L’autonomia del giudizio di responsabilità amministrativa implica che esso si instauri per effetto di un preciso ed incontrovertibile dato fattuale e giuridico: il danno ingiusto derivato al Pubblico Erario per effetto di una condotta, commissiva o omissiva, caratterizzata da dolo o da colpa grave, tenuta dal dipendente o dall’amministratore pubblico, indipendentemente dal fatto che tale medesima condotta integri, o meno, anche una fattispecie avente rilevanza penale; ed implica, ancora, anzi, determina necessariamente, che in siffatto giudizio il dipendente e/o amministratore pubblico, anche legittimamente pretermesso nel giudizio civile risarcitorio instaurato verso la sola Amministrazione di appartenenza ritenuta responsabile ex art.28 Cost., abbia modo di dispiegare ed allegare, pur in presenza dell’intervenuto accertamento della verità storica dei fatti nella sede processuale civile, o penale, ogni circostanza escludente la propria responsabilità amministrativa, che è diversa, per struttura e funzione, tanto da quella penale che da quella ordinaria civile e risarcitoria.
è “il fatto” del risarcimento del danno al terzo, posto in essere dall’Amministrazione a ciò condannata, a costituire il presupposto per l’esercizio dell’azione di responsabilità, il cui esame, viene svolto autonomamente dal Giudice della Corte dei conti
l’intensità e la gravità della colpa non costituisce elemento essenza per l’affermazione dell’“an debeatur” in sede civile.
Ed è nella sede propria del giudizio di responsabilità amministrativa che l’autore del fatto, anche non evocato nel precedente giudizio civile instauratosi verso la Pubblica Amministrazione , potrà far valere le ragioni e le peculiarità psicologiche della propria condotta, al fine di evidenziare la estraneità al “tipo” della condotta gravemente colposa, sì da non incorrere nella pronuncia di condanna risarcitoria.
Passaggio tratto dalla sentenza numero 31 del26 gennaio 2010 pronunciata dalla Corte dei Conti della Basilicata
La fattispecie di danno pubblico che il Collegio è oggi chiamato ad esaminare si colloca nella figura del c.d. “danno indiretto”.
Questo si concretizza in presenza di una sentenza civile che condanni l’Amministrazione a risarcire il terzo danneggiato da atti e/o comportamenti alla stessa riconducibili – in quanto posti in essere da propri dipendenti e/o amministratori – ed a seguito della quale venga esercitata l’azione di responsabilità amministrativa per rivalersi nei confronti del suddetto dipendente e/o amministratore la cui azione o omissione colposa abbia causato il danno che l’Amministrazione ha dovuto risarcire.
La descritta dinamica pone vari problemi di coerenza ed omogeneità valutativa, sui quali tanto la dottrina che la giurisprudenza hanno avuto modo di indugiare, come peraltro rappresentato doviziosamente dal difensore costituito nella relativa memoria difensiva, e che la Corte dei conti, sul punto confortata dalla giurisprudenza di Cassazione, si è sempre sforzata di risolvere salvaguardando il principio dell’autonomia del proprio potere valutativo, in ragione delle specificità e peculiarità della responsabilità che essa è chiamata ad accertare.
La descritta premessa metodologica, alla quale questo Giudicante non può sottrarsi, appare così in linea con quanto sollecitato dal difensore del convenuto circa la “separatezza ed autonomia” dei criteri di giudizio da adottare in questa sede processuale rispetto ai percorsi argomentativi ed interpretativi seguiti – sui medesimi fatti di causa – dal giudice penale e da quello civile.
Il suddetto principio, affermato anche in sede di appello (Corte dei conti Sez. II^, 11.4.2007, n.118),è stato di recente ribadito da Corte dei conti Sez. Abruzzo, secondo la quale “non osta ad una autonoma valutazione l’effetto di giudicato della pronuncia definitiva nel giudizio civile intercorso tra il Comune ed il Consorzio, giacché dal giudicato civile devesi far derivare l’effetto di attualizzare un danno risarcibile, ma non anche il vincolo in ordine all’accertamento della materialità dei fatti ivi dedotti o alla loro qualificazione giuridica”. Nello stesso senso, si veda Corte dei conti Sez. Lazio, 27.2.2001, n.383; Sez. II^ C/A 26.3.1998, n.101; Sez.III^ C/A 3.2.1998, n.25.
