le espressioni che possono avere più significati devono essere intese nel senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto.
La prevalenza spetta all’interpretazione che garantisca la proporzionalità e l’oggettività dei punteggi, rispetto a quella che risulta essere del tutto sconnessa rispetto alla funzione.
in base al noto principio derivante dall’art. 1367 c.c., in caso di dubbio il contratto o le singole clausole devono essere interpretate nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno (Cons. Stato, sesta, 4 giugno 2002, n. 3153), con la conseguenza che qualora l’interpretazione di una disposizione sembri trovare appiglio nella lettera del testo, ma conduca tuttavia ad una soluzione contrastante con la legge, essa deve essere senz’altro scartata in favore dell’opzione ermeneutica che garantisca invece il rispetto dei precetti di legge.
Alla stessa conclusione conduce anche l’applicazione del principio interpretativo dettato dall’art. 1369 c.c. sulla diretta applicazione dei precetti ermeneutici indicati dal codice civile anche per gli atti amministrativi.
D’altra parte il dualismo irrisolto tra lettera «significato proprio delle parole secondo la connessione di esse» e spirito o ratio è stato invero sciolto dalla dottrina e dalla giurisprudenza dominanti attraverso la «svalutazione» del primo criterio, rilevandosi la inadeguatezza e l’ingenuità della stessa idea di interpretazione puramente letterale.
Fermo tanto, va osservato che correttamente il TAR fa riferimento all’intero contesto motivazionale al fine di chiarire la portata della disposizione di cui trattasi.
a cura di Sonia Lazzini
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