è necessaria la prova, a carico dell'impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell'appalto
prova desumibile in primis dall'esibizione dell'offerta economica presentata al seggio di gara; tale principio trova, infatti, conferma nell'art. 124 del codice del processo amministrativo che, nel rito degli appalti , prevede il risarcimento del danno (per equivalente) subito e provato.
Occorre, quindi, verificare se parte ricorrente ha rispettato il principio basilare sancito dall'art. 2697 c.c., secondo cui chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda: come noto, il diritto entra nel processo attraverso le prove, che devono avere ad oggetto circostanze di fatto precise, e si debbono disattendere le domande risarcitorie formulate in maniera del tutto generica, senza alcuna allegazione degli elementi presupposti
Il Collegio ritiene di sciogliere positivamente il quesito, poiché gli elementi prodotti in giudizio sono sufficienti ad emettere una pronuncia che statuisca sul quantum spettante a titolo di riparazione pecuniaria, ai fini della formulazione della proposta risarcitoria da parte del Comune e l’eventuale raggiungimento di un accordo con la ricorrente ex art. 34, comma 4, c.p.a.
In particolare la stazione appaltante dovrà:
- attenersi all'offerta economica presentata dall’appellante in sede di gara;
- valorizzare sul punto l'elaborato contenente le giustificazioni delle voci di prezzo che concorrono a formare l'importo complessivo esibito;
- tenere in particolare conto di tutte le spese sostenute e sostenibili;
- determinare il margine di guadagno che residua dopo l'applicazione del ribasso indicato in sede di gara, anche in relazione all’utile conseguito in concreto nei mesi in cui l’appellante ha potuto gestire il servizio.
Il suddetto parametro deve, comunque, essere ridotto in considerazione del fatto che, nel caso di annullamento dell'aggiudicazione di appalto pubblico e di certezza dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, come nella specie, il mancato utile spetta nella misura integrale solo se si dimostra di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista dell'aggiudicazione.
In difetto di tale dimostrazione, che compete comunque al concorrente fornire, è da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi e da qui la decurtazione del risarcimento di una misura a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum, considerato anche che, ai sensi dell'art. 1227 c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno (cfr. Consiglio di Stato, questa Sezione, 20 aprile 2012, n. 2317).
Pertanto, è pienamente ragionevole stabilire una detrazione dal risarcimento del mancato utile nella misura del 50%.
Quanto alla residua questione relativa alla deroga pattizia all’entità degli interessi per ritardato pagamento, il Collegio rileva che effettivamente tale deroga, in quanto contrastante con l’art. 7 del d. lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, è nulla e tale nullità può essere rilevata d’ufficio incidentalmente ai fini di stabilire l’entità del risarcimento del danno e, in particolare la sussistenza e l’entità della mora che, nella responsabilità aquiliana è prevista dall’art. 1219 c.c.
Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere accolto, con conseguente risarcimento del danno ai sensi della motivazione, maggiorato di interessi e rivalutazione.
Per liquidare l’obbligazione di risarcimento del danno da fatto illecito, infatti, il giudice deve effettuare una duplice operazione; innanzitutto va reintegrato il danneggiato nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno non fosse stato prodotto, dovendosi così provvedere alla rivalutazione del credito, cioè alla trasformazione dell’importo del credito originario in valori monetari correnti alla data in cui è compiuta la liquidazione giudiziale; normalmente questa operazione viene effettuata avvalendosi del coefficiente di rivalutazione elaborato dall’Istat, applicando l’indice dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati, se non dimostrato un diverso indice di rivalutazione.
In secondo luogo, dovrà calcolarsi il cd. danno da ritardo, utilizzando il metodo consistente nell’attribuzione degli interessi (c.d. compensativi), da calcolare secondo i criteri già fissati dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 1712/95), secondo cui gli interessi (ad un tasso non necessariamente corrispondente a quello legale) vanno calcolati dalla data del fatto non sulla somma complessiva rivalutata alla data della liquidazione, bensì sulla somma originaria rivalutata anno dopo anno, cioè con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la predetta somma si incrementa nominalmente in base agli indici di rivalutazione monetaria.
a cura di Sonia Lazzini
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