabilite dal bando e consentire così la partecipazione di imprese non qualificate, con effetti negativi sull’interesse pubblico.

a cura di Sonia Lazzini

decisione  numero 436  del 24 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

è ammessa in tempi brevi la verbalizzazione unica successiva allo svolgersi delle sedute

L'art. 78 del Codice dei contratti pubblici non prevede in nessun caso la necessità né l'obbligatorietà della verbalizzazione analitica di ogni singola seduta, sicché il principio di analiticità e tempestività della verbalizzazione non può significare anche contestualità di esternalizzazione dell'attività svolta dalla Commissione.
Se infatti la verbalizzazione consiste nella redazione di un documento che riassume con maggiore o minore analisi taluni fatti accaduti e constatati nella loro storicità, ciò non significa che, al termine di ogni seduta, esso debba essere redatto, approvato e quindi sottoscritto.
La verbalizzazione successiva allo svolgersi delle sedute è ammessa anche dalla giurisprudenza, purché sopravvenga in tempi idonei ad evitare l'insorgenza di errori od omissioni nella ricostruzione sia dei fatti che dell' iter valutativo percorso dalla Commissione (T.A.R. Trento Trentino Alto Adige sez. I, 16 luglio 2012, n. 241).
E’ stato affermato, a tale riguardo, che “non è carente la verbalizzazione delle attività svolte dalla Commissione nelle varie sedute di gara, quando la stessa decide di condensare in un unico documento i verbali relativi alle diverse sedute specificando le operazioni valutative compiute in ogni seduta e i punteggi assegnati. L’effetto di tale modo di procedere è di consentire una compiuta e coerente visione d’insieme delle operazioni effettuate e dei risultati definitivi conseguiti in sede di giudizio tecnico sulle proposte contrattuali. In sostanza, l’esigenza di esternare l’iter logico seguito dall’organo amministrativo al fine di pervenire ad un determinato approdo valutativo o decisionale è pienamente soddisfatta anche in caso di esplicitazione delle ragioni nell’ultimo verbale, in sede di riepilogo delle valutazioni effettate dalla Commissione, non sussistendo alcun principio che imponga la contestualità delle motivazioni rispetto alle singole sedute ed essendo invece sufficiente anche una valutazione finale, anteriore alla determinazione conclusiva, purché capace di lumeggiare i vari passaggi del processo valutativo” (Consiglio Stato sez. V, 15 marzo 2010, n. 1507.
La censura di parte ricorrente, di natura meramente formalistica, va quindi respinta

a cura di Sonia Lazzini


 sentenza  numero 106 del 25 gennaio 2013 pronunciata dal Tar Piemonte, Torino

è imposta specificazione parti servizio o fornitura pertinenza singole imprese raggruppate o consorziate

occorrendo intendere il doveroso obbligo di specificare le parti e servizi non necessariamente in senso puramente descrittivo bensì potendo ritenerlo assolto anche in quella accezione sostanziale richiamata dal massimo consesso amministrativo

l’Adunanza Plenaria si è pronunciata sulla questione relativa all’interpretazione da dare all’articolo 37 Codice Contratti. Per il S.C., il comma 4 del citato articolo si applica indistintamente a tutte le forme di a.t.i., orizzontali e verticali, alle quali è dunque imposta la specificazione delle parti del servizio o della fornitura di pertinenza delle singole imprese raggruppate o consorziate (Cons. St., A.P., 5 luglio 2012 n. 26).
Per la predetta decisione infatti:
«-l’indicazione delle ‹‹parti›› del servizio o della fornitura imputate alle singole imprese associate o associande si rende necessaria onde evitare l’esecuzione di quote rilevanti dell’appalto da parte di soggetti sprovvisti delle qualità all’uopo occorrenti in relazione ai requisiti di capacità tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria fissati dalla lex specialis;
- siffatte esigenze, di controllo e di trasparenza, si pongono in modo persino rincarato nei raggruppamenti a struttura orizzontale, in seno ai quali tutti gli operatori riuniti eseguono il medesimo tipo di prestazioni, per cui, in difetto di specificazione anche quantitativa delle ‹‹parti›› di servizi che saranno eseguite dalle singole imprese, sarebbe inibita alla stazione appaltante una verifica in ordine alla coerenza dei requisiti di qualificazione con l’entità delle prestazioni di servizio da ognuna di esse assunte;
- la conoscenza preventiva del soggetto che in concreto eseguirà il servizio o la fornitura, consente, in modo indifferenziato per entrambe le associazioni, l’individuazione del responsabile della prestazione dei singoli segmenti dell’appalto;
- l’obbligo in esame soddisfa l’esigenza, consustanziale alla funzione dei raggruppamenti, che sia assegnato un ruolo operativo a ciascuna delle imprese associate in a.t.i. o consorziate, allo scopo di evitare che esse si avvalgano del raggruppamento non per unire le rispettive disponibilità tecniche e finanziarie, ma per aggirare le norme di ammissione stabilite dal bando e consentire così la partecipazione di imprese non qualificate;
- l’obbligo della specificazione delle ‹‹parti›› di servizio imputate alle singole imprese del raggruppamento persegue anche la finalità di assecondare il corretto esplicarsi delle dinamiche concorrenziali, assicurando l’effettività del raggruppamento e impedendo la partecipazione fittizia di imprese, non chiamate (o chiamate in modo inappropriato) ad effettuare le prestazioni oggetto della gara».
Per la sentenza ora richiamata inoltre «ai fini del vaglio dell’ottemperanza all’obbligo di specificare le ‹‹parti›› del servizio che saranno eseguite dalle singole imprese, in ossequio al principio della tassatività delle cause di esclusione – oggi sancito dall’art. 46, comma 1-bis, d. lgs. n. 163 del 2006, aggiunto dall’art. 4, comma 2 lett. d) n. 2), d.l. 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito dalla l. 12 luglio 2011, n. 106 – dovrà seguirsi un approccio ermeneutico di natura sostanzialistica che valorizzi il dato teleologico del raggiungimento dello scopo della norma senza che assuma rilievo dirimente il profilo estrinseco del modo in cui siffatta esigenza sia soddisfatta. L’obbligo dovrà allora ritenersi assolto sia in caso di indicazione, in termini schiettamente descrittivi, delle singole parti del servizio da cui sia evincibile il riparto di esecuzione tra le imprese associate, sia in caso di indicazione quantitativa, in termini percentuali, della quota di riparto delle prestazioni che saranno eseguite tra le singole imprese, tenendo conto della natura complessa o semplice dei servizi e della sostanziale idoneità delle indicazioni ad assolvere alle rammentate finalità di riscontro della serietà e affidabilità dell’offerta ed a consentire l’individua-zione dell’oggetto e dell’entità delle prestazioni che saranno eseguite dalle singole imprese raggruppate».

