Il Consiglio di Stato, con una rivoluzionaria decisione (numero 1271 del 28 febbraio 2011) riconosce ad un cittadino il risarcimento danno da ritardo nel rilascio permesso di costruire
La novità non sta tanto nel riconoscimento del diritto al risarcimento del danno ingiusto, quanto nella componetene dello stesso: il Supremo giudice amministrativo, infatti, condanna la pa a risarcire euro 44.125,03 quale componente meramente patrimoniali ed euro euro 11.220 quale componente biologica (lesione alla salute ovvero diminuzione psico-fisica del danneggiato)
Così nella massima:
nel caso di specie, la già debole situazione psico-fisica del ricorrente è stata in concreto messa duramente alla prova da una attesa, apparsa a volte interminabile, della conclusione di un procedimento, da cui dipendeva la sorte dell’unica attività imprenditoriale in quel momento svolta. Il ritardo di due anni nella conclusione del procedimento e le già menzionate ripetute e pretestuose richieste, che hanno assunto l’unico scopo di dilazionare (illegittimamente) l’adozione del provvedimento finale, sono elementi che hanno finito per incidere sull’equilibrio psico – fisico del ricorrente, provocando un danno, che va quindi risarcito
Vediamo i fatti come si sono svolti nel giudizio di primo grado:
Già nel corso del giudizio di primo grado (conclusosi con la sentenza numero 623 del pronunciata dal Tar Puglia, Lecce) il ricorrente richiedeva la condanna del Comune di Leporano al risarcimento dei danni derivanti dall’<<enorme ritardo con cui l’Amministrazione ha provveduto a rilasciare il permesso di costruire in variante>>; in particolare, il danno risarcibile sarebbe costituito:
1) da una componente patrimoniale relativa al ritardo nella stipulazione dei contratti definitivi degli immobili costruiti (già oggetto di contratto preliminare) e, quindi, nel ritardato percepimento di quanto dovuto a titolo di corrispettivo;
2) da altra componente patrimoniale relativa alla controversia civile instaurata da uno dei promissari acquirenti dell’immobile (il Sig. Sergio V_) che ha chiesto, in sede giudiziale, la riduzione del prezzo pattuito per l’acquisto dell’immobile ed il risarcimento dei danni per il ritardo nella stipulazione del contratto definitivo;
3) da una componente non patrimoniale riportabile al <<notevole trauma psicologico>> derivante dall’illegittimo comportamento dell’Amministrazione e dalla conseguente <<sindrome depressiva reattiva con notevoli radicali di ansia somatizzata>> patita dal ricorrente.
I giudizi pugliesi però, sull’assunto che troppi fattori estranei al Comune avessero contribuito all’inerzia provvedimentale ed in considerazione quindi della mancanza di colpa dal parte dell’”apparato pubblico” , non riconoscevano il diritto ad ottenere alcun tipo di risarcimento.
Veniva infatti affermato che << Nel caso di specie, è assolutamente indubbio come si sia verificato il superamento del termine per il rilascio del permesso di costruire previsto dall’art. 20, 3°-8° comma del d.p.r. 6.6.2001 n. 380 ed individuato in 75 giorni dal ricevimento della domanda (60 per l’istruttoria e 15 per l’emanazione dell’atto); termine suscettibile di interruzione, per una sola volta, nel caso di <<motivata richiesta di documenti che integrino o completino la documentazione presentata e che non siano già nella disponibilità dell'amministrazione o che questa non possa acquisire autonomamente>> e prorogabile, fino ad un massimo di 150 giorni, con <<motivata risoluzione del responsabile del procedimento>>.
Il superamento dei termini procedimentali non può però esaurire la fattispecie risarcitoria, ma deve necessariamente essere accompagnato dalla necessaria ricerca in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo della responsabilità della p.a.
(…)
In definitiva, la ricostruzione più approfondita dello svolgimento procedimentale della vicenda evidenzia un contesto generale ampiamente caratterizzato da una serie di complesse problematiche, determinate, in parte, dal comportamento dello stesso ricorrente (che ha presentato una documentazione incompleta, corredata da elaborati grafici insufficienti e, comunque, non ha immediatamente prestato la collaborazione necessaria per chiarire l’intreccio di procedimenti autorizzatori che si era determinato presso la Soprintendenza ), in parte, dal comportamento di altri enti pubblici (il sostanziale dubbio in ordine alla legittimità del parere favorevole della Soprintendenza non è stato, infatti, superato dalla tardiva e laconica nota 18.4.2003 prot. n. 5427) ed in parte, dall’opportunità di attendere la definizione del ricorso proposto avverso il primo atto di assenso edilizio.
