lunedì 10 ottobre 2011

Illegittima escussione della cauzione provvisoria per poca chiarezza della lex sepcialis di gara sulla determinazione dei requisiti di ordine speciale

l’annullamento dell’ esclusione ha portata caducante anche dei provvedimenti di escussione della cauzione e di segnalazione di cui all’art. 48, d. lgs. 163/2006, costituendo l’esclusione l’unico e dichiarato presupposto sulla cui base sono state disposte le ulteriori penalizzanti determinazioni.

Quanto, infine, alla pure introdotta istanza risarcitoria, la stessa non può trovare ingresso atteso che, a prescindere dalla genericità con cui la stessa è formulata, l’accoglimento del gravame è di per sé idoneo a soddisfare integralmente l’interesse fatto valere dalla parte ricorrente, consolidandosi gli effetti già prodottisi a seguito dell’ordinanza n. 1676/2011 di accoglimento dell’istanza cautelare con cui era stata sospeso il provvedimento di escussione parziale della garanzia fideiussoria prestata dalla società ricorrente, ed era stata disposta la riammissione con riserva della medesima società alla procedura concorsuale ancora in itinere.



In assenza di univocità espressiva della relativa clausola afferente il requisito di capacità tecnica, il seggio di gara, onde evitare una determinazione sproporzionata rispetto alla ratio sottesa alle stesse regole di partecipazione alla gara de qua, avrebbe dovuto valutare gli elementi forniti a supporto del requisito da parte della concorrente al di fuori di una applicazione rigidamente formalistica della stessa norma di gara

e non omettere di considerare appieno il pure rilevante interesse alla più ampia partecipazione dei concorrenti alla procedura in questione che sola consente la scelta dell’offerta maggiormente corrispondente alla esigenza da soddisfare, facendo leva sul prevalente criterio teleologico rispetto a quello prettamente formale.

Invece, l’applicazione rigida che nel caso in esame ha fatto il seggio di gara della clausola di partecipazione, peraltro sorretta da una personale e non univoca interpretazione della stessa, alla luce delle specifiche circostanze del caso concreto sopra evidenziate, ha infranto la fondamentale ed immanente esigenza di ragionevolezza dell'attività amministrativa, finendo così per porsi in contrasto con le stesse finalità di tutela cui sono preordinati i generali canoni applicativi delle regole della contrattualistica pubblica

E’ evidente, allora, l’equivoco in cui è incorsa la società ricorrente, che, a causa di una non univoca indicazione del bando di gara ha omesso di dichiarare l’avvenuta esecuzione di altri contratti in diversi comuni italiani, ritenendo ampiamente soddisfatto il requisito dall’avere svolto il servizio di cui si tratta in forza di un contratto che ha avuto ad oggetto un notevole numero di impianti dislocati non solo a Roma “città”, ma anche in diverse frazioni della stessa, quali Ostia, Casal Palocco, Spinaceto, Acilia, che, per estensione territoriale, numero di abitanti, ecc, ben possono essere definite a loro volta città.





Passaggio tratto dalla sentenza numero 7785  del 7 ottobre 2011 pronunciata dal Tar Lazio, Roma

La prescrizione in ordine alla dimostrazione del requisito di capacità tecnica non appare ictu oculi connotata di linearità ed inequivocabile chiarezza circa la necessità di indicare l’avvenuta esecuzione di almeno due contratti per lotto, ciascuno di essi svolto in almeno due diversi comuni, così come invece ha ritenuto necessario il seggio di gara, che, nell’escludere la società ricorrente in relazione al lotto 1, non ha ritenuto idoneo il contratto eseguito nella “sola città di Roma”, ancorché relativo ad un numero di impianti di gran lunga superiore rispetto al numero minimo prescritto.

Ed invero, per “città” si intende comunemente un centro abitato piuttosto esteso, con sviluppo edilizio organizzato, che sul piano amministrativo, economico, politico e culturale rappresenta il punto di riferimento del territorio circostante; il termine “comune” ha, invece, una connotazione prettamente tecnica, e rappresenta la più piccola suddivisione territoriale amministrativa dello Stato.

Tanto precisato, non vi è dubbio che non sussista una piena e sicura sovrapposizione tra i due termini, come invece il seggio di gara ha ritenuto di fare, con una operazione che ha condotto all’aberrante conseguenza di espellere dalla gara una concorrente in possesso del requisito di capacità tecnica in misura di gran lunga superiore rispetto ai limiti minimi indicati nel bando, come, peraltro, successivamente ammesso dalla stessa stazione appaltante.

Ed invero, un comune, in senso tecnico, può non essere una città nella accezione di cui sopra, e, viceversa una città, ancorché giuridicamente non possa essere qualificata quale ente locale territoriale, può avere una estensione ben più consistente del primo.