a cura di Sonia Lazzini


 decisione  numero 27 del 22 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana

la norma richiede che i consorzi stabili siano “formati” da consorziati, nel numero di non meno di tre

il consorzio può essere qualificato come stabile alle seguenti condizioni:
a) essere formato da almeno tre consorziati;
b) consorziare imprese che abbiano deciso, mediante i rispettivi organi deliberativi, di operare congiuntamente nel settore dei contratti pubblici per non meno di cinque anni;
c) possedere una autonoma struttura imprenditoriale consortile, formalmente istituita, idonea a dare diretta esecuzione ai contratti pubblici affidati al consorzio

Nella visura camerale del Consorzio Ricorrente, in atti, si legge che “almeno tre imprese che partecipano al consorzio hanno espresso, mediante delibere dei rispettivi organi deliberativi, la volontà di dar vita ad un consorzio stabile secondo quanto previsto dall’articolo 36, d.lgs. 12.4.2006, n. 163, e, pertanto, hanno manifestato la loro volontà di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura d’impresa. Il consorzio ha, di conseguenza, acquisito la natura di consorzio stabile ai sensi dell’articolo 36, d.lgs. 12.4.2006, n. 163”.
Non emerge, invece, se il consorzio stabile sia stato effettivamente istituito con apposito patto consortile, ossia se la volontà manifestata da “almeno” tre fra le imprese consorziate si sia poi concretata mediante la reale istituzione della struttura imprenditoriale comune e duratura con specifico atto plurisoggettivo.
Tale elemento deve ritenersi essenziale per comprovare come il consorzio stabile sia tale in quanto esso stesso impresa, giuridicamente costituita da altre imprese al precipuo fine di operare altrettanto strutturalmente e durevolmente nel settore dei contratti pubblici; ma lo stesso elemento non risulta documentato in sede di gara, com’era indispensabile, e per vero neppure in questa sede, poiché al riguardo l’appellante principale si è limitato genericamente a rappresentare che esso “nel 2006, ha pure formalizzato tale forma, con sottoscrizione del patto di stabilità delle quattro imprese, che ne costituiscono il nocciolo”. Né, per quanto già esposto, allo scopo di individuare la natura giuridica di consorzio stabile è applicabile il criterio “sostanziale” (o di fatto), proposto dallo stesso appellante principale.
Inoltre, ma non secondariamente, il fatto stesso che il Consorzio Ricorrente sia composto da ben oltre le quattro imprese a cui accenna (tra cui, oltretutto, non è dato conoscere se vi sia la ALFA . s.r.l., indicata come consorziata preaffidataria per la quale ha concorso), cioè che, come d’altra parte esso stesso assume, non abbiano aderito al c.d. patto di stabilità tutte le sue consorziate, esclude in radice che si tratti di consorzio stabile ex cit. art. 36 del d.lgs. n. 163 del 2006, perciò abilitato ad avvalersi del regime giuridico agevolato (in deroga al regime ordinario previsto per i consorzi ordinari) nella fase di ammissione alle procedure di gara, potendo piuttosto in ipotesi essere definito un consorzio ordinario formato da un consorzio stabile e da altri consorziati, soggetto alle rispettive regole.
In altri termini, in ogni caso la commistione tra consorzio stabile e consorziati ordinari non permette di distinguere se il Consorzio Ricorrente abbia agito di fatto in proprio, appunto ed esclusivamente come consorzio stabile, ovvero per singoli consorziati ordinari.
Del resto, come si è visto la norma richiede che i consorzi stabili siano “formati” da consorziati, nel numero di non meno di tre, i quali tutti abbiano deciso di operare congiuntamente nel settore dei contratti pubblici per lavori, servizi e forniture almeno per il previsto periodo minimo mediante la comune struttura imprenditoriale. Diversamente da quanto argomentato dall’appellante principale, non consente, quindi, di intendere in tal senso soggetti in cui ai consorziati che abbiano assunto quella decisione siano aggregate altre imprese che ciò non abbiano condiviso.