Nel caso di specie, siamo quindi in presenza di una fattispecie, caratterizzata dall’indubbio superamento del termine per la definizione del procedimento previsto dall’art. 20 del d.p.r. 380 del 2001, ma per effetto di una particolare complessità della fattispecie e di una serie di evenienze che non possono certamente essere imputate all’Amministrazione comunale di Leporano (che ha cercato più volte di chiarire i tanti nodi problematici che caratterizzavano l’intera vicenda) e che escludono certamente ogni possibilità di ravvisare il requisito soggettivo della colpa in capo all’Amministrazione resistente.
È poi necessario precisare che il giudizio in ordine all’impossibilità di ravvisare, nella fattispecie in decisione, la presenza del requisito soggettivo della colpa, indispensabile per l’integrazione della fattispecie risarcitoria, vale con riferimento, sia al funzionario agente (o, ai funzionari agenti, vista la necessità di sostituire il responsabile del procedimento, emersa durante la fase istruttoria), sia alla <<P.A. intesa come apparato>>, secondo la formulazione di Cass. S.U. 22.7.1999 n. 500; non bisogna, infatti, dimenticare che siamo in presenza di un contesto generale che non permette la presenza di quelle strutture (un legale incardinato nelle strutture dell’ente; maggiori dimensioni dell’Ufficio tecnico, all’epoca dei fatti costituito solo da due soggetti in grado di istruire la pratica) che avrebbero forse permesso una più celere trattazione dell’intricata vicenda.>>
Ma non solo: i giudici pugliesi ritengono che la richiesta di risarcimento del danno non sia da accettare anche per una serie di problematiche relative all’individuazione ed alla prova del danno risarcibile
Viene evidenziato infatti che << Per quello che riguarda la prima “posta” risarcitoria, costituita dai danni patrimoniali derivanti al ritardo nella stipulazione dei contratti definitivi degli immobili costruiti (e già oggetto di contratto preliminare), la Sezione deve rilevare come parte ricorrente non abbia assolutamente provato in giudizio il danno asseritamene subito, per effetto del comportamento dell’Amministrazione; in mancanza di qualsivoglia allegazione probatoria (contratti preliminari con relativo termine per la stipulazione del definitivo; contratti definitivi; ecc.), è quindi assolutamente impossibile l’accoglimento di un’azione risarcitoria per un danno assolutamente non dimostrato e, quindi, da ritenersi giudizialmente insussistente.
Con riferimento al danno patrimoniale, derivante dalla controversia civile instaurata da uno dei promissari acquirenti dell’immobile (il Sig. Sergio V_ che ha chiesto, in sede giudiziale, la riduzione del prezzo pattuito per l’acquisto dell’immobile ed il risarcimento dei danni per il ritardo nella stipulazione del contratto definitivo), deve poi rilevarsi come si tratti, allo stato, di un danno puramente ipotetico e non assistito da quella dimostrazione, <<anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate (della) ragionevole probabilità della verificazione futura del danno>> (Cassazione civile , sez. III, 27 luglio 2001 n. 10291, con riferimento al danno da perdita di chances) che ne permetterebbe la risarcibilità come danno futuro; si tratta, in altre parole, di una posta risarcitoria puramente ipotetica e condizionata alla definizione di un diverso giudizio (che potrebbe essere di alterno esito) e quindi non prospettabile in sede risarcitoria, neanche attraverso la prospettazione di una qualche forma di “manleva” che non trova certo nel presente giudizio, la sede adeguata.
La pretesa relativa al danno non patrimoniale derivante dal <<notevole trauma psicologico>> subito a causa dell’illegittimo comportamento dell’Amministrazione e dalla conseguente <<sindrome depressiva reattiva con notevoli radicali di ansia somatizzata>>, non può poi trovare accoglimento, per difetto di prova in ordine al nesso causale tra il comportamento dell’Amministrazione e l’infermità.
