Divieto di rinnovazione di contratti di appalto scaduti, ma anche l’esegesi di altre disposizioni dell’ordinamento che consentirebbero – in deroga alle procedure ordinarie di affidamento degli appalti pubblici – l’affidamento senza gara degli stessi servizi per ulteriori periodi
Sempre sull’argomento rileva il Collegio che, in ossequio ai principi comunitari, con l’art. 23 della L. 23/2005 è stata eliminata la possibilità – dapprima espressamente contemplata – di provvedere al rinnovo dei contratti di appalto scaduti: alla scelta legislativa è stata riconosciuta una valenza generale ed una portata preclusiva di opzioni ermeneutiche di altre disposizioni dell’ordinamento che si potrebbero risolvere, di fatto, nell’elusione del predetto divieto.
Per assicurare l’effettiva conformazione dell’ordinamento interno a quello comunitario, dunque, l’intervento normativo di cui sopra “dev’essere letto ed applicato in modo da escludere ed impedire, in via generale ed incondizionata, la rinnovazione di contratti di appalto scaduti, ma anche l’esegesi di altre disposizioni dell’ordinamento che consentirebbero – in deroga alle procedure ordinarie di affidamento degli appalti pubblici – l’affidamento senza gara degli stessi servizi per ulteriori periodi, dev’essere condotta alla stregua del vincolante criterio che vieta (con valenza imperativa ed inderogabile) il rinnovo dei contratti” (Consiglio di Stato, sez. IV – 31/10/2006 n. 6462; T.A.R. Sicilia Catania, sez. III – 22/6/2007 n. 1086; Sentenza sezione 11/3/2011 n. 419).
In definitiva può rinvenirsi anche nel settore dei servizi pubblici la regola consolidata dell’obbligo di gara
L’apertura delle commesse pubbliche alla concorrenza mediante l’espletamento di procedure di aggiudicazione è per la verità assai risalente.
Al riguardo la giurisprudenza interna è da tempo uniforme nel ritenere illegittima la scelta di procedere a trattativa privata per l’individuazione del concessionario di un servizio, per contrasto con le norme ed i principi desumibili dall’ordinamento comunitario, ed in particolare con i principi di non discriminazione territoriale e di libera prestazione dei servizi sanciti dal Trattato CEE, aventi diretta applicabilità nel territorio nazionale (T.A.R. Sicilia Palermo, sez. III – 21/6/2007 n. 1683; T.A.R. Molise – 2/7/2008 n. 677).
Anche per i contratti esclusi dal raggio di applicazione delle direttive sugli appalti pubblici, gli Enti aggiudicatori che li stipulano sono comunque tenuti a rispettare i principi fondamentali del Trattato in generale, ed il principio di non discriminazione in base alla nazionalità
in particolare (Corte di Giustizia – 7/12/2000, causa C-324/98): si è da tempo affermato cioè il principio per cui in tema di affidamento, mediante concessione, di servizi pubblici, le regole fondamentali dell’ordinamento comunitario ed i principi generali che governano la materia dei contratti impongono all’amministrazione procedente di dare adeguata pubblicità agli affidamenti e di evitare la discriminazione delle imprese, attivando procedure competitive selettive (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 21/9/2010 n. 7024).
In buona sostanza, i canoni guida in materia di affidamento delle commesse pubbliche esigono, a fini di trasparenza e di salvaguardia della concorrenza, la diffusione delle informazioni relative ai contratti da stipulare per consentire sia l’eguale possibilità di accesso delle imprese alle gare sia l’obiettiva ed imparziale selezione dei candidati (T.A.R. Sardegna, sez. I – 23/2/2007 n. 109; Consiglio di Stato, sez. VI – 30/1/2007 n. 362).
Passaggio tratto dalla sentenza numero 1556 del 10 novembre 2011 pronunciata dal Tar Lombardia, Brescia
A questo punto si possono trarre le dovute conseguenze sulla controversa natura degli atti di proroga. Detti provvedimenti temporanei – che garantiscono la continuità dei servizi per il tempo necessario all’espletamento di una gara pubblica – possono essere ammessi entro limiti restrittivi, ossia per un arco temporale rigorosamente delimitato. La dilazione accordata da numerosi Comuni ha determinato un’estensione dei rapporti contrattuali per un anno senza che la gara pubblica sia stata ancora ultimata. Alla luce di quanto ampiamente illustrato risulta del tutto ininfluente l’eventuale giustificazione (complessità della gara, scarsità di risorse umane) sottesa all’emanazione degli atti di proroga, in quanto l’esaurimento del periodo transitorio traccia come già sottolineato il discrimine tra le deroghe ammissibili (prime gare, affidamenti diretti ancora in corso) ed il rigoroso divieto di creare ulteriori distorsioni alla concorrenza avvantaggiando le Società che hanno già fruito dei benefici pluriennali connessi all’affidamento senza gara: in questo contesto la proroga è del tutto assimilabile ad un rinnovo contrattuale, in quanto la prima realizza i medesimi effetti del secondo (cfr. sentenza Sezione 26/11/2008 n. 1689).
Già si è anticipato in sede cautelare che l’estensione del rapporto per un anno intero mal si concilia (di per sé) con i caratteri tradizionali dell’istituto della proroga, usualmente adoperato dalle amministrazioni per il tempo strettamente necessario ad ultimare o comunque espletare procedure di gara già indette (cfr. sentenza Sezione 11/3/2011 n. 419). Quando il numero di atti di proroga è elevato, sussiste il concreto rischio di un ulteriore slittamento del termine di operatività degli affidamenti diretti, che produrrebbe un risultato inaccettabile. In definitiva ribadisce il Collegio che il termine ultimo del periodo transitorio era fissato al 31/12/2010 e che lo stesso deve essere ritenuto inderogabile, salvo dilazioni contenute nell’arco temporale di pochi mesi. Il semestre può ritenersi la soglia massima ragionevolmente ammissibile, potendo garantire contro eventuali imprevisti nell’espletamento della gara: possono essere poi valutate caso per caso situazioni eccezionali, ma la presenza di plurimi rinvii di un anno preclude una conclusione in tal senso (cfr. sentenze sez. II – 939/2011 e 1243/2011).
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