Né depone in senso contrario, anzi conferma la linea seguita, il sopravvenuto regolamento recato dal d.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207, il cui art. 277, co. 1, in tema di servizi e forniture, rinvia al precedente art. 94, co. 1 e 4, in tema di lavori, il quale dispone che il consorzio stabile possa eseguire l’appalto in proprio o tramite i consorziati indicati in sede di gara “senza che ciò costituisca subappalto, ferma la responsabilità solidale degli stessi nei confronti della stazione appaltante” (co. 1); ciò con ovvio riferimento ai consorziati stabili, pena l’elusione delle regole di partecipazione relative ai consorzi ordinari, oltre che di quelle di garanzia nei confronti della stazione appaltante, nonché di qualificazione con riguardo ai consorziati ordinari, che altrimenti potrebbero avvalersi dei requisiti unitari del consorzio stabile.
a cura di Sonia Lazzini

 decisione  numero 342  del 21 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

gara telematica_l’incompletezza dell’offerta è da imputare alla stazione appaltante

se è vero che la presentazione per via telematica di tali allegati era prevista dal disciplinare di gara (v. art. 4.2.2. lett. b) a pena di esclusione, è vero anche che nel caso di specie l’incompletezza dell’offerta era ed è da imputare alla stazione appaltante, per le ragioni appena evidenziate.
Il che, a giudizio del Collegio, comporta una duplice conseguenza.
Per un verso, imponeva in sede di gara che la stazione appaltante venisse in soccorso (art. 46 d.lgs. 163/2006 e 6 l. 241/1990) di un concorrente che aveva indicato correttamente il prezzo unitario offerto, per ciascuno dei lotti cui aveva partecipato, e che invece verosimilmente senza colpa ma (quanto meno, in parte) a causa del sistema di trasmissione, non aveva allegato con successo alcuni dei documenti ulteriori richiesti.
Per altro verso - come sostenuto dalla difesa di Controinteressata – rende possibile, sino a prova contraria (che qui non è stata fornita), assicurare, ove l’impugnazione avverso la propria esclusione si confermi fondata, una tutela anche in forma specifica, mediante l’aggiudicazione dei lotti per i quali Controinteressata ha presentato il prezzo migliore ed ha impugnato anche l’aggiudicazione definitiva.
Infine, anche volendo tutto concedere alle tesi di Lombardia Informatica, è risolutiva la considerazione che la piattaforma informatica da essa prescelta per lo svolgimento della gara – ed il cui utilizzo era imposto ai partecipanti – non garantiva al cento per cento la corretta trasmissione dei files costituenti l’offerta e non permetteva all’offerente/trasmittente di verificare, nell’immediato e con sufficiente certezza, se la trasmissione di un singolo file fosse andata a buon fine, in modo tale da poter rimediare, occorrendo, in tempo utile. In questa situazione, il rischio inerente alle modalità di trasmissione non può far carico che alla parte che unilateralmente aveva scelto il relativo sistema e ne aveva imposto l’utilizzo ai partecipanti; e se rimane impossibile stabilire se vi sia stato un errore da parte del trasmittente, o piuttosto la trasmissione sia stata danneggiata per un vizio del sistema, il pregiudizio ricade sull’ente che ha bandito, organizzato e gestito la gara

a cura di Sonia Lazzini

decisione  numero 481  del 25 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

permettere autopresentazione offerte crea vantaggi imprese con sede vicina stazione appaltante

è del tutto legittima l’opzione della stazione appaltante che ritenga nel bando di gara di escludere la possibilità di autopresentazione

in quanto il divieto della consegna diretta dei plichi presso gli uffici della stazione appaltante contribuisce ad assicurare la massima imparzialità dell’operato amministrativo, la par condicio tra i partecipanti e la segretezza delle offerte, scongiurando in radice il rischio di una dispersione di notizie riservate (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 luglio 2006, nr. 4666; id., 18 marzo 2004, nr. 1411; id., 30 aprile 2002, nr. 2291).
Pertanto, è facoltà dell’amministrazione esigere le maggiori garanzie di trasparenza e imparzialità garantite dal servizio pubblico postale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 gennaio 2005, nr. 82)

Né è in alcun modo possibile, a fronte dei piani principi testé richiamati, predicare un contrasto con la normativa europea del citato art. 77, nella parte in cui, riconoscendo alla stazione appaltante facoltà di scelta in ordine alle modalità di trasmissione delle domande di partecipazione alla gara, le consente di escludere la consegna a mano.
Infatti, il paragrafo 6 dell’art. 42 della direttiva 2004/18/CE (invocato dall’originaria ricorrente anche negli scritti depositati nel presente grado di appello) si limita a distinguere fra la trasmissione “per iscritto” e la forma orale (“per telefono”, con ulteriore salvezza della facoltà per la stazione appaltante di richiedere motivatamente, in quest’ultimo caso, una conferma scritta), ma nulla dispone in ordine alle possibili modalità – fra cui, appunto, rientra anche la consegna a mano – con cui la domanda formulata per iscritto può essere presentata; ne consegue che anche la decisione di quali, fra dette modalità, consentire e quali escludere deve ritenersi rientrante nella discrezionalità riconosciuta alla stazione appaltante, in sede di predisposizione del bando di gara, dal paragrafo 1 dello stesso art. 42, discrezionalità che incontra il solo limite del necessario rispetto dei principi di proporzionalità e non discriminazione.
Inoltre, con specifico riguardo al caso che qui occupa, è manifestamente privo di rilevanza (oltre che intrinsecamente contraddittorio) l’ulteriore rilievo di parte appellata laddove lamenta – per l’appunto – una presunta discriminazione in danno delle imprese stabilite in altri Stati dell’Unione europea, che si ricaverebbe dalla previsione che imponeva di avvalersi esclusivamente del servizio postale “nazionale”; ed invero, al di là del fatto che con tale aggettivo il bando avrebbe ben potuto riferirsi al servizio postale pubblico dello Stato di ciascuna delle imprese partecipanti, e quindi anche di quelle di altri Stati dell’Unione, non si comprende come poi tale doglianza si concili con la pretesa di introdurre anche la c.d. autopresentazione: modalità che, con ogni evidenza, appare suscettibile di creare ulteriori discriminazioni a vantaggio delle imprese la cui sede sia più vicina agli uffici della stazione appaltante
a cura di Sonia Lazzini

decisione  numero 485  del 25 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

legittima revoca aggiudicazione provvisoria per mutamento organizzativo stazione appaltante

trattasi di revoca di aggiudicazione provvisoria, da cui non scaturisce un affidamento legittimo alla conclusione del contratto, e che il provvedimento motiva con riguardo al sopravvenuto nuovo assetto amministrativo