A questo proposito, sono sicuramente insufficienti le generiche considerazioni contenute nel parere medico-legale depositato in giudizio da parte ricorrente e che riducono l’intera problematica del nesso causale alle mere affermazioni del ricorrente (senza affrontare, neanche genericamente, la problematica della possibile sussistenza di altre cause giustificative dello stato patologico).>>
Il Consiglio di Stato ribalta la decisione di primo grado
Miglior fortuna quindi è spettata al ricorrente in sede di decisione di appello
I giudici del Consiglio di Stato, prima di tutto affrontano la questione del ritardo imputato all’amministrazione comunale e della colpa, che – secondo il ricorrente – caratterizzerebbe tale ritardo
Si legge infatti nella decisone di secondo grado :<<Gli elementi richiamati dal Tar non sono idonei a escludere la colpa dell’amministrazione per il ritardo nel provvedere .ancora più evidente è l’inidoneità delle ulteriori circostanze richiamate dal tar al fine di giustificare il ritardo>>
Il buona sostanza << emerge come il ritardo nel rilascio del permesso di costruire in variante sia imputabile soggettivamente al comune di Leporano e come non sussista alcun valido elemento idoneo a escludere la colpa dell’amministrazione per il ritardo
Anzi dagli atti risulta il rilascio del permesso di costruire in variante sia intervenuto solo dopo la presentazione da parte del ricorrente di un ricorso avverso il silenzio ai sensi dell’allora vigente art. 21-bis della L. Tar e ciò conferma come alcun elemento ostativo sussisteva per il rilascio del provvedimento, avvenuto solo dopo la presentazione del ricorso e con due anni di ritardo (anche seguendo le tesi del Comune, qui comunque non accolte, il ritardo di un anno sarebbe imputabile alla sola esigenza di procedere alla nomina del responsabile del procedimento e tale elemento è indicativo della colpevole inerzia tenuta dal comune in questa vicenda)>>.
Accertata la colpa, quando il danno è risarcibile?
Partendo dal presupposto che <<ricorre l’ipotesi in cui il privato invoca la tutela risarcitoria per i danni conseguenti al ritardo con cui l'amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma emanato appunto con ritardo rispetto al termine previsto per quel determinato procedimento.
Il ritardo procedimentale ha, quindi, determinato un ritardo nell’attribuzione del c.d. “bene della vita”, costituito nel caso di specie dalla possibilità di edificare secondo il progetto richiesto in variante>> il Supremo giudice amministrativo sancisce:
< la giurisprudenza è pacifica nell’ammettere il risarcimento del danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale danno sussista e venga provato) e l’intervenuto art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
La norma presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento, è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica (Cons. Giust. Amm. reg. Sic., 4 novembre 2010 n. 1368, che, traendo argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso e finanche se l’esito fosse stato in ipotesi negativo).
Nel caso di specie, non rileva la questione della risarcibilità del danno da ritardo in caso di non spettanza del c.d. “bene della vita” e della compatibilità dei principi affermati dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 7/2005 con il nuovo art. 2-bis della legge n. 241/90, avendo la stessa amministrazione riconosciuto tale spettanza con il (tardivo) rilascio del permesso di costruire in variante>>
Accerta la prova del danno ingiusto, a quanto ammonta il risarcimento patrimoniale ?
Poiché l’onere probatorio era stato, quindi, almeno in parte assolto dal ricorrente, che aveva fornito elementi per dimostrare l’imputabilità al ritardo di una serie di perdite patrimoniali subite e di una patologia medica riscontrata, il giudice di appello ha << ha i disposto due consulenze tecniche al fine di verificare la correttezza delle tesi del ricorrente, chiedendo, per il profilo inerente il ritardo nella stipula dei contratti, una serie di elementi idonei ad individuare criteri di quantificazione diversi da quelli prospettati dalla parte e ciò ha giustificato l’acquisizione in appello di documenti ulteriori, ritenuti indispensabili ai fini della decisione ai sensi dell’art. 104, comma 2, cod. proc. amm. (e, in precedenza, dell’art. 345, comma 3, c.p.c.), tenuto anche conto che tali profili non erano stati approfonditi in primo grado, essendosi il Tar limitato ad escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito>>
In conclusione il Collegio ritiene che il complessivo danno subito dal ricorrente per le conseguenze del ritardo nel rilascio del permesso di costruire sulle compravendite degli immobili ammonta complessivamente ad euro 44.125,03.
Ancor più interessante è la questione relativa al risarcimento del danno biologico
Stante l’assoluta novità della decisione, riportiamo qui interamente il seguente passaggio:
< Con riguardo all’ulteriore profilo di danno chiesto da ricorrente e relativo alla patologia medica, si ricorda che il giudice di primo grado aveva escluso la risarcibilità per difetto di prova in ordine al nesso causale tra il comportamento dell’Amministrazione e l’infermità.
