La giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti comporta l’autonomia di valutazione dei fatti accertati nel giudizio risarcitorio civile
In vero, come giustamente osservato dalla Procura in udienza, la tesi propugnata dalle difese dei convenuti si pone, innanzitutto, in contrasto con il precetto di portata generale, consacrato nell’art.22 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n.3 (c.d. T.U. Impiegati civili dello Stato), il quale, dopo aver statuito che “l'impiegato che, nell'esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi o dai regolamenti, cagioni ad altri un danno ingiusto ai sensi dell'art. 23 è personalmente obbligato a risarcirlo” (comma 1), aggiunge che “l'amministrazione che abbia risarcito il terzo del danno cagionato dal dipendente si rivale agendo contro quest'ultimo a norma degli articoli 18 e 19…” (comma 2). Ed in proposito, non v’è chi non veda come la richiamata disposizione normativa, nel suo chiaro tenore letterale, leghi l’insorgenza dell’obbligo di rivalsa e, dunque, l’esistenza di un interesse ad agire intestato alla Procura erariale, al semplice fatto del risarcimento del terzo danneggiato, per il tramite di un atto univocamente indirizzato a tal fine da parte dell’Amministrazione interessata.
Al riguardo, si consideri, oltretutto, che legare in via esclusiva l’insorgenza di un debito certo, liquido ed esigibile al mero dato (formale) del passaggio in giudicato della sentenza civile, condurrebbe a sostenere che, prima del formarsi del medesimo giudicato, non sussista alcun accertamento della responsabilità civile diretta ex art.28 Cost. ed alcun danno a carico della P.A. interessata.
Passaggio tratto dalla sentenza numero 124 del 22 febbraio 2011 pronunciata dalla Corte dei Conti della Lombardia
E’ d’obbligo, quindi, prescindere del tutto dal carattere di irrevocabilità (o meno) della sentenza fondante, come nel caso di specie, l’atto formale di riconoscimento del relativo debito fuori bilancio – pari al danno erariale contestato di euro 65.875,23 – integrante una incisione concreta ed attuale delle pubbliche risorse, senza che assuma rilievo, a tal fine, il carattere definitivo (o meno) della deminutio patrimonii considerata (cfr. in senso conforme ex multis: C. Conti, II Sez. Centrale, n.195/A/2004; 198/A/2004; Sez. III Centrale n.440/2003; Sez. Lombardia, n.189/2007; n.380/2003; n.695/2005; n.543/2006; n.170/2006).
D’altronde, l’ordinamento (già) prevede adeguati strumenti che consentono al soggetto condannato in sede contabile, in caso di ribaltamento della sentenza civile di condanna della P.A. verso il terzo, di ripetere nei confronti dell’Amministrazione interessata (soggetto di norma solvibile) quanto sia stato costretto a pagare: nel caso, trattasi dell’art.2033 c.c. in tema di indebito oggettivo.
Diversamente opinando, si introdurrebbe surrettiziamente una insussistente pregiudizialità civile rispetto al giudizio contabile. Sul punto, merita di essere richiamato quanto espressamente dichiarato, proprio in tema di danno patrimoniale indiretto conseguente a responsabilità “medica” accertata con sentenza civile non definitiva, dalla Sezione Lazio , con la sentenza n.36 del 12 gennaio 2010. Ivi, la Sezione ha avuto modo di ribadire il carattere esclusivo della giurisdizione contabile nelle materie di contabilità pubblica (già affermato, tra le altre, da Cass. SS.UU. n.22059/2007), tra le quali materie si annoverano “le controversie relative ai rapporti interni tra ente pubblico e suo dipendente, coobbligati in solido tra di loro, nei casi – come in quello all’esame – di preventiva escussione dell’ente medesimo, da parte del terzo danneggiato (Sez. Prima Giurisdizionale Centrale d’Appello, sent. n.600 del 26.10.2009)”. Aggiunge la Sezione Lazio , per quanto di interesse nella fattispecie all’esame, che “…connota siffatta giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti l’autonomia di valutazione dei fatti accertati nel giudizio risarcitorio civile…L’assenza di un giudicato dell’A.G.O. connotato da definitività, pertanto, non può rappresentare un elemento ostativo alla prosecuzione del giudizio di responsabilità amministrativa…”.
C’è da tenere, peraltro, conto di una sentenza di prime cure che, ancorché non definitiva, risulti provvisoriamente esecutiva per espressa volontà legislativa (art.282 c.p.c. per le sentenze di primo grado, art.373 c.p.c. per le sentenze di secondo grado) e, pertanto, il debito riconosciuto e pagato per effetto di una sentenza di merito provvisoriamente esecutiva riveste, ad ogni effetto, i requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità. L’art.474 c.p.c., al primo comma, statuisce infatti che “l'esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile”, annoverando, al successivo comma, tra i titoli esecutivi, proprio “le sentenze e i provvedimenti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva” (così le sentenze di primo e secondo grado, ai sensi, rispettivamente, degli artt. 282 e 373 c.p.c.).
Risulta conseguentemente conforme all’ordinamento che il pagamento necessitato da una sentenza provvisoriamente esecutiva, seppure antecedente al suo passaggio in giudicato, cristallizzi un pregiudizio attuale al patrimonio della P.A.
Al riguardo, si consideri, oltretutto, che legare in via esclusiva l’insorgenza di un debito certo, liquido ed esigibile al mero dato (formale) del passaggio in giudicato della sentenza civile, condurrebbe a sostenere che, prima del formarsi del medesimo giudicato, non sussista alcun accertamento della responsabilità civile diretta ex art.28 Cost. ed alcun danno a carico della P.A. interessata.
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