Considerata la peculiare circostanza del sopraggiunto mutamento organizzatorio, non sussistono i presupposti di responsabilità precontrattuale e, in specie, l’elemento soggettivo della colpa in capo all’Amministrazione, né l’ingiustizia del danno; così pure non è configurabile una violazione dei principi di correttezza e buona fede ex art. 1337 c.c., nè la violazione delle regole di buona amministrazione.
Si è affermato che in tema di responsabilità precontrattuale della p.a. nell'ambito di una procedura ad evidenza pubblica, i doveri di correttezza e buona fede, di cui è espressione l'art. 1337 c.c., consistono nell'obbligo di rendere al partecipante alla gara in modo completo e tempestivo tutte le informazioni necessarie e sufficienti a salvaguardare la sua posizione, circa fatti che possano far ipotizzare fondatamente la revoca dei relativi atti, in modo da impedire che si consolidi un ragionevole ed incolpevole affidamento sulla invece incerta conclusione del procedimento. (Consiglio di Stato sez. V, 14 settembre 2012, n. 4894). Tuttavia è evidente che nel caso in esame la causa della revoca degli atti di gara si è concretizzata nel nuovo assetto normativo, del tutto indipendente dalla volontà dell’Amministrazione.

Inoltre, in tema di contratti pubblici la possibilità che ad un'aggiudicazione provvisoria non segua quella definitiva del contratto di appalto è un evento del tutto fisiologico, disciplinato dagli art. 11, comma 11, 12 e 48, comma 2, del d.lg. n. 163 del 2006, inidoneo di per sé a ingenerare qualunque affidamento tutelabile con conseguente obbligo risarcitorio, qualora non sussista nessuna illegittimità nell'operato della p.a. (Consiglio di Stato, sez. VI, 19 gennaio 2012, n. 195).
(...)

Non è configurabile neppure un indennizzo per legittimo atto di revoca, ai sensi dell’art. 21 quinquies l. 241/1990, che l’appellante formula in via subordinata.
La giurisprudenza di questo Consiglio ha affermato che “ l'obbligo generale di indennizzo dei pregiudizi arrecati ai soggetti interessati in conseguenza della revoca di atti amministrativi, di cui all'art. 21 quinquies l. 241/1990, sussiste esclusivamente in caso di revoca di provvedimenti definitivi e non anche in caso di revoca di atti a ricorrentetti instabili e interinali, quale l' aggiudicazione provvisoria.” (Consiglio di Stato, sez. V, 05 aprile 2012, n. 2007)
a cura di Sonia Lazzini

decisione  numero 339  del 21 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

non vi è alcuna prova del danno ingiusto subito da responsabiltà precontrattuale

Il Consiglio condivide la parte della sentenza di prime cure con riferimento all’assenza di qualsivoglia prova del danno effettivamente patito a titolo di responsabilità precontrattuale.

Il TAR ha respinto la domanda di risarcimento del danno ritenendo che, seppure questa fosse astrattamente ammissibile a titolo di responsabilità precontrattuale (nonostante la legittimità degli atti impugnati), con riferimento alla controversia specifica non era stato fornito “alcun principio di prova” sia con riferimento al danno emergente sia con riferimento al lucro cessante
Nel ricorso principale di primo grado, infatti, vi è una compiuta ricostruzione in punto di diritto dei presupposti e delle condizioni per configurarsi la responsabilità precontrattuale (soffermandosi anche sulla lesione dell’affida-mento ingenerato) in capo alla pubblica amministrazione ma non v’è adeguata prova – il cui onere incombeva certamente sul soggetto danneggiato ai sensi dell’articolo 2697 c.c. – del danno effettivamente subito.
Ritiene il Consiglio di confermare anche il rigetto della domanda di indennizzo ma non per difetto di prova (come si desume dalla sentenza di primo grado), bensì in considerazione del fatto che, nella controversia in questione, la procedura di evidenza pubblica si è fermata allo stadio della aggiudicazione provvisoria; conseguentemente non essendo mai stata disposta l’aggiudicazione definitiva è mancato il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole che è presupposto per riconoscere l’indennizzo da revoca legittima (Cons. St., III, 11 luglio 2012 n. 4116).

a cura di Sonia Lazzini


decisione  numero 47 del 25 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana

potere_dovere pa rivedere impegni spesa se mutate condizioni risorse finanziarie disponibili

nell’operato della pubblica amministrazione non si ravvisa, sotto un profilo della legittimità della serie pubblicistica degli atti amministrativi, contraddittorietà nel comportamento dell’amministrazione

perché non vi è dubbio che i provvedimenti amministrativi in questione sono intervenuti in un momento in cui l’amministrazione doveva rivedere le sue scelte in ragione della necessità di contenere le spese.