E’ stato già evidenziato come in primo grado il ricorrente avesse fornito elementi di prova del danno e del nesso di causalità, ritenuti sussistenti in un parere medico-legale di parte, vertente su aspetti che sono stati approfonditi nella consulenza tecnica d’ufficio, disposta in appello.
Il Ctu dott. Mario B_, medico della Polizia di Stato, ha evidenziato la sussistenza della patologia “disturbo ansioso – depressivo reattivo con somatizzazioni somatiche, quali l’alopecia”, ritenendo l’insorgenza di tale infermità collocabile tra la fine del 2001 e l’inizio del 2002.
In relazione al nesso di causalità, il consulente ha rilevato che il disturbo riscontrato nel ricorrente trova la sua causa in “stimoli esterni capaci di influenzare negativamente le capacità di adattamento di un soggetto” e che “la condotta omissiva da parte dell’amministrazione comunale è stata vissuta dall’appellante come atto profondamente ingiusto e inspiegabile, al quale non ha saputo opporre adeguate risposte sul piano dell’elaborazione esistenziale”.
Il giudizio sulla sussistenza del nesso di causalità tra la patologia e il ritardo nel rilascio del permesso di costruire, benché fondato su valutazioni in parte probabilistiche, è condiviso dal Collegio.
Va, tuttavia, evidenziato che la quantificazione del danno biologico permanente nella misura di 10 punti percentuali non tiene conto del fatto che lo stesso Ctu ha ricondotto l’insorgenza dei primi avvisi della patologia ad un periodo (fine 2001 – inizio 2002), antecedente al manifestarsi dell’inerzia della p.a., anche se il Ctu ha poi rilevato che “la strutturazione di una vera patologia psichica è poi insorta nel maggio del 2004, … allorché iniziò i trattamenti in ambito dermatologico, peraltro infruttuosi, seguiti dal ricovero in casa di cura psichiatrica (luglio 2004)”.
Il nesso di causalità può ritenersi sussistente in relazione a tale seconda fase della patologia, e non alla sua insorgenza e, di conseguenza, il danno biologico permanente può essere equitativamente ridotto a 7 punti percentuali.
Va ricordato che il danno biologico costituisce quell’aspetto del danno non patrimoniale che afferisce all’integrità fisica della persona (Cass. civ., III, n. 19816/2010), assumendo i postumi d'invalidità personale natura patrimoniale solo in ipotesi di prova, nel caso di specie, insussistente, di idoneità ad incidere sulla capacità del danneggiato di produrre reddito (Cass. civ., III, n. 13431/2010).
A seguito delle note pronunce delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell’11 novembre 2008), l'ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale è esteso, oltre ai casi espressamente previsti dalla legge (art. 185 c.p.), alle ipotesi in cui l'inadempimento abbia leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla Costituzione, quali il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) denominato danno biologico, del quale è data, dagli artt. 138 e 139, d.lgs. n. 209/2005, specifica definizione normativa.
Nel caso di specie, il danno accertato dal Ctu è appunto il danno biologico, derivante dalla lesione del diritto inviolabile alla salute e deriva, inoltre, da un illecito di carattere permanente, costituito dall’inerzia della p.a. nel provvedere su una istanza del privato, che assume particolare valenza negativa, derivando dall’ingiustificata inosservanza del termine di conclusione del procedimento, che il legislatore ha, di recente, elevato all’ambito dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m), Cost. (v. il comma 2-bis., dell’art. 29 della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, che richiama appunto tra tali livelli essenziali l’obbligo per la p.a. di concludere il procedimento entro il termine prefissato e le disposizioni relative alla durata massima dei procedimenti).
Tale richiamo, benché effettuato ai fini di definire l’ambito di applicazione della legge n. 241/90 con riguardo al rapporto tra legislatore statale e regionale, assume una valenza pure per valorizzare e potenziare ogni forma di tutela, inclusa quella risarcitoria, per i danni da ritardo della p.a., che possono quindi riguardare anche le conseguenze di detto ritardo sull’integrità fisica del cittadino.
Nel caso di specie, la già debole situazione psico-fisica del ricorrente è stata in concreto messa duramente alla prova da una attesa, apparsa a volte interminabile, della conclusione di un procedimento, da cui dipendeva la sorte dell’unica attività imprenditoriale in quel momento svolta. Il ritardo di due anni nella conclusione del procedimento e le già menzionate ripetute e pretestuose richieste, che hanno assunto l’unico scopo di dilazionare (illegittimamente) l’adozione del provvedimento finale, sono elementi che hanno finito per incidere sull’equilibrio psico – fisico del ricorrente, provocando un danno, che va quindi risarcito.
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