E’ evidente, allora, l’equivoco in cui è incorsa la società ricorrente, che, a causa di una non univoca indicazione del bando di gara ha omesso di dichiarare l’avvenuta esecuzione di altri contratti in diversi comuni italiani, ritenendo ampiamente soddisfatto il requisito dall’avere svolto il servizio di cui si tratta in forza di un contratto che ha avuto ad oggetto un notevole numero di impianti dislocati non solo a Roma “città”, ma anche in diverse frazioni della stessa, quali Ostia, Casal Palocco, Spinaceto, Acilia, che, per estensione territoriale, numero di abitanti, ecc, ben possono essere definite a loro volta città.

E’ principio pacifico che il potere discrezionale della stazione appaltante di prescrivere adeguati requisiti per la partecipazione alle gare per l'affidamento di appalti pubblici è soggetto ai limiti connaturati alla funzione affidata alle clausole del bando volte a prescrivere i requisiti speciali; tale funzione consiste nel delineare, attraverso l'individuazione di specifici elementi indicati della capacità economica, finanziaria e tecnica, il profilo delle imprese che si presumono idonee a realizzare il programma contrattuale perseguito dall'Amministrazione ed a proseguire nel tempo l'attività espletata in modo adeguato.

Con riferimento alla gara in controversia, é indubitabile che la ratio della richiesta capacità tecnica minima attiene, per il profilo in esame, alla dimostrazione della attitudine della impresa aspirante allo svolgimento del servizio di manutenzione in aree territorialmente diversificate (“almeno due città”).

Pertanto, in assenza di univocità espressiva della relativa clausola afferente il requisito di capacità tecnica, il seggio di gara, onde evitare una determinazione sproporzionata rispetto alla ratio sottesa alle stesse regole di partecipazione alla gara de qua, avrebbe dovuto valutare gli elementi forniti a supporto del requisito da parte della concorrente al di fuori di una applicazione rigidamente formalistica della stessa norma di gara, e non omettere di considerare appieno il pure rilevante interesse alla più ampia partecipazione dei concorrenti alla procedura in questione che sola consente la scelta dell’offerta maggiormente corrispondente alla esigenza da soddisfare, facendo leva sul prevalente criterio teleologico rispetto a quello prettamente formale.

Invece, l’applicazione rigida che nel caso in esame ha fatto il seggio di gara della clausola di partecipazione, peraltro sorretta da una personale e non univoca interpretazione della stessa, alla luce delle specifiche circostanze del caso concreto sopra evidenziate, ha infranto la fondamentale ed immanente esigenza di ragionevolezza dell'attività amministrativa, finendo così per porsi in contrasto con le stesse finalità di tutela cui sono preordinati i generali canoni applicativi delle regole della contrattualistica pubblica.

Sul punto il Collegio ritiene, ad abundantiam, di evidenziare che la normativa in materia di contratti pubblici esprime sempre più la prevalenza dell’interesse sostanziale rispetto ai canoni meccanicamente formalistici, come può evincersi dalla recente modifica dell’art. 46, del d. lgs. 163/2006, cui il d. l. n. 70 del 13 maggio 2011 - in epoca di poco successiva ai fatti di causa - ha aggiunto il comma 1 bis, che, nell’escludere che i bandi e le lettere di invito possano contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle dalla stessa norma indicate, ha introdotto il principio di tassatività delle cause di esclusione dei concorrenti dalle procedure concorsuali, rafforzandosi, vieppiù, il principio di matrice comunitaria della prevalenza della sostanza rispetto a quella della forma.

In altri termini, la gara per l’assegnazione di un contratto con la P.A. non deve trasformarsi in una sorta di caccia all’errore (di interpretazione delle clausole dubbie o nel rispetto di meri formalismi partecipativi), ma deve garantire la massima partecipazione di coloro che, in possesso del profilo astrattamente idoneo a sorreggere l’esecuzione di un contratto con la P.A., confidano nello svolgimento di procedure concorsuali imparziali e trasparenti.

In definitiva, e in accoglimento della prima censura, è illegittima l’esclusione della società ricorrente dalla gara controversa.

Ritiene il Collegio, con riguardo invece alla seconda censura, con cui sono dedotti non solo vizi di illegittimità derivata ma anche autonome censure avverso gli ulteriori provvedimenti adottati dalla Rai, ossia l’atto di escussione della cauzione e la segnalazione all’Autorità di vigilanza, che nessun interesse permane in capo alla deducente in ordine alla delibazione anche di questa, in quanto tali provvedimenti sono fondati unicamente sull’esclusione dell’impresa dalla gara, disposta per asserita assenza di un requisito di partecipazione, di talché l’annullamento di tale esclusione ha portata caducante anche dei provvedimenti di escussione della cauzione e di segnalazione di cui all’art. 48, d. lgs. 163/2006, costituendo l’esclusione l’unico e dichiarato presupposto sulla cui base sono state disposte le ulteriori penalizzanti determinazioni.

Nessun commento:

Posta un commento