rare sono le ipotesi nelle quali la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha affermato la responsabilità di uno Stato considerandola in re ipsa sulla scorta della mera violazione di una norma o di un principio comunitario
In tale prospettiva, gli orientamenti testé richiamati, piuttosto che discostarsene, si pongono in significativa convergenza con gli approdi della Corte di giustizia dell’Unione Europea in tema di accertamento degli elementi costitutivi della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario.
Infatti, un’analisi attenta della casistica giurisprudenziale in subiecta materia rivela che ben rare sono le ipotesi nelle quali la Corte ha affermato la responsabilità di uno Stato considerandola in re ipsa sulla scorta della mera violazione di una norma o di un principio comunitario; queste ipotesi, inoltre, sono sempre relative a fattispecie nelle quali la normativa comunitaria di riferimento, oltre che immediatamente applicabile all’interno degli Stati membri, era anche estremamente analitica e dettagliata, in modo da lasciare poco o nessun margine di discrezionalità agli Stati membri (ciò è avvenuto, ad esempio, nel settore degli appalti pubblici, sul quale pure in appresso si tornerà).
Più in generale, laddove si è posto il problema di individuare indici rivelatori del carattere “grave e manifesto” della violazione del diritto comunitario, e quindi di quella natura particolarmente qualificata della violazione che costituisce presupposto dell’affermazione della responsabilità dello Stato, la Corte ha fatto costantemente riferimento a elementi relativi “al grado di chiarezza e precisione della norma violata, all’ampiezza del potere discrezionale che tale norma riserva alle autorità nazionali o comunitarie, al carattere intenzionale o involontario della trasgressione commessa o del danno causato, alla scusabilità o inescusabilità di un eventuale errore di diritto, alla circostanza che i comportamenti adottati da un’istituzione comunitaria abbiano potuto concorrere alla violazione” (cfr. Corte di giust. CE, Brasserie du pêcheur e Factortame, cit.; negli stessi termini, Corte di giust. CE, Dillenkofer, cit.).
Non v’è chi non veda come i concetti così enunciati dalla Corte europea in tema di “violazione grave e manifesta” si pongano in linea, in alcuni casi addirittura coincidendo letteralmente, con i parametri e i criteri individuati dalla nostra giurisprudenza interna al fine della definizione dei contorni della “colpa della p.a.”: in sostanza, identico – ancorché forse indotto da motivazioni diverse – è lo sforzo di individuare a livello oggettivo una serie di elementi destinati ad agire come presupposti o condizioni per il riconoscimento di una responsabilità del soggetto pubblico che non discenda sempre e comunque in modo automatico dalla mera illegittimità del suo operato.
In siffatta prospettiva, se la giurisprudenza interna séguita ad ancorare l’accertamento della responsabilità anche al requisito della colpa (o del dolo), ciò non comporta necessariamente una violazione dei principi del diritto europeo in subiecta materia, essendo soltanto la conseguenza dell’applicazione delle coordinate entro le quali la predetta responsabilità è inquadrata nell’ordinamento interno; ed è appena il caso di rammentare come la Corte europea abbia sempre ribadito che, una volta rispettati i parametri generali da essa fissati, è sulla base del diritto interno che il giudice nazionale deve accertare la sussistenza o l’insussistenza della responsabilità nei singoli casi.
a cura di Sonia Lazzini
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