Tale autonomia consente a questo Giudicante di formare il proprio convincimento, circa la responsabilità contestata al convenuto, su elementi comunque desunti dal contenuto del giudizio civile – ed in ciò risiede la non completa ininfluenza del primo giudizio sul secondo – e tuttavia suscettibili di una valutazione conducente verso un giudizio anche non conforme al precedente giudicato.
Più in particolare, ed é quello che al Collegio preme sottolineare, il Giudice civile, nell’accertare la responsabilità della Pubblica Amministrazione per fatto del proprio dipendente, si limita a verificare l’esistenza di un’attività meramente colposa di questi, attraverso un giudizio che può essere definito anche senza l’intervento del dipendente, il quale non è litisconsorte necessario, e senza definire il grado e l’intensità di detto elemento psicologico (colpa); l’intensità e la gravità della colpa non costituisce elemento essenza per l’affermazione dell’“an debeatur” in sede civile.
D’altra parte, è “il fatto” del risarcimento del danno al terzo, posto in essere dall’Amministrazione a ciò condannata, a costituire il presupposto per l’esercizio dell’azione di responsabilità, il cui esame, si ripete, viene svolto autonomamente dal Giudice della Corte dei conti.
Ed è nella sede propria del giudizio di responsabilità amministrativa che l’autore del fatto, anche non evocato nel precedente giudizio civile instauratosi verso la Pubblica Amministrazione , potrà far valere le ragioni e le peculiarità psicologiche della propria condotta, al fine di evidenziare la estraneità al “tipo” della condotta gravemente colposa, sì da non incorrere nella pronuncia di condanna risarcitoria.
Ne consegue che l’articolato meccanismo di accertamento della responsabilità per danno indiretto consente da un lato l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa in ragione dell’esistenza del semplice “fatto” della condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno per fatto del proprio dipendente (ovvero del “fatto” di una pronuncia di lodo arbitrale “sfavorevole”), e, dall’altro, assicura, all’interno del proprio dispiegamento, la piena ed illimitata prospettazione di tutti gli elementi utili alla corretta qualificazione della condotta, della causalità e della intensità dell’elemento psicologico che valgono a conferire autonoma dignità e rilevanza alla posizione dell’autore del fatto nella sede specificatamente deputata all’accertamento della responsabilità del medesimo.
I surrichiamati principi valgono a ritenere non fondate le eccezioni prospettate dalla difesa circa la opponibilità delle conseguenze civili scaturenti dall’accertamento del reato dell’omicidio preterintenzionale a carico del funzionario e circa la automatica trasferibilità al funzionario delle risultanze del giudizio civile risarcitorio instauratosi e svoltosi verso la sola Amministrazione di appartenenza di questi.
L’autonomia del giudizio di responsabilità amministrativa implica che esso si instauri per effetto di un preciso ed incontrovertibile dato fattuale e giuridico: il danno ingiusto derivato al Pubblico Erario per effetto di una condotta, commissiva o omissiva, caratterizzata da dolo o da colpa grave, tenuta dal dipendente o dall’amministratore pubblico, indipendentemente dal fatto che tale medesima condotta integri, o meno, anche una fattispecie avente rilevanza penale; ed implica, ancora, anzi, determina necessariamente, che in siffatto giudizio il dipendente e/o amministratore pubblico, anche legittimamente pretermesso nel giudizio civile risarcitorio instaurato verso la sola Amministrazione di appartenenza ritenuta responsabile ex art.28 Cost., abbia modo di dispiegare ed allegare, pur in presenza dell’intervenuto accertamento della verità storica dei fatti nella sede processuale civile, o penale, ogni circostanza escludente la propria responsabilità amministrativa, che è diversa, per struttura e funzione, tanto da quella penale che da quella ordinaria civile e risarcitoria.
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