i costi sostenuti per la partecipazione alla gara non sono risarcibili dall’impresa che lamenti la mancata aggiudicazione dell’appalto
è da ritenersi fondata e deve essere pertanto accolta la censura con la quale l’appellante amministrazione di Pontassieve ha lamentato l’erroneo riconoscimento a titolo di risarcimento del danno in favore delle ricorrenti in primo grado della somma €. 7.788,46, quali spese per la predisposizione degli atti di gara.
Invero, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è motivo per discostarsi, i costi sostenuti per la partecipazione alla gara non sono risarcibili dall’impresa che lamenti la mancata aggiudicazione dell’appalto, in quanto la partecipazione alle gare di appalto comporta per le imprese costi che ordinariamente restano a carico delle stesse, sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione; i costi di partecipazione si configurano infatti come danno emergente (e sono quindi risarcibili) solo nel caso in cui l’impresa sia stata illegittimamente esclusa dalla gara, atteso che in questo caso viene in rilievo la pretesa del partecipante a non essere coinvolto in trattative inutili (C.d.S., sez. VI, 16 settembre 2011, n. 5168; 18 marzo 2011).
Del resto non è ammissibile che attraverso il risarcimento del danno per equivalente l’impresa possa conseguire un beneficio (astrattamente) maggiore di quello che avrebbe conseguito con la aggiudicazione.
E’ stato anche precisato che in sede di liquidazione del risarcimento del danno per mancata aggiudicazione di una gara di appalto non è configurabile una responsabilità delle parti per spese e danni processuali, atteso che si verte pur sempre in tema di diritti costituzionalmente garantiti e che per quanto riguarda in special modo le spese legali (sostenute per l’annullamento della gara) si tratta di danni in realtà successivi all’aggiudicazione e sono indirettamente legati a quest’ultima e come tali non risarcibili (C.d.S., sez. V, 5 novembre 2009, n. 6873; sez.VI, 9 giugno 2008, n. 2751).
Quanto alla determinazione dell’ammontare del danno, stimato dal consulente tecnico d’ufficio nominato dai giudici di primo grado, in €. 373.159,00, in relazione ai tre anni di durata del contratto oggetto dell’appalto, la Sezione è dell’avviso che essa non meriti alcuna censura.
Come si è già accennato le deduzioni svolte al riguardo dall’amministrazione appellante muovono dall’erroneo presupposto dell’inidoneità ovvero della non realizzabilità dell’offerta dell’A.T.I. ALFA s.r.l., omettendo di considerare che, così come si è detto, detta offerta era stata già positivamente valutata dalla commissione giudicatrice; costituiscono inoltre mere argomentazioni contrarie, prive di qualsiasi supporto probatorio, quelle concernenti la pretesa sopravvalutazione dell’utilizzo della capacità di trattamento della capacità residua (c.d. extraflusso).
Per contro deve rilevarsi che la stima del danno appare correttamente improntata alla puntuale e prudente individuazione delle singole voci di ricavo e dei costi che ragionevolmente avrebbero caratterizzato il servizio oggetto di appalto nel periodo contrattuale: sul punto deve ancora sottolinearsi, per un verso, che l’amministrazione appellante non ha provato, né ha fornito elementi indiziati al riguardo, circa l’eventuale aliunde perceptum da parte delle ricorrenti in primo grado, mentre per altro verso non può nel caso di specie neppure farsi riferimento al criterio forfettario del 10% dell’utile che si sarebbe conseguito, in quanto oggetto dell’appalto era non solo la gestione degli impianti di depurazione e di trattamento delle acque di fognatura (per la quale soltanto era indicato un importo a base d’asta, oggetto di ribasso in sede di offerta), ma anche la concessione dell’utilizzo della capacità di trattamento residuo, così che del tutto correttamente il consulente tecnico ha stimato il danno tenendo conto della complessiva attività (triennale) che sarebbe stata espletata dall’aggiudicataria A.T.I. ALFA s.r.l.
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