non è precluso all’ammini-strazione appaltante di revocare l’aggiudicazione stessa, in presenza di un interesse pubblico individuato in concreto, del quale occorre dare atto nella motivazione del provvedimento di autotutela. Per le stesse ragioni può richiamarsi quella giurisprudenza che individua nella mancanza di risorse economiche idonee a sostenere la realizzazione dell’opera, quell’interesse pubblico che giustifica il provvedimento di revoca

il Collegio reputa di aderire a quell’orientamento giurisprudenziale che - pur ritenendo necessaria una congrua motivazione in ordine al modo in cui l’amministrazione contempera i contrastanti interessi nel momento della emanazione dell’atto di revoca - reputa elementi sufficienti per considerare adeguatamente motivato il provvedimento (specie ove si consideri che il procedimento era giunto alla fase dell’aggiudicazione provvisoria e non ancora a quella dell’aggiu-dicazione definitiva) il riferimento all’indisponibilità delle relative somme in bilancio e alla necessità di assicurare il rispetto delle previsioni del bilancio e del patto di stabilità.

Sulla questione, come noto, la giurisprudenza ha espresso posizioni analoghe ritenendo che, però, la legittimità della revoca disposta per indisponibilità delle risorse finanziarie non preclude al privato la possibilità di richiedere il risarcimento del danno a titolo di responsabilità precontrattuale

a cura di Sonia Lazzini


decisione  numero 47 del 25 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana

no responsabilità precontrattuale_l’amministrazione ha riavviato procedura per stipula contratto

Emerge altresì un atteggiamento di disponibilità, improntato al rispetto dell’obbligo di buona fede e correttezza da parte dell’ammi-nistrazione comunale


può certamente essere esclusa la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede sancito dall’articolo 1337 codice civile non potendo, di certo, farsi scaturire tale violazione dall’illegittimo (così come dichiarato dal TAR) annullamento in autotutela disposto con la delibera 1 luglio 2004 n. 120, laddove il comune, preso atto di quanto deciso dal giudice di primo grado, ha proceduto a riavviare l’iter finalizzato alla stipulazione del contratto mostrando anzi disponibilità così come emerge dalla nota 4 gennaio 2007 n. 197.

la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto la possibilità che l’amministrazione incorra in responsabilità precontrattuale per violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase delle trattative ex articolo 1337 c.c.; infatti, sulla scia dell’insegnamento dell’Adunanza Plenaria (sentenza 5 settembre 2005, n. 6), il Consiglio di Stato ha affermato: «Nel caso di revoca legittima degli atti della procedura di gara, può sussistere una responsabilità precontrattuale della p.a. nel caso di affidamenti suscitati nella impresa dagli atti della procedura ad evidenza pubblica poi rimossi, potendo aver confidato l'impresa sulla possibilità di diventare affidataria e, ancor più, in caso di aggiudicazione intervenuta e revocata, sulla disponibilità di un titolo che l'abilitava ad accedere alla stipula del contratto stesso. Il comportamento tenuto dall'Amministrazione fonda la responsabilità ex art. 1337 c.c. ove risulti contrastante con le regole di correttezza e di buona fede, e ove tale comportamento abbia ingenerato un danno in chi ha incolpevolmente fatto affidamento nella legittimità dell'azione della stazione appaltante. In tal caso il risarcimento riguarda il solo interesse negativo (spese inutilmente sostenute in previsione della conclusione del contratto e perdite sofferte per non aver usufruito di ulteriori occasioni contrattuali), mentre non è risarcibile il mancato utile relativo alla specifica gara d'appalto revocata, invece da considerare in caso di revoca illegittima» (Cons. St., 5 settembre 2011 n. 5002; C.G.A. 25 gennaio 2011 n. 83)
a cura di Sonia Lazzini


decisione  numero 14 del 14 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana

martedì 29 gennaio 2013

anche annullamento aggiudicazione e caducazione contratto già stipulato causano danno ingiusto

anche l’annullamento dell’aggiudicazione e la conseguente caducazione del contratto già stipulato possono essere fonte di danno ingiusto in capo a colui che ha fatto affidamento in buona fede sulla legittimità delle operazioni di gara e sul successivo comportamento della pubblica amministrazione, tanto più che la stipula del contratto ha determinato l’insorgere di diritti e obblighi a carico di entrambe le parti.

E’ evidente che il venir meno dell’aggiudicazione e del conseguente contratto produce la perdita di una possibilità di guadagno concretamente già acquisita e che la responsabilità per tale perdita non può non imputarsi (anche) al comportamento tenuto dall’Amministrazione.
Secondo l'insegnamento della giurisprudenza civilistica, fatto proprio da questo Consiglio, nel caso di specie ricorre una ipotesi di responsabilità (si veda Cassazione civile, sez. I, 26 maggio 2006, n. 12629, secondo cui "la posizione dell'imprenditore che abbia fatto legittimo affidamento nella aggiudicazione dell'appalto e nella successiva stipulazione del contratto e che ne ignorasse, senza sua colpa, una causa di invalidità è specificamente presa in considerazione dall'art. 1338 c.c. Con la conseguenza che in caso di annullamento dell'aggiudicazione e di caducazione del contratto è configurabile a carico dell'amministrazione appaltante la responsabilità contrattuale prevista dalla norma per avere generato nell'impresa dal momento dell'aggiudicazione, l'incolpevole affidamento di considerare valido ed efficace il contratto di appalto; nonché per non averla tutelata anche attraverso il dovere di informazione, e quello di astenersi dalla stipulazione del negozio che doveva sapere invalido rientrando nei suoi poteri conoscere le cause dell'illegittima aggiudicazione”).

