in caso di acclarata illegittimità dell’atto amministrativo, asseritamene foriero di danno, al privato non è richiesto un particolare sforzo probatorio
spettando poi all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile
Se è vero, per un verso, che la giurisprudenza ha escluso ai fini dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno la sufficienza del solo annullamento del provvedimento lesivo, ritenendo necessaria la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa (C.d.S., sez. V, 24 giugno 2011, n. 3814), non può peraltro sottacersi, per altro verso, che essa ha anche ripetutamente affermato che, in caso di acclarata illegittimità dell’atto amministrativo, asseritamene foriero di danno, al privato non è richiesto un particolare sforzo probatorio per ciò che attiene al profilo dell’elemento soggettivo della specie, potendo egli invocare l’illegittimità del provvedimento quale presunzione (semplice) della colpa, spettando poi all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una fonte normativa di formulazione incerta o di recente entrata in vigore ovvero di notevole complessità del fatto o di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti (C.d.S., sez. V, 23 gennaio 2012, n. 265; 2 novembre 2011, n. 5837).
Applicando tali principi al caso in esame, deve rilevarsi che l’amministrazione appaltante non ha fornito alcuna prova, neppure a livello di mero indizio, della ricorrenza di una fattispecie di errore scusabile, non potendo a tal fine ritenersi sufficienti le semplici deduzioni difensive circa la pretesa complessità ed il presunto tecnicismo della materia e delle oggettive difficoltà di valutazione delle offerte delle singole imprese concorrenti, trattandosi di deduzioni che si connotano quali mere inammissibili opinioni dissenzienti rispetto alle puntuali e motivate convinzioni dei primi giudici, essendo per contro incontestabile (e coperto dal giudicato) che causa dell’annullamento del provvedimento di aggiudicazione dell’appalto di cui si discute è stata la inopinata modifica, in sede di valutazione delle offerte, dei criteri generali fissati nella lex specialis.
Sul punto, anche a voler prescindere dalla già rilevata assoluta carenza di prova, non può sottacersi che, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, non è dato rinvenire, né nella stessa lex specialis della gara, né nelle disposizioni normative che disciplinano la materia dell’aggiudicazione degli appalti pubblici, alcun dubbio interpretativo sulla immodificabilità da parte della commissione giudicatrice (e comunque successivamente alla apertura delle buste contenenti l’offerta) dei criteri di valutazione delle offerte stesse, ciò costituendo pacificamente una macroscopica violazione dei fondamentali principi di par condicio e affidamento posti a garanzia della legittimità della procedura concorsuale.
Né può condividersi l’assunto dell’amministrazione appaltante, secondo cui l’errore della commissione giudicatrice sarebbe stato determinato dalla complessità e dal tecnicismo della specifica disciplina stabilita dalla lex specialis per la valutazione delle offerte tecniche, in quanto proprio l’esistenza del consolidato ed indiscusso principio che vieta la modifica (ivi compresa l’integrazione) dei criteri di valutazione delle offerte da parte della commissione giudicatrice e comunque dopo l’apertura delle buste contenenti le offerte, avrebbe dovuto imporre alla commissione stessa un doveroso atteggiamento di prudenza e di diligenza consistente quanto meno nella puntuale richiesta alla stessa amministrazione appaltante di un apposito parere, di cui invece non vi è alcuna traccia; né dalla lettura della documentazione versata in atti emergono eventuali dubbi o incertezze che avrebbero caratterizzato l’operato della commissione di gara, dubbi ed incertezze che avrebbero costituito almeno un elemento indiziante delle difficoltà interpretative in cui si era venuta a trovare la commissione stessa.
Sotto altro profilo deve aggiungersi che, ai fini della configurabilità dell’elemento soggettivo dell’illecito imputabile alla pubblica amministrazione, la giurisprudenza ha chiarito che non assume alcun rilievo il fatto che il provvedimento fonte del danno sia stato prima riconosciuto legittimo dal tribunale amministrativo regionale, atteso che, anche a voler prescindere dalla considerazione che unica è la regola di giudizio applicabile al caso concreto, ancorché essa si realizzi attraverso il doppio grado di giudizio, una diversa conclusione comporterebbe che la sussistenza della colpa sarebbe ravvisabile nelle sole ipotesi in cui il privato ottenga ragione in entrambi i gradi di giudizio, finendo per essere così irragionevolmente decisivo il giudizio di primo grado (C.d.S., sez. V, 8 giugno 2011, n. 3452); pertanto neppure il dedotto contrasto tra la sentenza del giudice di primo grado e la decisione di appello (contrasto che può considerarsi del tutto fisiologico nella dialettica processuale e che non è sufficiente a configurare la fattispecie del contrasto giurisprudenziale che per la cui composizione l’affare può essere deferito all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, non trattandosi di contrasto tra sezioni di detto consesso) può in qualche modo rendere apprezzabile il dedotto, ma non provato e non sussistente, errore scusabile.
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