qualora l'evento dannoso sia ascrivibile a comportamento colposo del dipendente, questo ne deve rispondere a titolo di responsabilità amministrativa
In altre parole, qualora esista un nesso causale immediato e diretto tra la condotta illecita dell'agente, legato all'Amministrazione da un vincolo di immedesimazione, ed un evento dannoso pregiudizievole del diritto di un terzo, ebbene, in tal caso non potrà revocarsi in dubbio che il rapporto risarcitorio instauratosi, per effetto dell'infortunio, tra Amministrazione e infortunato debba considerarsi identico (e ciò non soltanto per il suddetto vincolo di solidarietà) a quello che lega l'autore dell'illecito al soggetto danneggiato.
Scaturendo quindi dal nocumento inferto il fondamento ontologico dell'obbligo risarcitorio, altro sarà determinare la precisa misura del danno da rifondere che, come riportato in narrativa, si articola in una serie di poste.
A tal proposito ritiene questo giudice - in conformità con il prevalente orientamento di questa Corte (cfr. ex multis Sez Ia28 maggio 1991 n. 187) - che al convenuto non possano, nemmeno in via di principio, essere ascritti i danni patrimoniali costituiti dalle elargizioni effettuate dalla P.A. in favore dei congiunti del soggetto leso e ciò in quanto “nella nozione di danno risarcito a terzi, e del quale l'amministrazione può rivalersi nei confronti del proprio dipendente responsabile ai sensi dell'art. 22, ultimo comma d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, rientra esclusivamente ogni erogazione di danaro effettuata a titolo di risarcimento e non anche le erogazioni che, in base a norme di diritto pubblico, l'Amministrazione assume direttamente su di sé quale riconoscimento e riparazione del nocumento subito nell'espletamento del servizio o di un particolare servizio: pertanto non costituisce danno risarcibile da parte del dipendente l'erogazione di somme a titolo di equo indennizzo e di speciale erogazione ex lege n. 308/1981, essendo per essa irrilevante il comportamento antigiuridico o meno di altri soggetti cui la menomazione sia riferibile e richiedendosi soltanto che l'evento lesivo sia attribuibile a causa di servizio “(SS.RR. 2 giugno 1992 n. 781/A nonché Sezione Ia n.79 del 20 aprile 1994).
Passaggio tratto dalla sentenza numero 9 del 22 marzo 2004 pronunciata dalla Corte dei Conti della Provincia Autonoma di Bolzano
La difesa eccepisce la mancata partecipazione all'azione civile del proprio assistito e la conseguente inefficacia, nei di lui confronti, della sentenza di condanna al risarcimento del danno patito dall'assistente T_.
Occorre, a questo punto, svolgere alcune considerazioni sulla relazione che intercorre tra la responsabilità dell'Amministrazione e la responsabilità degli agenti autori di fatti dannosi, o in altri termini, far cenno della posizione in cui, nei confronti dei terzi danneggiati, si trovano rispettivamente l'Amministrazione e i suoi agenti responsabili.
L'art. 28 Cost. afferma il principio che “i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti” e aggiunge che “in tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”.
Senza voler rievocare le pur utili dispute dottrinali che la portata decisamente innovativa di tale norma costituzionale innescò al tempo, può ormai considerarsi dato acquisito che, se si interpreta tale principio in un'ottica garantistica, si coglie appieno la finalità di assicurare la più ampia tutela al danneggiato attraverso lo schema della solidarietà risarcitoria ex art. 2055 c.c. che la sottende.
Tra Amministrazione e agente non sussiste un rapporto di sussidiarietà, trattandosi, invece, di un rapporto di solidarietà (art. 1294 c.c.) e quindi di concorrenza alternativa: il danneggiato può rivolgersi, alternativamente o congiuntamente, tanto verso l'agente che verso l'Amministrazione, salvo a quest'ultima il diritto di pretendere a sua volta dall'agente il ristoro per il sacrificio patrimoniale subito per soddisfare l'obbligo di risarcimento da lui provocato.