Simili principi sono stati di recente affermati anche con riguardo ai casi di revoca e di intervento in autotutela sugli atti di gara, ancorché con riferimento alla divrsa ipotesi della responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. (Consiglio di Stato sez. VI, 15 marzo 2012, n. 1440).
Si tratta semmai di verificare in concreto se sussistono gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità, ossia la compresenza dell'elemento soggettivo, costituito dalla colpa o dal dolo dell'agente, e degli elementi oggettivi, individuati in una condotta posta in essere in violazione di una norma giuridica e in un danno conseguente qualificabile come ingiusto, ossia lesivo di una situazione giuridica altrui, nonché il nesso eziologico che leghi il fatto al danno.

a cura di Sonia Lazzini

 decisione  numero 279  del 18 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

contra legem clausola limitativa responsabilità Pubblica Amministrazione _violazione artt. 28 e 97 Cost

L’obbligo di indennizzo gravante sulla Pubblica Amministrazione non presuppone elementi di responsabilità della stessa, ma si fonda su valori puramente equitativi presi in considerazione dal legislatore,

onde consentire il giusto bilanciamento tra il perseguimento dell’interesse pubblico attuale da parte dell’amministrazione e la sfera patrimoniale del destinatario (incolpevole) dell’atto di revoca o di annullamento, al quale non possono essere addossati integralmente i conseguenti sacrifici.
Orbene, se tale forma di indennizzo, pur prevista dalla legge, può essere esclusa da un atto della pubblica amministrazione (nel caso di specie, dal bando di gara), con il quale si richiede, in sostanza, al privato un atto unilaterale abdicativo di un diritto patrimoniale (e quindi disponibile), e ciò proprio in quanto l’attribuzione dell’indennizzo non dipende da responsabilità dell’amministrazione stessa; al contrario la pubblica amministrazione non può adottare atti ovvero pretendere dal privato, in via preliminare e quale condizione di partecipazione ad un procedimento amministrativo volto alla individuazione di un (futuro) contraente, un atto abdicativo del diritto alla tutela giurisdizionale avverso atti e/o comportamenti (anche futuri) della stessa pubblica amministrazione illegittimi o illeciti, (eventualmente) causativi di danno e quindi di responsabilità per il suo risarcimento.

Tale clausola – lungi dal giustificarsi sostenendo che la stessa è, in definitiva, riferita a diritti patrimoniali disponibili – nella misura in cui esclude in via preventiva la responsabilità della P.A. per illecito, si risolve in una limitazione della responsabilità della Pubblica Amministrazione contra legem (argomentando ex art. 1229 cod. civ.), ed in violazione degli artt. 28 e 97 Cost..
Alla luce di quanto esposto, deve affermarsi che una interpretazione - costituzionalmente orientata e coerente con le norme di legge innanzi evocate - della clausola del bando, che consente alla Pubblica amministrazione “la facoltà di annullare la gara senza che le partecipanti possano avanzare richiesta per eventuali rimborsi, compensi o indennizzi a qualsiasi titolo", comporta che i soli “indennizzi” esclusi in via preventiva sono quelli che non presuppongono responsabilità della Pubblica Amministrazione, non essendo al contrario ammissibile una limitazione preventiva della responsabilità per illecito della P.A.
Nel caso di specie, quindi, non è la natura dell’atto (revoca e non annullamento) ad escludere il diritto alla tutela giurisdizionale dei partecipanti alla gara, onde far accertare dal giudice la eventuale responsabilità dell’amministrazione (in ciò concordando con l’amministrazione appellante che estende l’interpretazione della clausola a tutti gli atti adottati in esercizio del potere di autotutela).
Ciò che rende ammissibile la domanda di accertamento della responsabilità della P.A. (e, se del caso, di conseguente condanna della medesima al risarcimento del danno) è la irriferibilità della clausola medesima alle ipotesi in cui si controverte, appunto, di responsabilità della P.A., nei sensi innanzi chiariti.

a cura di Sonia Lazzini

decisione  numero 156  del 14 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

risarcimento danno comportamento Commissione contrario elementari regole valutazione offerte tecniche

comportamento della Commissione di gara contrario ad elementari regole di svolgimento delle operazioni di valutazione delle offerte tecniche, essendosi la Commissione limitata all’espressione di giudizio in relazione alla sola completezza documentale delle offerte tecniche prodotte in gara,

senza compiere apprezzamenti tecnici sulla qualità delle soluzioni progettuali proposte e omettendo di utilizzare tutti i criteri valutativi stabiliti dalla normativa concorsuale, con sovvertimento della portata applicativa della lex specialis. Inoltre, le attività valutative propedeutiche all’assegnazione dei punteggi si sono addirittura svolte in assenza di un componente, solo tardivamente sostituito da un altro Commissario.
Tanto è sufficiente, ad avviso di questo Collegio, per ritenere integrata la “culpa in contraendo” dell’Amministrazione, che integra l’elemento soggettivo della responsabilità, essendo mancato un corretto svolgimento delle operazioni valutative che avrebbero condotto all’individuazione del contraente, in contrasto con le ordinarie regole di correttezza e buona fede..

