giovedì 20 settembre 2012

mancata impugnazione tempestiva provvedimento è contrario buona fede

l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 23 marzo 2011 n. 3, ha affermato che l’analisi dei rapporti sostanziali debba ormai essere svolta, piuttosto che sul piano dell’ingiustizia del danno, su quello della causalità giuridica, con rilevanza della omessa impugnazione tempestiva che abbia consentito il consolidamento dell’atto, con reiezione e non declaratoria di inammissibilità della domanda di risarcimento danni che la tempestiva impugnazione nei termini di decadenza avrebbe potuto scongiurare.


La mancata impugnazione tempestiva di un provvedimento può quindi, secondo l’A.P., ritenersi un comportamento contrario alla buona fede se si accerti che una tempestiva reazione avrebbe scongiurato il danno; il Giudice può quindi, senza necessità di eccezione di parte ed acquisendo anche d’ufficio elementi di prova necessari, valutare se il presumibile esito del ricorso di annullamento avrebbe, secondo un giudizio di causalità ipotetica basato su logica probabilistica volto ad apprezzare il comportamento globale del ricorrente, evitato in tutto o in parte il danno.
Applicando detti principi alla fattispecie in esame si evince che l’inerzia delle parti appellanti nell’impugnare i provvedimenti lesivi comporta una violazione degli obblighi di cooperazione di cui all’art. 1227 del c.c. che gravano sul creditore danneggiato, perché una tempestiva impugnazione giurisdizionale avrebbe potuto impedire gli effetti lesivi degli atti di indizione della procedura negoziata per l'alienazione di lotti in Concordia Sagittaria viciniori a quelli delle parti appellanti.
Ciò se essa impugnazione fosse stata fondata e la tempestiva proposizione del giudizio avesse portato all’annullamento di detti atti, eliminando o mitigando il danno.
Ma nel caso che occupa neppure i motivi fatti valere dalle appellanti avrebbero potuto avere, secondo un giudizio prognostico, un esito positivo.
La censura di illegittimità per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento non appare fondata, come in precedenza affermato.
Neppure è positivamente apprezzabile la censura di eccesso di potere formulata nell’assunto che, dopo che l’Amministrazione aveva esercitato il suo potere di scelta in relazione alla adozione del Piano per esigenze zonali a carattere industriale e dopo che aveva consentito al privato imprenditore di realizzare le opere, anche ricavandone vantaggio, non poteva cambiare direzione radicalmente, lucrando su aree interne al PIP, come una strada, destinate al servizio di zona ed in particolare agli edifici industriali appositamente costruiti in epoca pregressa, i cui proprietari avevano versato oneri di urbanizzazione; i lotti in questione sarebbero beni pubblici a servizio delle aree edificate e pertanto non sarebbero alienabili.

a cura di Sonia Lazzini
passaggio tratto dalla decisione numero 4896 del 14 settembre  2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

Aggiungasi che, secondo un consolidato e condivisibile indirizzo giurisprudenziale, ai fini del risarcimento dei danni asseritamente provocati dall'illegittimo esercizio del potere amministrativo, l'interessato, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 2697 del c.c., è tenuto a fornirne in modo rigoroso la prova dell'esistenza (Consiglio Stato, A.P. 30 luglio 2007, n. 10; sez. V, 13 giugno 2008, n. 2967; sez. IV, 2 marzo 2004, n. 973).
Nel caso di specie dei rivendicati danni, ancorché quantificati, non è stata fornita idonea prova e ciò esclude la possibilità di disporne il risarcimento, stante la fondamentale importanza dell'assolvimento dell'onere probatorio, sia perché, com'è noto, il diritto entra nel processo attraverso le prove, ma queste ultime devono avere ad oggetto fatti specifici e circostanziati (anche ai fini di consentire alla controparte l'effettivo esercizio del diritto di difesa), sia perché non può neppure invocarsi il c.d. principio acquisitivo, relativo allo svolgimento dell'istruttoria e non all'allegazione dei fatti.
Nel caso che occupa, invero, le parti appellanti non solo non hanno adeguatamente dimostrato quanto asserito, ma hanno esplicitamente affermato con memoria depositata il 25.11.2011 che “in questa sede non si articolerà la relativa prova e quantificazione”.
La mancata allegazione dei fatti esclude poi che possa anche darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno, secondo quanto precisato dalla Corte di Cassazione (sez. II, 17 marzo 2006, n. 6067).
5.4.- La domanda di risarcimento dei danni in esame deve essere quindi respinta.

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