Per giungere all'affermazione della responsabilità della P.A. occorre in ogni caso, oltre all'accertamento dell'immedesimazione organica e del nesso di necessaria occasionalità, che il comportamento dell'agente integri tutti gli estremi dell'art. 2043 c.c., che sono, come è noto, l'antigiuridicità del fatto, l'elemento soggettivo, la lesione di un bene protetto ed il nesso di causalità tra il fatto ed il pregiudizio economico.
Risultando dunque, nell'ipotesi che ricorrano tutti i suddetti presupposti, la responsabilità della P.A. e quella del dipendente legate l'una all'altra da un vincolo solidaristico (e ciò, come detto, in virtù dell'art. 28 Cost.), non può revocarsi in dubbio che l'attività generatrice dell'obbligo risarcitorio, essendo quella riferibile alla condotta posta in essere dall'agente, non possa portare a ritenere l'estraneità di questo .
Tuttavia, se è vero che le sentenze civili di condanna della P.A. al risarcimento dei danni non hanno autorità di giudicato nel successivo giudizio di responsabilità contabile, sia per i diversi soggetti (privato e Pubblica Amministrazione), sia per l'oggetto (risarcimento del danno alla parte privata), sia per le modalità dei poteri di cognizione dell'A.G.O. e della Corte dei conti, segnatamente per ciò che riguarda l'acquisizione delle prove, e se è vero che le valutazioni compiute dall' A.G.O. non vincolano il giudice contabile, è altrettanto vero che, laddove l'evento dannoso sia ascrivibile a comportamento colposo del dipendente, questo ne deve rispondere a titolo di responsabilità amministrativa, e ciò in quanto, in caso contrario, non troverebbe giustificazione la diminuzione patrimoniale subita dall'Erario per la presenza dello stretto nesso causale esistente tra illecito e danno.
In altre parole, qualora esista un nesso causale immediato e diretto tra la condotta illecita dell'agente, legato all'Amministrazione da un vincolo di immedesimazione, ed un evento dannoso pregiudizievole del diritto di un terzo, ebbene, in tal caso non potrà revocarsi in dubbio che il rapporto risarcitorio instauratosi, per effetto dell'infortunio, tra Amministrazione e infortunato debba considerarsi identico (e ciò non soltanto per il suddetto vincolo di solidarietà) a quello che lega l'autore dell'illecito al soggetto danneggiato.
Scaturendo quindi dal nocumento inferto il fondamento ontologico dell'obbligo risarcitorio, altro sarà determinare la precisa misura del danno da rifondere che, come riportato in narrativa, si articola in una serie di poste.
A tal proposito ritiene questo giudice - in conformità con il prevalente orientamento di questa Corte (cfr. ex multis Sez Ia28 maggio 1991 n. 187) - che al convenuto non possano, nemmeno in via di principio, essere ascritti i danni patrimoniali costituiti dalle elargizioni effettuate dalla P.A. in favore dei congiunti del soggetto leso e ciò in quanto “nella nozione di danno risarcito a terzi, e del quale l'amministrazione può rivalersi nei confronti del proprio dipendente responsabile ai sensi dell'art. 22, ultimo comma d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, rientra esclusivamente ogni erogazione di danaro effettuata a titolo di risarcimento e non anche le erogazioni che, in base a norme di diritto pubblico, l'Amministrazione assume direttamente su di sé quale riconoscimento e riparazione del nocumento subito nell'espletamento del servizio o di un particolare servizio: pertanto non costituisce danno risarcibile da parte del dipendente l'erogazione di somme a titolo di equo indennizzo e di speciale erogazione ex lege n. 308/1981, essendo per essa irrilevante il comportamento antigiuridico o meno di altri soggetti cui la menomazione sia riferibile e richiedendosi soltanto che l'evento lesivo sia attribuibile a causa di servizio “(SS.RR. 2 giugno 1992 n. 781/A nonché Sezione Ia n.79 del 20 aprile 1994).
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