L'obbligo di correttezza e buona fede nella conduzione degli affari negoziali va inteso in senso "oggettivo", nel senso che non si richiede un particolare comportamento soggettivo di malafede, ma è sufficiente anche il comportamento non intenzionale o meramente colposo della parte che, senza giustificato motivo, ha eluso le aspettative della controparte.
Quanto al danno che ne consegue, esso in astratto è risarcibile, innanzitutto, relativamente alle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative in vista della conclusione del contratto, nonché alla perdita, a causa della trattativa inutilmente intercorsa, di ulteriori occasioni per la stipulazione con altri di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso. (Consiglio di Stato, sez. VI, 15 marzo 2012, n. 1440).
Peraltro, poiché le spese relative alla partecipazione alla gara sarebbero state comunque sopportate dall’offerente, senza alcuna possibilità di recupero, e poiché l’appellante non ha in alcun modo dimostrato la perdita di altre occasioni di guadagno, nessuna di queste spese può trovare ristoro in questa sede.
Invece, le spese sostenute per l’avvio del servizio, come gli oneri per il personale impiegato e l’acquisto di mezzi e materiali, vanno ristorate, essendo relative alla fase di esecuzione poi interrotta, ma nel solo limite delle spese esulanti dall’area delle prestazioni eseguite nella breve fase in cui il contratto ha avuto esecuzione.
Rimangono del pari escluse, invece, le spese di progettazione e redazione del piano di sicurezza che l’impresa avrebbe dovuto sostenere in ogni caso per la presentazione dell’offerta.
Quanto al danno curriculare ed all’immagine, ritiene il Collegio che la domanda non possa essere accolta, essendo indubbio che l’illegittimità dell’aggiudicazione non possa apportare alcun legittimo beneficio in merito all’operatore economico originariamente individuato come aggiudicatario e, poi, contraente della s.a.

a cura di Sonia Lazzini

decisione  numero 279  del 18 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

inevitabili interferenze interventi con normale svolgimento attività lavorativa non sono legittima causa revoca

l’esercizio del potere di revoca, per un verso comporta, ove legittimo, l’eventuale attribuzione di un indennizzo ex art. 21-quinquies l. n. 241/1990 (profilo tuttavia estraneo all’attuale thema decidendum); per altro verso, anche nel caso in cui si riscontri la legittimità dell’atto di revoca, ciò non esclude  la (eventuale) responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, ex art. 1337 cod. civ.

gli atti di una gara per l’esecuzione di lavori, e lo stesso provvedimento di aggiudicazione, ben possono essere oggetto di revoca, laddove si riscontri la inadeguatezza del progetto stesso rispetto a nuove, sopravvenute esigenze, di modo che la realizzazione del progetto medesimo non riuscirebbe a soddisfare l’interesse pubblico connesso alla realizzazione dell’opera; ovvero laddove si riscontri come la realizzazione del progetto contrasti con altre, diverse e sopravvenute, esigenze di pubblico interesse.
In sostanza, si intende affermare che la revoca degli atti di una gara (che necessariamente presuppone l’esistenza di un progetto “validato” dalla pubblica amministrazione) non può che fondarsi su ragioni di pubblico interesse inerenti alla realizzazione stessa dell’opera.

Al contrario, tale revoca non può fondarsi su ragioni che, lungi dal riguardare l’opera realizzanda in sé (e la sua coerenza con l’interesse pubblico connesso alla sua realizzazione ovvero con altri interessi pubblici sopravvenuti), concernono modalità e tempi di esecuzione della medesima opera, riguardati sotto il profilo di inevitabili interferenze degli interventi con il normale (ordinario, preesistente e quindi prevedibile) svolgimento di attività lavorativa nei locali oggetto dell’esecuzione degli interventi oggetto della gara e della conseguente aggiudicazione.

Per un verso, la specificità dell’attività lavorativa svolta nei locali oggetto di intervento, il conseguente disagio – entro certi limiti inevitabile – derivante alla detta attività dai lavori, lungi dal costituire una “novità”, erano dati ben presenti all’amministrazione, e quindi tali da non poter configurare ragioni sopravvenute di pubblico interesse.
Per altro verso, eventuali disagi e/o limitazioni all’attività lavorativa ordinaria, derivanti dall’esecuzione dei lavori oggetto della gara d’appalto, ben possono essere se non annullati, quantomeno limitati attraverso una opportuna programmazione degli stessi (ed a tal fine la sentenza ricorda le note del Provveditorato interregionale alle opere pubbliche 23 febbraio 2009 n. 2170 e 29 giugno 2009 n. 8594).

a cura di Sonia Lazzini

decisione  numero 156  del 14 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

diverse conseguenze a seguito revoca provvedimento amministrativo_indennizzo o risarcimento

nel caso di revoca di provvedimento amministrativo (come è quello in esame, riferito agli atti di una gara d’appalto), possono ricorrere situazioni diverse, cui il legislatore (e la stessa giurisprudenza) riconnettono differenti discipline e conseguenze.
Occorre, infatti, distinguere tra:
- obbligo dell’amministrazione all’indennizzo, ex art. 21- quinquies l. n. 241/1990, per il caso di revoca del provvedimento amministrativo che abbia un beneficiario già individuato (ipotesi che non forma oggetto del presente giudizio);
- risarcimento del danno conseguente a constatata illegittimità del provvedimento di revoca, laddove venga accertata l’esistenza degli ulteriori presupposti di configurazione del danno risarcibile;
- risarcimento del danno derivante da accertata responsabilità contrattuale, laddove la revoca del provvedimento giunga a determinare la caducazione del contratto già stipulato (caso non ricorrente nella presente sede);
- risarcimento del danno derivante da responsabilità extracontrattuale e/o precontrattuale della Pubblica amministrazione, ex art. 1337 c.c..
(...)

