giovedì 3 novembre 2011

Illegittima inerzia della amministrazione

il ricorso in esame va accolto solamente nella parte in cui è diretto ad ottenere una pronuncia giudiziale che stigmatizzi come illegittima l’inerzia dell’Amministrazione, la quale, pertanto, dovrà conformarsi al giudicato adottando un provvedimento idoneo ad infrangere l’illegittimo silenzio finora serbato

é illegittimo il silenzio serbato dall'amministrazione sull'istanza di un privato, essendo necessario che sulla stessa essa si pronunci, in modo positivo o negativo

l'obbligo di provvedere da parte dell'amministrazione sull'istanza del privato, la cui violazione rileva come ipotesi di silenzio-rifiuto, è costituito non solo da quello che deriva dalla legge ma anche da quello che discende da principi generali,

ovvero dalla peculiarità della fattispecie, per la quale ragioni di giustizia o riconducibili a rapporti esistenti (id est: a cc.dd. “obbligazioni da contatto” NdR) tra amministrazione e amministrati impongano l'adozione di un provvedimento, soprattutto al fine di consentire all'interessato di adire la giurisdizione per la tutela delle proprie ragioni

ogni procedimento avviato (o che prenda o che debba prendere avvio) in forza di una norma vigente, deve concludersi con un provvedimento espresso entro il termine previsto dalla normativa di settore che lo regola;

ovvero, in mancanza di tassative previsioni al riguardo, entro il termine fissato dalla stessa Amministrazione con apposito regolamento o (nel caso in cui manchi anche il regolamento sui termini procedimentali) con atto provvedimentale ad hoc;

nell’ipotesi estrema in cui manchi qualsiasi disposizione (di legge, regolamentare o provvedimentale) relativa al termine di conclusione del procedimento, quest’ultimo deve essere concluso entro e non oltre trenta giorni dalla proposizione dell’istanza.

E poiché nella fattispecie dedotta in giudizio l’Amministrazione non ha fissato (con regolamento o con atto provvedimentale ad hoc) il termine di conclusione del procedimento, non appare revocabile in dubbio - in mancanza di specifiche norme di settore al riguardo - che esso avrebbe dovuto essere concluso entro trenta giorni dall’istanza del ricorrente.

il giudizio avverso il silenzio-rifiuto della P.A., disciplinato dall'art. 2, legge n. 205/2000, non comporta il potere per il giudice di stabilire il contenuto concreto del provvedimento che l'amministrazione avrebbe dovuto emanare a seguito dell'istanza del privato. Il processo sul silenzio-rifiuto della P.A. è, infatti, diretto solo a indurre l'amministrazione a esprimersi sollecitamente sull'istanza del privato, mentre l'amministrazione competente conserva, pur dopo la sentenza che annulla un silenzio-rifiuto e fino all'insediamento del commissario, il potere di provvedere sull'istanza del privato

Passaggio tratto dalla sentenza numero 8321 del 31  ottobre 2011 pronunciata dal Tar Lazio, Roma


