martedì 29 gennaio 2013

se la revoca è legittima, al danneggiato spetta solo un indennizzo e non un risarcimento

ai sensi dell’art. 21- quinquies l. n. 241/1990, la revoca del provvedimento amministrativo determina che se la stessa “comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo” (comma 1).

La misura di tale indennizzo è stata, successivamente, definita, per la revoca di atti amministrativi incidenti su rapporti negoziali, dallo stesso legislatore che ha parametrato detta misura “al solo danno emergente”, e tenendo conto “sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico”.
L’obbligo di indennizzo gravante sulla Pubblica Amministrazione, come previsto e definito nella sua misura dall’art. 21- quinquies, non presuppone – come si è già avuto modo di affermare - elementi di responsabilità della stessa, ma si fonda su valori puramente equitativi considerati dal legislatore, onde consentire il giusto bilanciamento tra il perseguimento dell’interesse pubblico attuale da parte dell’amministrazione e la sfera patrimoniale del destinatario (incolpevole) dell’atto di revoca, cui non possono essere addossati integralmente i conseguenti sacrifici.

Ricorre, dunque, l’ipotesi che suole definirsi come di responsabilità della Pubblica Amministrazione per attività legittima (forma conosciuta dal nostro ordinamento, come conseguente ad atti leciti, fin dall’art. 46 l. 25 giugno 1865 n. 2359), la quale, lungi dal trovare il proprio presupposto in fatti o atti illeciti ovvero in atti illegittimi imputabili alla stessa amministrazione, più propriamente risponde ad intenti equitativi, e, a stretto rigore, non potrebbe essere definita utilizzando il termine “responsabilità”.
Tale ipotesi differisce nettamente da quella risarcitoria, di modo che anche le due azioni devono essere tenute distinte, sia con riferimento alla causa petendi, sia con riferimento al petitum.
La causa petendi, nel giudizio volto ad ottenere l’indennizzo, deve essere ravvisata nella legittimità dell’atto adottato dall’amministrazione, ovvero nella liceità della condotta da questa tenuta, e che ha causato il pregiudizio; mentre nel giudizio risarcitorio, essa consiste nel fatto o nell’atto produttivo del danno.
Quanto al petitum, nel giudizio per responsabilità da atti legittimi o leciti, esso è limitato al pregiudizio immediatamente subito, ed è quindi limitato al cd. danno emergente, mentre nel giudizio risarcitorio esso si estende – fermi, ovviamente, i necessari presupposti probatori - a tutto il pregiudizio (danno emergente e lucro cessante), conseguente all’illegittima violazione della sfera giuridico - patrimoniale del soggetto leso.
Con riferimento alla revoca ed alle sue conseguenze, l’art. 21 – quinquies rappresenta, come è noto, un punto di arrivo di un percorso giurisprudenziale che, inizialmente, e fino a tempi recenti, era nel senso di escludere qualsiasi indennizzo per il soggetto nei cui confronti fosse intervenuta la revoca in modo legittimo di un precedente provvedimento amministrativo per lui vantaggioso (Cons. St., sez. VI, 6 giugno 1969, n. 266), salvo ipotizzarla solo in casi particolari (Cass. Sez. Un. 2 aprile 1959, n. 672).
Attualmente, dunque, l'attribuzione dell'indennizzo a favore del soggetto che direttamente subisce il pregiudizio, presuppone innanzitutto la legittimità del provvedimento di revoca, atteso che in caso di revoca illegittima subentra eventualmente, sussistendone gli ulteriori presupposti, la diversa ipotesi del risarcimento del danno (Cons. Stato, sez. V, 6 ottobre 2010 n. 7334 e 14 aprile 2008, n. 1667; sez. VI, 8 settembre 2009, n. 5266).
Inoltre, poiché, nel caso dell’indennizzo ora considerato, e per le ragioni esposte, non sussiste una responsabilità contrattuale o extracontrattuale (e segnatamente, precontrattuale), che determini l’insorgere di tale obbligazione, non vi è luogo per accertare la sussistenza di colpa nell'apparato amministrativo (Cons. St., sez. V, 10 febbraio 2010 n. 671).
Infine, l'indennizzo spettante al soggetto direttamente pregiudicato dalla revoca di un provvedimento va circoscritto al "danno emergente", sia perché ciò è espressamente stabilito dalla norma, sia perché esso risponde ai principi generali in tema di obbligo di indennizzo da parte della P.A. per pregiudizio derivante da sua attività legittima o lecita, sia perché esso costituisce applicazione particolare di una previsione in via generale introdotta per le conseguenze dell’esercizio del potere di autotutela.

a cura di Sonia Lazzini

 decisione  numero 156  del 14 gennaio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

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