martedì 10 maggio 2011

è inammissibile e comunque infondata la domanda risarcitoria formulata in maniera del tutto generica senza alcuna allegazione dei fatti costitutivi

Va anzitutto ricordato che in base al principio generale sancito dall’art. 2697 c.c, ai fini del risarcimento dei danni provocati da illegittimo esercizio del potere amministrativo, il ricorrente deve fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi invocare il principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti (Cons. Stato, 6 aprile 2009 n. 2143, Cons. St., sez. V, 13 giugno 2008, n. 2967; sez. V, 7 maggio 2008, n. 2080; ad. plen., 30 luglio 2007, n. 10; sez. VI, 2 marzo 2004, n. 973).

E’ sì pacifica la possibilità di ricorrere alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, ma è comunque obbligatorio allegare circostanze di fatto precise.


Neanche si può ricorrere alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito.

Non sfugge a questo Collegio, l’orientamento secondo cui al fine di quantificare il lucro cessante subito dall’impresa per la mancata aggiudicazione di un appalto (ovvero il mancato utile che avrebbe ritratto dal contratto), sarebbe ammissibile liquidare, a titolo di danno presunto ed in via equitativa, una percentuale pari al 10% del prezzo a base d’asta. Ma, aderendo ad opposto orientamento espresso di recente dalla V Sezione del Consiglio di Stato (con la più volte citata sentenza 6 aprile 2009 n. 2143), ritiene questa Sezione di accogliere diversa tesi (già peraltro ampiamente esposta nella sentenza n. 2675/2009).

Da un lato è difatti indiscutibile che nell’ambito delle controversie aventi ad oggetto aggiudicazioni di gare di appalto, non sono configurabili sempre e comunque interessi legittimi la cui tutela porti ad un risultato garantito; in altre parole, la lesione di tali interessi, accertata nel giudizio di legittimità, non conduce necessariamente in via immediata e diretta all’aggiudicazione della gara in favore dell’impresa ricorrente. E così è nel caso qui sottoposto all’attenzione del Collegio.

Dall’altro, per quanto concerne la determinazione del quantum del risarcimento, non può ritenersi corretto il ricorso al criterio del c.d. 10%, mutuato da alcune disposizioni in materia di lavori pubblici, che riguardano però altri istituti, come l’indennizzo dell’appaltatore nel caso di recesso dell’amministrazione committente (art. 345 legge n. 2248/1865, all. F) abrogato dall’art. 256 del d.lgs. n. 163 del 2006 come modificato dal d.lgs. n. 152 del 2008) oggetto di disciplina oggi contenuta nell’art. 134 d.lgs. n. 163/2006.

Tale tecnica risarcitoria, sconta il difetto di indurre, come è accaduto, a trovare correttivi quali la decurtazione del risarcimento ove l’impresa non dimostri di non aver potuto utilizzare diversamente le maestranze ed i propri mezzi per l’espletamento di altri servizi.

Deve in definitiva considerarsi preferibile il diverso indirizzo, che esige la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto.

Più di recente il Consiglio di Stato ha confermato questo orientamento statuendo che “il criterio del 10% del prezzo a base d'asta, se pure è in grado di fondare una presunzione su quello che normalmente è l'utile che un'impresa trae dall'esecuzione di un appalto, non può, tuttavia, essere oggetto di applicazione automatica e indifferenziata. Viceversa, deve esigersi la prova rigorosa, a carico dell'impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell'appalto; prova desumibile, in specie, dall'esibizione dell'offerta economica presentata al seggio di gara. È quanto ora confermato, sul piano legislativo, dall'espressa previsione contenuta nell'art. 124 del codice del processo amministrativo, a tenore del quale "se il giudice non dichiara l'inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per equivalente subito" a condizione, tuttavia che lo stesso sia "provato"”(Consiglio Stato , sez. VI, 09 dicembre 2010 , n. 8646).


Tratto dalla sentenza numero 456 del 10 maggio 2011 pronunciata dal Tar Sardegna, Cagliari

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