In considerazione del tempo trascorso, tuttavia, gli unici effetti riconducibili all’annullamento degli atti impugnati sono quelli di natura risarcitoria, rivendicati dall’appellante in misura pari al 10% del prezzo di aggiudicazione. Anche tale domanda appare fondata e deve essere accolta.
Per quanto riguarda infatti, in primo luogo, la sussistenza di un danno risarcibile, l’impresa appellante ha fornito sufficienti elementi per dimostrare le proprie chances di aggiudicazione, che avrebbe avuto in assenza dei vizi procedurali che avevano condotto ad illegittima individuazione della migliore offerta (cfr. al riguardo, per il principio, Cons. Stato, V, 18 aprile 2012, n. 2256 e 12 giugno 2009, n. 3785).
Circa la prova della colpevolezza – difficilmente ravvisabile in re ipsa, ma da dimostrare con riferimento alla condotta amministrativa, in relazione ai parametri generali della stessa – si deve tener conto della particolare dimensione della responsabilità dell’Amministrazione pubblica per lesione di interessi legittimi: responsabilità che la giurisprudenza ritiene non del tutto coincidente con quella aquiliana, sussistendo anche profili (rilevanti, in particolare, sul piano probatorio di cui si discute) assimilabili a quelli della responsabilità contrattuale, in considerazione dell’interesse giuridicamente protetto al giusto procedimentoamministrativo, che richiede il rispetto dei parametri dell’azione amministrativa di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Si è parlato, a tale riguardo, di “contatto sociale qualificato” o di “responsabilità da contatto”, implicante appunto il corretto sviluppo dell’iter procedimentale e la legittima emanazione del provvedimento finale, salvo l’errore scusabile (individuabile, quest’ultimo, in presenza di oggettiva oscurità, sovrabbondanza o repentino mutamento delle norme applicabili, ovvero di verificata sussistenza di contrasti interpretativi: cfr. in tal senso Cons. Stato, Ad. plen., 18 marzo 2004, n. 5; IV, 14 giugno 2001, n. 3169; V, 2 settembre 2005, n. 4461; IV, 29 luglio 2008, n. 3723; cfr. anche Cass. III, 9 febbraio 2004, n. 2494; Corte cost. 24 marzo 1988, n. 364).
In concreto, dunque, l’elemento qualificabile come colpa dell’Amministrazione va stimato in relazione alla gravità dei vizi del provvedimento adottato, in rapporto ad un comportamento dell’Amministrazione da qualificare come negligente o imprudente, tenendo conto dell’immediata percepibilità del canone di corretta condotta in rapporto all’ampiezza della valutazione da effettuare.
Quanto alla ipotizzabilità in concreto di un errore scusabile, dopo la sentenza della Corte di Giustizia europea 14 ottobre 2004, C-275/03, che ha ritenuto sanzionabile la subordinazione, da parte di uno Stato, del risarcimento dei soggetti lesi alla prova della colpa o del dolo, in seguito a violazioni del diritto comunitario in materia di appalti, deve poi ritenersi ulteriormente rafforzato il principio, per cui è a carico dell’Amministrazione l’onere di dimostrare l’eventuale sussistenza di un errore scusabile, mentre per il privato danneggiato operano le regole di comune esperienza ed il rinvio alla nozione generale di presunzione di cui all’art. 2727 Cod. civ. (cfr. in tal senso Cons. Stato, VI, 9 marzo 2007, n. 1114; 23 marzo 2009, n. 1732 e 9 novembre 2006, n. 6607; Cons. giust. amm. Reg. sic., 21 marzo 2007, n. 224; Cons. Stato, IV, 29 luglio 2008, n. 3723; V, 17 ottobre 2008, n. 5101, nonché – con specifico riferimento all’omessa esclusione di una ditta in violazione della lex specialis della gara – Cons. Stato, VI, 9 giugno 2008, n. 2751).
Nella situazione in esame, il Collegio ritiene concretizzati i profili di colpevolezza sopra indicati, anche in considerazione dei dedotti indizi di sviamento di potere.
Quanto all’entità del risarcimento, la richiesta della relativa commisurazione al 10% dell’importo contrattuale appare congrua, risultando la somma in questione corrispondente all’utile medio atteso dai contratti per lavori o servizi e, quindi, al mancato guadagno dell’impresa illegittimamente pretermessa, secondo i parametri che la prevalente giurisprudenza trae dall’art. 345 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F (riprodotto dall’art. 122 del Regolamento, emanato con d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554; cfr. anche in tal senso, fra le tante, Cons. St., VI, 2 marzo 2009, n. 1180).
In base alle considerazioni svolte, l’appello va accolto, con le statuizioni di annullamento e di condanna precisate in dispositivo.
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