venerdì 1 luglio 2011

Il Consiglio di Stato riconosce l’80 % delle retribuzioni spettanti mentre non risultano provati né il danno esistenziale né quello morale

Bisogna individuare l’entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale che trovino causa nella condotta illecita del datore di lavoro

è certamente ed intuitivamente percepibile l’esistenza di un grave pregiudizio materiale per effetto della mancata assunzione, e non può altresì non assumere rilievo la gravità della colpa riferibile alla amministrazione comunale la quale si è scientemente e ripetutamente sottratta all’obbligo di dare puntuale esecuzione alle ripetute sentenze giurisdizionali, come già evidenziato.

Non può trovare accoglimento, invece, l’ulteriore domanda intesa al risarcimento dei danni morali ed esistenziali che l’appellante assume di aver patito, siccome non assistita da alcun principio di prova

Di Sonia Lazzini

riportiamo qui di seguito un passaggio tratto dalla decisione numero 3439  del 30 giugno 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

Venendo ora alla quantificazione del danno risarcibile, ed iniziando dal lucro cessante, non può accogliersi la richiesta dell’appellante di commisurare tale danno all’intero ammontare delle retribuzioni non percepite a partire dalla data della mancata assunzione a quella dell’effettivo collocamento in servizio. Infatti, come costantemente precisato dalla giurisprudenza anche di questa Sezione, in sede di quantificazione per equivalente del danno in ipotesi di omessa o ritardata assunzione, questo non si identifica in astratto nella mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione (elementi che comporterebbero una vera e propria restitutio in integrum e che possono rilevare soltanto sotto il profilo, estraneo al presente giudizio, della responsabilità contrattuale), occorrendo invece caso per caso individuare l’entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale che trovino causa nella condotta illecita del datore di lavoro (cfr. Cons. Stato, Sez. V 10 maggio, n.2750; sez. IV, 6 luglio 2009, n. 4325; Cass. civ., sez. un., 14 dicembre 2007, n. 62282; id., 21 dicembre 2000, n. 1324).

Pertanto il danno risarcibile può essere quantificato equitativamente e, in applicazione del combinato disposto degli atti artt. 2056, commi 1 e 2, e 1226 c.c., determinato in una somma pari all’80 % delle retribuzioni che sarebbero state corrisposte nel periodo decorrente dalla data della mancata assunzione a quella dell’effettivo collocamento in servizio, con esclusione di quanto a qualsiasi titolo percepito dall’interessata nel medesimo periodo per attività lavorative; al riconoscimento delle spettanze retributive si ricollega l’obbligo di regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale (sempre nei limiti appena precisati).

Le somme così determinate andranno incrementate per rivalutazione monetaria e interessi compensativi al tasso legale, questi ultimi nella misura eccedente il danno da svalutazione, da calcolarsi a partire dalla data di pubblicazione della sentenza.


Non può trovare accoglimento, invece, l’ulteriore domanda intesa al risarcimento dei danni morali ed esistenziali che l’appellante assume di aver patito, siccome non assistita da alcun principio di prova.

Pertanto, non può aderirsi alla prospettazione dell’istante, secondo cui il mancato reperimento di altro impiego sarebbe da ricondurre causalmente alla frustrazione cagionata dalla vicenda amministrativa per cui è causa, piuttosto che alle ordinarie e notorie difficoltà che affliggono il mercato del lavoro in territori come quello della Regione Campania.

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