giovedì 6 dicembre 2012

mancata impugnazione può essere comportamento contrario a buona fede_ex art 1227 CC

sulla regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l'impugnazione del provvedimento amministrativo e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall'ordinamento, oggi sancita dall'art. 30, comma 3 del codice del processo amministrativo

costituisce approdo pienamente condiviso dal Collegio quello per cui il principio (ormai espressamente codificato nell’ultima parte del comma 3 dell’art. 30: “in tema di responsabilità civile della P.A. l'art. 30, comma 3, CPA pur non richiamando espressamente l'art. 1227, comma 2, c.c. ne recepisce in sostanza il principio informatore allorché afferma che l'omessa attivazione da parte dell'interessato degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell'esclusione o della riduzione del danno evitabile con l'ordinaria diligenza, in una logica che vede l'omessa impugnazione dell'atto lesivo non più come preclusione del rito, ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio della sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile.” -T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, 07-06-2012, n. 1053- ) di cui al comma 2 dell’art. 1227 del codice civile debba applicarsi anche alle domande risarcitorie proposte antecedentemente alla sua espressa codificazione , essendosi condivisibilmente affermato che “in tema di responsabilità civile della P.A., la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l'impugnazione del provvedimento amministrativo e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall'ordinamento, oggi sancita dall'art. 30, comma 3, CPA (d.lgs. n. 104/2010), deve ritenersi ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un'interpretazione evolutiva del comma 2, art. 1227 c.c. Pertanto l'omessa attivazione degli strumenti di tutela costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell'esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l'ordinaria diligenza, non più come preclusione di rito, ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile” (Cons. Stato Sez. IV, 26-03-2012, n. 1750 , ma anche T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. I, 08-05-2012, n. 426).

In particolare, - premesso che sull’applicabilità del disposto di cui all’art. 1227 cc alle domande risarcitorie proposte innanzi alla giurisdizione amministrativa era già stata raggiunta in passato una sostanziale concordanza di opinioni (ex multis: Cons. Stato Sez. VI, 24-09-2010, n. 7124, ma anche Cons. Stato Sez. VI, 22-10-2008, n. 5183 ) - con una recente pronuncia questo Consiglio di Stato ha affermato che “proposta domanda risarcitoria dinanzi al Giudice Amministrativo, e pur nella piena autonomia di tale azione rispetto a quella diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità dell'atto amministrativo dal quale trae origine il preteso danno, ai fini della verifica in ordine alla sussistenza del nesso di causalità, occorre accertare se la domanda di risarcimento sia da dichiararsi comunque infondata a causa della rilevanza sostanziale, sul versante causale, della mancata impugnazione dell'atto lesivo, da considerarsi come fatto valutabile ai sensi dell'art. 1227 c.c. al fine di escludere la risarcibilità dei danni che, secondo un giudizio causale ipotetico prognostico, sarebbero stati evitati attraverso una tempestiva impugnazione ed una richiesta cautelare di sospensione dell'atto lesivo. All'uopo deve, tuttavia, rilevarsi come non sia esigibile, affinché il comportamento del creditore possa intendersi conforme all'ordinaria diligenza, il necessario esperimento da parte sua degli ordinari rimedi giurisdizionali di impugnazione, in quanto ciò sarebbe contrario alla ratio della norma di cui all'art. 30, c.p.a. (D.Lgs. n. 104 del 2010) che ha escluso la necessità di previa impugnazione dell'atto ai fini dell'ammissibilità dell'azione di risarcimento del danno patrimoniale, nonché alla lettera del comma terzo, che chiaramente si riferisce a strumenti di tutela, non già di tutela giurisdizionale e comunque non li considera ineluttabili. In circostanze siffatte, dunque, è sufficiente che l'Amministrazione sia stata messa in condizione, tramite un apposito “avviso di danno” consistente nell'invito all'autotutela, di ritornare sul proprio atto, assolvendo, in un regime di risarcibilità della lesione dell'interesse legittimo, l'obbligo ( o, meglio, l'onere) di annullamento d'ufficio dell'atto illegittimo, al fine di evitare di incorrere nella condanna al risarcimento del danno anche per le spese ulteriori sostenute dal privato.” (Cons. Stato Sez. V, 29-11-2011, n. 6296).
Sotto altro profilo, ed in ogni caso, è stato chiarito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che “i principi del nuovo codice del processo amministrativo, in coerenza con la delega (art. 44, comma 2, lett. b, n. 4, legge n. 69/2009) sono applicabili anche ai processi in corso e consentono di superare la limitazione della tutela dell'interesse legittimo al modello impugnatorio, ammettendo azioni tese al conseguimento di pronunce dichiarative, costitutive e di condanna a tutela del cittadino. Di qui, la trasformazione del giudizio amministrativo, da giudizio sulla legittimità dell'atto, a giudizio sul rapporto regolato dal medesimo atto, volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata. Nel merito, il risarcimento è negato applicando il principio della causalità ipotetica, previsto dall'art. 1227, comma 2, c.c., perché con la tempestiva utilizzazione dei rimedi previsti il privato avrebbe evitato il pregiudizio lamentato.”Cons. Stato (Ad. Plen.), 23-03-2011, n. 3
Più in dettaglio, è stato nell’occasione rimarcato che nelle controversie alle quali non si applica il c.p.a. la mancata impugnazione di un provvedimento amministrativo può essere ritenuto un comportamento contrario a buona fede nell'ipotesi in cui si appuri che una tempestiva reazione avrebbe evitato o mitigato il danno. La scelta di non avvalersi della forma di tutela specifica e non (comparativamente) complessa che, grazie anche alle misure cautelari previste dall'ordinamento processuale, avrebbe plausibilmente (ossia più probabilmente che non) evitato, in tutto o in parte il danno, integra violazione dell'obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l'effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile. Detta omissione, apprezzata congiuntamente alla successiva proposizione di una domanda tesa al risarcimento di un danno che la tempestiva azione di annullamento avrebbe scongiurato, rende configurabile un comportamento complessivo di tipo opportunistico che viola il canone della buona fede e, quindi, in forza del principio di auto-responsabilità cristallizzato dall'art. 1227, comma 2, c.c., implica la non risarcibilità del danno evitabile.(Cons. Stato, Ad. Plen, 23-03-2011, n. 3).



a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione    numero 6036 del  28 novembre  2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

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