domenica 11 novembre 2012

solo nel settore degli appalti pubblici vi è dunque una sorta di responsabilità oggetttiva della pa

nella recente sentenza della Corte di giustizia (sez. III, 30 settembre 2010, C-314/09, Graz Stadt) viene configurata in modo molto più marcatamente oggettivo la responsabilità dello Stato da violazione del diritto comunitario, limitata al  settore delle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici

affermando che la direttiva 89/665/CEE, in tema di procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, “osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto ad avere un risarcimento (...)al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità di far valere le proprie capacità individuali, e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata”.
Al di là della questione più generale – che solo l’evoluzione giurisprudenziale futura potrà chiarire – di quali potranno essere le ricadute concrete del principio così enunciato, quand’anche esso dovesse essere inteso nel senso dell’affermazione di una vera e propria responsabilità oggettiva, è del tutto ragionevole che esso debba restare circoscritto al settore degli appalti pubblici, come si desume non solo dal richiamo alla disciplina europea specifica in materia di ricorsi giurisprudenziali in materia di procedure di aggiudicazione (la citata direttiva 89/665/CEE come modificata dalla direttiva 2007/66/CE), ma anche dall’evidente tensione della Corte all’effettività della tutela in un settore oggetto di particolare attenzione da parte delle istituzioni comunitarie per la sua incidenza sul corretto funzionamento del mercato e della concorrenza.

E, difatti, dalla lettura della sentenza de qua risulta che in essa il risarcimento del danno viene qualificato come “alternativa procedurale” al conseguimento del “bene della vita” auspicato dall’impresa ricorrente, ossia l’aggiudicazione, in tutti i casi in cui tale tutela specifica non possa essere accordata all’esito del giudizio: a conferma di come in questo caso la Corte assegni al risarcimento una funzione “riparatorio-compensativa” (oltre che sanzionatoria dell’illegittimo operato della p.a.) più che “retributiva”, ossia di ristoro patrimoniale di un pregiudizio patito, e quindi – per converso – laddove si versi in settori diversi da quello degli appalti pubblici, debbano tornare a trovare applicazione i comuni principi enunciati dalla stessa Corte europea in tema di responsabilità degli Stati da violazione del diritto comunitario.
Peraltro, la questione del carattere derogatorio o meno rispetto a tali principi di quanto affermato nella citata sentenza del 2010 è destinata a essere verosimilmente molto ridimensionata, se si considera che proprio nel settore delle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici la disciplina europea si connota ormai per sostanziale completezza e autoconclusività, oltre che per un estremo grado di dettaglio, tale da rendere estremamente raro il caso in cui una sua violazione da parte del diritto interno non risponda anche ai parametri generali cui la giurisprudenza comunitaria ha sempre condizionato la sussistenza della responsabilità dello Stato.

a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione  numero 482 del 31 gennaio  2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

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