giovedì 6 dicembre 2012

revoca legittima_si tratta di indennizzo e non di risarcimento del danno

Nella fattispecie in esame, il provvedimento impugnato, emesso a distanza di cinque anni dall’aggiudicazione dell’appalto e determinato dalla opportunità di una riconsiderazione generale dell’intervento, ormai insufficiente nella sua portata originaria, non può considerarsi integrare una ipotesi di responsabilità ex art. 1337 cod. civ. (che assume la colpa quale elemento fondante),

ma si qualifica come revoca ai sensi dell’art. 21 quinquies, poiché sia la nuova riconsiderazione dell’interesse pubblico al restauro completo del complesso archeologico, sia il mutamento della situazione di fatto evidenziano la legittimità della riconsiderazione dell’interesse pubblico ad evitare una spesa di risorse pubbliche inutili a risolvere i problemi nel frattempo emersi.

La riconsiderazione dell’interesse pubblico, operata dall’Amministrazione in relazione a diverse e sopravvenute esigenze connesse al progetto dell’opera appaltata, rende, in conclusione, legittima la revoca, a nulla rilevando, contrariamente a quanto ha dedotto l’appellante, che dette esigenze siano il frutto anche di una inesatta valutazione dell’interesse pubblico e della incongruenza del progetto originario da parte dell’Amministrazione appaltante (in termini, Cons. Stato, sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 662).
Ne deriva che erroneamente la società appellante deduce la violazione dell’affidamento per effetto della revoca impugnata, poiché, come si è detto, tale posizione soggettiva, e la tutela che vi è connessa, attengono al diverso ambito della responsabilità per colpa precontrattuale, presidiata dall’art. 1337 cod. civ., e non al campo dei poteri che l’ordinamento attribuisce alla pubblica Amministrazione nel perseguire l’attualità dell’interesse pubblico, mediante il ritiro di atti anche incidenti su perduranti assetti negoziali.
Per lo stesso motivo non può essere valorizzata, contrariamente a quanto ha dedotto l’appellante, la violazione degli obblighi di correttezza e buona fede, anch’essi rilevanti quali presupposti della fattispecie risarcitoria, e non invece quali presupposti della revoca ex art. 21 quinquies.
Simmetrico errore, peraltro, affligge la sentenza impugnata, laddove imputa alla ricorrente “l’insufficiente allegazione e dimostrazione in ordine agli effettivi nocumenti subiti”, dimostrazione che rileverebbe laddove la fattispecie rientrasse nell’ambito del risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione, danno che allora sarebbe da parametrare sia sul danno emergente, sia, ove provata, sulla perdita di ulteriori favorevoli occasioni contrattuali, sia sul danno curriculare, in caso di mancata stipulazione del contratto a fronte di aggiudicazione definitiva.
Trattandosi invece, come si è detto, non di responsabilità ex art. 1337 cod. civ., ma di revoca ai sensi dell’art. 21 quinquies, la conseguenza a carico dell’Amministrazione non va inquadrata nell’ambito del risarcimento del danno, ma dell’indennizzo per atto legittimo.
Tale indennizzo deve essere commisurato, secondo l’art. 21 quinquies citato, al solo danno emergente: vengono così in evidenza i costi sostenuti dall’appellante fino al momento della revoca, sia per la partecipazione alla gara, sia per le lavorazioni preliminari effettuate in accordo con la Soprintendenza.
Trattandosi di indennizzo, l’importo non deve, peraltro, coincidere con l’effettivo esborso sopportato, ma può essere equitativamente liquidato.
Tuttavia, la quantificazione operata dai primo giudici nella misura di 2.000 euro appare effettivamente eccessivamente esigua, come sostiene il terzo motivo d’appello (tenuto conto dell’importo dei lavori originariamente concordato, nonché della statuizione delle spese sopportate per il giudizio, che il Tar ha compensato tra le parti, così non rendendo effettiva la tutela spettante alla parte risultata vincitrice della controversia).

La sentenza impugnata merita, pertanto, riforma sia nella parte qualificatoria della fattispecie, sia nella parte in cui quantifica l’indennizzo da corrispondere alla ricorrente, indennizzo che il Collegio ritiene equo determinare nella somma forfettaria di 7.000 (settemila) euro



a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione    numero 5993 del  27 novembre  2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

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