In definitiva:
- mentre nel caso di indennizzo ex art. 21 – quinquies, la misura del medesimo è parametrata al solo “danno emergente”;
- nel caso di responsabilità precontrattuale, la misura del risarcimento comprende sia il danno emergente, sia (ove provato) il danno derivante dalla perdita di ulteriori favorevoli occasioni contrattuali, sia (laddove vi sia mancata stipulazione del contratto a fronte di aggiudicazione definitiva o di plausibile futura acquisizione dello status di aggiudicatario), il cd. danno curriculare.
Ove si voglia diversamente considerare, appare singolare e privo di ragionevolezza che l’ordinamento riconosca due attribuzioni patrimoniali, distinte ma di identica misura, benché nel primo caso ( ex art. 21- quinquies l. n. 241/1990), non vi sia alcuna attività illegittima o illecita dell’amministrazione, mentre nel secondo – in modo ben diverso e più grave - vi è un accertato illecito comportamento della medesima, tale da fondare responsabilità precontrattuale.
a cura di Sonia Lazzini

 decisione  numero 156  del 14 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

se la revoca è legittima, al danneggiato spetta solo un indennizzo e non un risarcimento

ai sensi dell’art. 21- quinquies l. n. 241/1990, la revoca del provvedimento amministrativo determina che se la stessa “comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo” (comma 1).

La misura di tale indennizzo è stata, successivamente, definita, per la revoca di atti amministrativi incidenti su rapporti negoziali, dallo stesso legislatore che ha parametrato detta misura “al solo danno emergente”, e tenendo conto “sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico”.
L’obbligo di indennizzo gravante sulla Pubblica Amministrazione, come previsto e definito nella sua misura dall’art. 21- quinquies, non presuppone – come si è già avuto modo di affermare - elementi di responsabilità della stessa, ma si fonda su valori puramente equitativi considerati dal legislatore, onde consentire il giusto bilanciamento tra il perseguimento dell’interesse pubblico attuale da parte dell’amministrazione e la sfera patrimoniale del destinatario (incolpevole) dell’atto di revoca, cui non possono essere addossati integralmente i conseguenti sacrifici.

Ricorre, dunque, l’ipotesi che suole definirsi come di responsabilità della Pubblica Amministrazione per attività legittima (forma conosciuta dal nostro ordinamento, come conseguente ad atti leciti, fin dall’art. 46 l. 25 giugno 1865 n. 2359), la quale, lungi dal trovare il proprio presupposto in fatti o atti illeciti ovvero in atti illegittimi imputabili alla stessa amministrazione, più propriamente risponde ad intenti equitativi, e, a stretto rigore, non potrebbe essere definita utilizzando il termine “responsabilità”.
Tale ipotesi differisce nettamente da quella risarcitoria, di modo che anche le due azioni devono essere tenute distinte, sia con riferimento alla causa petendi, sia con riferimento al petitum.
La causa petendi, nel giudizio volto ad ottenere l’indennizzo, deve essere ravvisata nella legittimità dell’atto adottato dall’amministrazione, ovvero nella liceità della condotta da questa tenuta, e che ha causato il pregiudizio; mentre nel giudizio risarcitorio, essa consiste nel fatto o nell’atto produttivo del danno.
Quanto al petitum, nel giudizio per responsabilità da atti legittimi o leciti, esso è limitato al pregiudizio immediatamente subito, ed è quindi limitato al cd. danno emergente, mentre nel giudizio risarcitorio esso si estende – fermi, ovviamente, i necessari presupposti probatori - a tutto il pregiudizio (danno emergente e lucro cessante), conseguente all’illegittima violazione della sfera giuridico - patrimoniale del soggetto leso.
Con riferimento alla revoca ed alle sue conseguenze, l’art. 21 – quinquies rappresenta, come è noto, un punto di arrivo di un percorso giurisprudenziale che, inizialmente, e fino a tempi recenti, era nel senso di escludere qualsiasi indennizzo per il soggetto nei cui confronti fosse intervenuta la revoca in modo legittimo di un precedente provvedimento amministrativo per lui vantaggioso (Cons. St., sez. VI, 6 giugno 1969, n. 266), salvo ipotizzarla solo in casi particolari (Cass. Sez. Un. 2 aprile 1959, n. 672).
Attualmente, dunque, l'attribuzione dell'indennizzo a favore del soggetto che direttamente subisce il pregiudizio, presuppone innanzitutto la legittimità del provvedimento di revoca, atteso che in caso di revoca illegittima subentra eventualmente, sussistendone gli ulteriori presupposti, la diversa ipotesi del risarcimento del danno (Cons. Stato, sez. V, 6 ottobre 2010 n. 7334 e 14 aprile 2008, n. 1667; sez. VI, 8 settembre 2009, n. 5266).
Inoltre, poiché, nel caso dell’indennizzo ora considerato, e per le ragioni esposte, non sussiste una responsabilità contrattuale o extracontrattuale (e segnatamente, precontrattuale), che determini l’insorgere di tale obbligazione, non vi è luogo per accertare la sussistenza di colpa nell'apparato amministrativo (Cons. St., sez. V, 10 febbraio 2010 n. 671).
Infine, l'indennizzo spettante al soggetto direttamente pregiudicato dalla revoca di un provvedimento va circoscritto al "danno emergente", sia perché ciò è espressamente stabilito dalla norma, sia perché esso risponde ai principi generali in tema di obbligo di indennizzo da parte della P.A. per pregiudizio derivante da sua attività legittima o lecita, sia perché esso costituisce applicazione particolare di una previsione in via generale introdotta per le conseguenze dell’esercizio del potere di autotutela.

a cura di Sonia Lazzini

 decisione  numero 156  del 14 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato