giovedì 14 giugno 2012

il danno risarcibile deve essere limitato al lucro cessante_la sentenza va segnalata alla Corte dei Conti

Considerato, altresì, che la disposta condanna al risarcimento del danno nei confronti del Comune di Sassari potrebbe configurare anche un’ipotesi di danno erariale, si deve ordinare la trasmissione della presente sentenza alla Procura Regionale della Corte dei Conti per le conseguenti valutazioni.

Restano, quindi, da esaminare i profili connessi all’esatta quantificazione dei danni reclamati.

Osserva preliminarmente il Collegio che debbono essere respinte le pretese avanzate in riferimento alle spese sostenute per la partecipazione alla gara.

Come si è già precisato, costituisce circostanza pacifica che il raggruppamento Adanti avrebbe conseguito l’aggiudicazione ed il contratto se l’amministrazione avesse agito legittimamente.

Ciò conduce ad escludere la sussistenza di un danno emergente derivante dalle spese sostenute per la preparazione dell’offerta, suscettibili di risarcimento solo in caso di illegittima esclusione.

Sul punto, la giurisprudenza ormai consolidata ha chiarito che “Non sono risarcibili i costi sostenuti per la partecipazione alla procedura di gara che, invero, si colorano come danno emergente solo nei casi di illegittima esclusione (venendo in tal caso in considerazione la pretesa del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili) e non nei casi di danno per mancata aggiudicazione o per perdita della possibilità di aggiudicazione , in quanto la partecipazione alle gare d'appalto comporta per i partecipanti dei costi che, ordinariamente, restano a carico delle imprese medesime sia in caso di aggiudicazione che in caso di mancata aggiudicazione” (cfr. Tar Napoli Campania sez. VIII, 9 febbraio 2012, n. 689).

Detto orientamento è stato costantemente applicato anche da questo Giudice, il quale ha peraltro evidenziato che la valutazione di tale posta di danno condurrebbe a riconoscere “un risarcimento per equivalente superiore alle perdite patrimoniali subite dal danneggiato, violando pertanto un principio fondamentale in tema di risarcimento. Con il risultato che l’impresa concorrente percepirebbe, in sede risarcitoria, più di quanto avrebbe avuto se avesse eseguito il contratto, poiché beneficerebbe sia dei vantaggi economici che avrebbe avuto se non avesse stipulato ed eseguito il contratto oggetto di gara, sia dei lucri che avrebbe conseguito ove il contratto fosse stato eseguito. In definitiva, si cumulerebbero i danni da lesione dell’interesse negativo con quelli da lesione dell’interesse positivo, il che è da ritenere inammissibile sia alla luce dei principi (sopra richiamati) in materia di risarcimento del danno, sia perché il risarcimento assumerebbe, in questi casi, una valenza sanzionatoria e non semplicemente riparatoria” (Tar Sardegna, Sezione I, 12 agosto 2008, n. 1721) .

Pertanto, il danno risarcibile deve essere limitato al lucro cessante, corrispondente all’utile che le ricorrenti avrebbero ritratto dall’esecuzione del contratto, se la procedura di selezione si fosse svolta legittimamente.

Tratto dalla sentenza numero 564 del 5 giugno 2012  pronunciata dal Tar Sardegna, Cagliari


 Come è noto, la giurisprudenza tradizionale procede alla liquidazione del mancato utile nella misura del 10% dell’importo posto a base d’asta come ribassato dall’offerta presentata dal concorrente danneggiato; tale criterio trova il suo fondamento normativo nell’art. 345 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, Allegato F ed è attualmente ribadito nell’art. 158 del Codice dei contratti pubblici.

Questo Tribunale, muovendo dal pacifico presupposto che, in tema di risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, ricade interamente sul ricorrente l’onere della prova dell’esistenza e della quantificazione del danno (esigenza ribadita dall'art. 124 del c.p.a.: «...il giudice ... dispone il risarcimento del danno per equivalente, subito e provato»), ha in primo luogo affermato come sia ammissibile sopperire a tale prova (con riferimento al lucro cessante), richiamando l'art. 345 citato, «solo qualora il danno sia di ammontare incerto, ovvero, in relazione alla peculiarità del caso concreto, la precisa determinazione di esso sia difficoltosa, in quanto altrimenti il ricorrente potrebbe invocare il potere del giudice di liquidare il danno in via equitativa per sottrarsi al proprio onere probatorio» (così già in sez. I, 9 maggio 2006, n. 892). La statuizione è stata compiutamente argomentata con la successiva sentenza di questa Sezione (sez. I, 8 ottobre 2009 n. 1498) nella quale, «ricordato che in base al principio generale sancito dall’art. 2697 c.c, ai fini del risarcimento dei danni provocati da illegittimo esercizio del potere amministrativo, il ricorrente deve fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi invocare il principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti (Cons. Stato, 6 aprile 2009 n. 2143, Cons. St., sez. V, 13 giugno 2008, n. 2967; sez. V, 7 maggio 2008, n. 2080; ad. plen., 30 luglio 2007, n. 10; sez. VI, 2 marzo 2004, n. 973)», si ammette «la possibilità di ricorrere alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità» fermo restando l’ obbligo del ricorrente di «allegare circostanze di fatto precise». In tal senso, e condivisibilmente, è stato richiamato un consistente orientamento del Consiglio di Stato che considera infondata la domanda risarcitoria formulata in maniera del tutto generica, senza alcuna allegazione dei fatti costitutivi (Cons. Stato, 6 aprile 2009 n. 2143, Cons. Stato, sez. V, 13 giugno 2008, n. 2967; sez. IV, 4 febbraio 2008, n. 306).

Anche l’individuazione dei presupposti in presenza dei quali è possibile operare la valutazione equitativa dei danni è stata oggetto di esame da parte della Sezione, osservandosi come “pur apparendo certa l’esistenza dei danni lamentati (Cass. Civ., sez. I, 29 luglio 2009, n. 17677), non si può giungere alla loro liquidazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 del codice civile (quando non ricorra) l’ulteriore presupposto richiesto dalla norma codicistica, costituito dalla relativa impossibilità di fornire la prova del danno da parte del ricorrente ( si veda sul punto Cass. Civ., sez. III, 15 maggio 2009, n. 11331)” (così sez. I, 30 dicembre 2009, n. 2682; ma, in precedenza, si veda nello stesso senso la citata sez. I, 8 ottobre 2009 n. 1498).

12. - L’esigenza di ancorare la determinazione del danno risarcibile agli elementi allegati e provati dal concorrente danneggiato è stata ribadita dagli arresti giurisprudenziali cui è recentemente pervenuto il Consiglio di Stato, secondo cui “per la quantificazione del danno subito da chi sia stato illegittimamente pretermesso nella aggiudicazione di una gara pubblica, la giurisprudenza prevalente ha oramai superato l'orientamento secondo il quale il danno doveva essere quantificato nel 10% forfettario del prezzo a base d'asta, sostenendo che tale criterio, se pure capace di individuare in via presuntiva l'utile che l'impresa può trarre dall'esecuzione di un appalto, non può essere oggetto di applicazione automatica e indifferenziata, risultando per l'imprenditore ben più favorevole dell'impiego del capitale. Secondo il più recente orientamento è necessario invece che l'impresa fornisca la prova rigorosa della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell'appalto, con riferimento all'offerta economica presentata al seggio di gara (fra le tante: Consiglio Stato, sez. VI, 9 dicembre 2010, n. 8646; Consiglio Stato sez. V, 18 novembre 2010, n. 8091; Consiglio Stato sez. IV, 7 settembre 2010 n. 6485)” (Consiglio di Stato, sez. III, 12 maggio 2011, n. 2850).

13. - Sulla scorta di tali principi, deve essere disattesa la determinazione del quantum effettuata dalle odierne ricorrenti con riferimento al criterio equitativo del 10% delle spese preventivate per l’esecuzione dell’opera pubblica.

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