lunedì 30 luglio 2012

non è allo stato possibile pronunciarsi sul risarcimento del danno per equivalente

Nulla si dispone in riferimento al risarcimento del danno per equivalente, in quanto non oggetto di domanda, limitata esclusivamente, anche nella memoria depositata in vista dell’udienza pubblica, alla mera richiesta di subingresso nel contratto de quo.

Invero, l'art. 124, 1° comma, secondo periodo, d.lg.vo 104/2010 stabilisce che "se il giudice non dichiara l'inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per equivalente, subito e provato".

Deve trattarsi, quindi, di danno "subito e provato", il che, per un verso, porta a ritenere, secondo i consolidati principi, confermati dall’art. 30 c.p.a., che stabilisce termini perentori per la domanda di risarcimento, che quest’ultima debba essere espressamente formalizzata per essere delibata; per un altro verso (cfr. T.A.R. L'Aquila, sez. I, 29 dicembre 2011, n. 752), <<porta ad escludere che possa trovare applicazione l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il danno va liquidato in via equitativa ex art. 2056 c.c., secondo il cd. utile di impresa previsto dall'art. 134 comma 2, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163 e quantificato dal legislatore nel 10% del prezzo a base d'asta depurato del ribasso offerto dal ricorrente (cfr. T.A.R. Basilicata, 8 ottobre 2010, n. 761; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 4 novembre 2010, n. 4552)>>.

Del resto, il codice esprime in maniera del tutto precisa quali siano i casi in cui è possibile, per un verso, la conversione dell’azione, per un altro, la pronuncia d’ufficio, piuttosto che su domanda di parte.

Nel primo senso, l’art. 32, comma 2, c.p.a. consente la qualificazione dell’azione da parte del giudice in considerazione degli elementi sostanziali introdotti in giudizio e tra questi, come premesso, nulla si dice da parte ricorrente, anche in quanto semplice richiesta o rappresentazione indiretta, in ordine alla sussistenza di danni patrimoniali subiti. Sicché, a causa della richiamata insussistenza di alcun elemento sostanziale costitutivo di tal tipo di azione risarcitoria, non appare neanche possibile, secondo quanto previsto dal secondo inciso della norma appena richiamata, la conversione della domanda prospettata di risarcimento espressa in forma specifica in quella per equivalente, seppur quest’ultima astrattamente costituisca un "minus" rispetto alla prima e ne rappresenti <<il sostitutivo legale sussidiario mediante prestazione dell'"eadem res debita", per cui la relativa domanda è contenuta in quella della reintegrazione in forma specifica>> (cfr. Cassazione civile sez. III, 21 maggio 2004, n. 9709).

Stante la premessa, il riconoscimento della possibilità di una decisione sul danno con ristoro per equivalente determinerebbe una pronuncia d’ufficio sulla questione, circostanza, questa, interdetta dal chiaro tenore dell’art. 35 del c.p.a., a mente del quale è possibile accedere a dette decisioni esclusivamente nelle ipotesi ivi tipizzate, tutte ricadenti sul rito e non sul merito del ricorso.

Coerentemente, l’art. 34 c.p.a., al comma 1, stabilisce che <<in caso di accoglimento del ricorso il giudice, “nei limiti della domanda” . . . . c) condanna al pagamento di una somma di danaro, anche a titolo di risarcimento del danno, all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e dispone misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell’art. 2058 del codice civile>>.
Sicché, impregiudicata ogni azione in separata sede, non è allo stato possibile, come premesso, pronunciarsi sul risarcimento del danno per equivalente.

Passaggio tratto dalla sentenza numero 1930 del 25 luglio 2012 pronunciata dal Tar Sicilia, Catania

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