Ed invero, al riguardo, la giurisprudenza afferma costantemente:
- che “é illegittimo il silenzio serbato dall'amministrazione sull'istanza di un privato, essendo necessario che sulla stessa essa si pronunci, in modo positivo o negativo” (Consiglio Stato , sez. IV, 16 ottobre 2006 , n. 6168);
- che “l'obbligo di provvedere da parte dell'amministrazione sull'istanza del privato, la cui violazione rileva come ipotesi di silenzio-rifiuto, è costituito non solo da quello che deriva dalla legge ma anche da quello che discende da principi generali, ovvero dalla peculiarità della fattispecie, per la quale ragioni di giustizia o riconducibili a rapporti esistenti (id est: a cc.dd. “obbligazioni da contatto” NdR) tra amministrazione e amministrati impongano l'adozione di un provvedimento, soprattutto al fine di consentire all'interessato di adire la giurisdizione per la tutela delle proprie ragioni” (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 17 gennaio 2007, n. 315);
1.2.2. Quanto alla questione delle modalità di formazione del c.d. “silenzio-rifiuto”, la normativa vigente, correttamente invocata dalle ricorrenti, stabilisce:
- che ogni procedimento avviato (o che prenda o che debba prendere avvio) in forza di una norma vigente, deve concludersi con un provvedimento espresso entro il termine previsto dalla normativa di settore che lo regola; ovvero, in mancanza di tassative previsioni al riguardo, entro il termine fissato dalla stessa Amministrazione con apposito regolamento o (nel caso in cui manchi anche il regolamento sui termini procedimentali) con atto provvedimentalead hoc;
- e che nell’ipotesi estrema in cui manchi qualsiasi disposizione (di legge, regolamentare o provvedimentale) relativa al termine di conclusione del procedimento, quest’ultimo deve essere concluso entro e non oltre trenta giorni dalla proposizione dell’istanza.
E poiché nella fattispecie dedotta in giudizio l’Amministrazione non ha fissato (con regolamento o con atto provvedimentale ad hoc) il termine di conclusione del procedimento, non appare revocabile in dubbio - in mancanza di specifiche norme di settore al riguardo - che esso avrebbe dovuto essere concluso entro trenta giorni dall’istanza del ricorrente.
Il che non è avvenuto.
1.2.3. Per completezza espositiva va sottolineato che il Collegio non ritiene che sussistano le condizioni per decidere nel merito, ai sensi dell’art.31 del c.p.a., anche sulla fondatezza della c.d. pretesa sottostante delle ricorrenti (id est: quella volta ad ottenere una pronunzia che dichiari, più specificamente, l’obbligo dell’Amministrazione di adottare proprio e precisamente i provvedimenti inibitori e sanzionatori invocati).
Al riguardo la giurisprudenza afferma:
- che “nell'ambito di un giudizio che abbia ad oggetto il silenzio-rifiuto della p.a. a provvedere, la pronuncia del giudice si limita, di regola, soltanto all'accertamento dell'effettivo e perdurante inadempimento, in quanto finalizzata all'ottenimento di un provvedimento esplicito che elimini lo stato di inerzia illegittima” (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 24 aprile 2007 , n. 3674);
- che “in tema di silenzio, l'art. 2 comma 5, l. 7 agosto 1990 n. 241, secondo il quale il giudice « può » conoscere della fondatezza dell'istanza, è da intendersi nel senso che non può sorgere alcuna pretesa di valutazione della fondatezza dell'istanza se, per essa, è necessario acquisire gli elementi istruttori demandati ad un procedimento che o non si è mai svolto o si è svolto in modo incompleto senza giungere alla sua naturale conclusione con l'emanazione del provvedimento; infatti, in questi casi, il ricorrente non potrà ottenere una pronuncia sulla fondatezza della propria istanza perché il sorgere della situazione soggettiva che si vuole conseguire è, strutturalmente, condizionata alla formazione di atti e provvedimenti non ancora esistenti o all'effettuazione di valutazioni discrezionali non ancora compiute” (T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II, 20 ottobre 2006 , n. 2352);
- che “nei ricorsi giurisdizionali proposti a seguito del silenzio-rifiuto, il giudice adito non può sindacare il merito del procedimento amministrativo non portato a compimento, ma si deve limitare a valutare l'astratta accoglibilità della domanda del privato, in caso contrario finendo per sostituirsi radicalmente agli organi d'amministrazione attiva ed operando così apprezzamenti e scelte discrezionali d'esclusiva competenza di questi ultimi” (Consiglio Stato , sez. IV, 19 febbraio 2007 , n. 866);
- che “il giudizio avverso il silenzio-rifiuto della P.A., disciplinato dall'art. 2, legge n. 205/2000, non comporta il potere per il giudice di stabilire il contenuto concreto del provvedimento che l'amministrazione avrebbe dovuto emanare a seguito dell'istanza del privato. Il processo sul silenzio-rifiuto della P.A. è, infatti, diretto solo a indurre l'amministrazione a esprimersi sollecitamente sull'istanza del privato, mentre l'amministrazione competente conserva, pur dopo la sentenza che annulla un silenzio-rifiuto e fino all'insediamento del commissario, il potere di provvedere sull'istanza del privato” (Consiglio Stato , sez. VI, 02 febbraio 2007 , n. 427).

Ora, allo stato degli atti il Collegio non ritiene di avere sufficienti elementi di giudizio per affermare che l’adozione dei provvedimenti inibitori e sanzionatori richiesti dalle ricorrenti siano effettivamente “atti dovuti”, essendo necessario - al riguardo - esperire la necessaria attività istruttoria e di accertamento. Appare opportuno - dunque - che l’Amministrazione verifichi se quanto affermato dalle ricorrenti risponde a verità; e che chiarisca, in caso affermativo, le ragioni giuridiche sulle quali si fonda il suo eventuale rifiuto a provvedere in conformità alle loro richieste.

Da quanto fin qui osservato consegue che il ricorso in esame va accolto solamente nella parte in cui è diretto ad ottenere una pronuncia giudiziale che stigmatizzi come illegittima l’inerzia dell’Amministrazione, la quale, pertanto, dovrà conformarsi al giudicato adottando un provvedimento idoneo ad infrangere l’illegittimo silenzio finora serbato.

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