le dichiarazioni di cui all’art.38 Cod.App. sono richieste per una finalità che non è solo di garanzia sull'assenza di ostacoli pure di natura etica all'aggiudicazione del contratto,
ma anche per una ordinaria verifica sull'affidabilità dei soggetti partecipanti: la concreta carenza di condizioni ostative costituisce un elemento successivo rispetto alla conoscenza di una situazione di astratta sussistenza dei requisiti morali e giuridici che lambiscono in modo determinante la professionalità degli amministratori.
Tanto meno si comprenderebbe il meccanismo di verifica a campione, se quest'ultimo non fosse connesso alla obbligatorietà di una dichiarazione, che costituisce il sistema di riferimento per valutare la lealtà dei richiedenti (in tal senso, ved. Cons. St. V, 12 giugno 2009, n. 3742, ed ulteriori richiami giurisprudenziali ivi).
Per queste ragioni non è condivisibile la tesi che sia solo l'effettiva carenza del requisito morale a poter costituire ragione dell'esclusione dalla procedura ad evidenza pubblica.
Lo stesso indirizzo giurisprudenziale, evocato al ricorrente principale, circa la possibile rilevanza esimente della “innocuità” del falso presuppone l’indefettibile esistenza, a monte, di una dichiarazione che, proprio perché dotata di un puntuale contenuto (il che non ricorre nella fattispecie in esame), si presta astrattamente, per le sue lacune, ad essere considerata “falsa” (nello stesso senso, cfr. Cons. St. nr. 1471/2012 e 3069/2011 cit).
Pertanto la stazione appaltante era tenuta a verificare il rispetto delle clausole del bando che imponevano al legale rappresentante della impresa concorrente di rendere la dichiarazione di cui all'art. 38 del Codice dei Contratti. Poiché le dichiarazioni rese ( e versate in atti dal ricorrente incidentale) per il loro contenuto irrefutabilmente privo di un qualsivoglia riferimento di tipo soggettivo, non risultavano conformi al parametro indicato dalla lex specialis di gara, ne discende che la stazione appaltante avrebbe dovuto escludere la ricorrente principale dalla procedura de qua.
Passaggio tratto dalla sentenza numero 3796 del 26 aprile 2012 pronunciata dal Tar Lazio, Roma
E’ da ultimo, parimenti non persuasiva è la tesi sostenuta dal ricorrente principale laddove sostiene che “anche a voler ritenere che vi fosse l’obbligo di specificare lettera per lettera il dettato dell’art.38, l’assenza di tale puntuale dichiarazione….avrebbe imposto alla stazione appaltante il dovere di chiedere…..una regolarizzazione documentale così come previsto dall’art.46 del d.lgs n.163/2006”.
E’ infatti agevole opporre che l’art. 11, lett. d) della lex specialis prevede che occorre dichiarare, a pena di esclusione, l’insussistenza delle cause preclusive della partecipazione alla gara, di cui all’art. 38 D.L.vo n. 163 del 2006. (previsione ribadita dall’art.14). Ciò chiarito, la giurisprudenza consolidata del giudice amministrativo ha costantemente affermato che, ai sensi dell’art. 46 D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163, la regolarizzazione documentale può essere consentita solo quando i vizi siano puramente formali o chiaramente imputabili ad errore solo materiale, e sempre che riguardino dichiarazioni o documenti non richiesti a pena di esclusione, non essendo, in quest'ultima ipotesi, consentita la sanatoria o l'integrazione postuma, che si tradurrebbe in una violazione dei termini massimi di presentazione dell'offerta e, in definitiva, in una violazione della par condicio; sanatorie documentali sono dunque possibili con la possibilità d’integrare successivamente la documentazione prodotta con la domanda di partecipazione alla gara o, comunque, con l'offerta, nel rispetto di un duplice limite: la regolarizzazione deve riferirsi a carenze (e, quindi, non ad “assenze”) puramente formali od imputabili ad errori solo materiali e non può mai riguardare produzioni documentali che abbiano violato prescrizioni del bando o della lettera di invito sanzionate con una comminatoria di esclusione (Cons. Stato, V Sez., 9 novembre 2010 n. 7963; id. 14 settembre 2010 n. 6687; id. 2 agosto 2010 n. 5084).
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