Con i motivi di impugnazione rubricati sub 2 in entrambi gli appelli principali il Comune e la Società sostengono che sarebbe carente una loro colpa ex art. 2043 poiché la loro attività sarebbe stata “influenzata” dal comportamento del Controinteressata che prima ha firmato l’accordo e poi ha proposto ricorso al Giudice Amministrativo.
Entrambe detti motivi sono infondati perché è l’inerzia mantenuta, o comunque l’inefficienza dimostrata, nei cinque anni di validità della dichiarazione di pubblica utilità, che qualifica la colpa sia dell’ente espropriante sia del soggetto attuatore.
Costituisce, inoltre, chiaro e conferente presupposto di colpa anche la circostanza che non si sia provveduto in tempo all’eventuale proroga del termine, ovvero ad una nuova dichiarazione di pubblica utilità, onde salvare il procedimento ablatorio iniziato con la delibera n° 28 del 2002.
Né vale ad eliminare tale condizione di “colpa”, per dimostrata negligenza, il riferimento operato dal Comune alla parte della delibera n. 28 del 2002, che accolla all’IACP ed alla Società attuatrice “…ogni e qualunque obbligo finanziario, compresi i pagamenti agli aventi diritto…” , poiché una tale clausola è riferita all’attività fisiologica, per così dire, del procedimento espropriativo, ma non anche alla fase patologica provocata proprio dalla mancata proroga o rinnovazione della dichiarazione di pubblica utilità, effettuabile soltanto dal Comune.
Pertanto, anche sotto tale profilo, la sentenza impugnata può ritenersi immune dalle critiche al riguardo formulate.
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