Con la previsione della cessione all’Assicurazione dell’azione di rivalsa nei confronti del proprio dipendente, le sfera della responsabilità tout court civile si incrocia con l’ambito della responsabilità amministrativa (o civile-amministrativa, se si preferisce la terminologia adoperata da parte della dottrina).
Di guisa tale che, siccome riconosciuta la prevalente natura amministrativa all’azione di rivalsa in parola, la stessa risulta sottratta alla disponibilità della singola P.A., appartenendo alla giurisdizione della Corte dei Conti, per come sopra precisato.
Non esiste la possibilità per l’Azienda Ospedaliera di poter cedere all’Assicurazione l’azione di rivalsa nei confronti dei propri dipendenti per il quanto elargito a titolo di risarcimento del danno imputabile anche a titolo di colpa grave e dolo.
E’ legittimo l’annullamento in autotutela della procedura per l’affidamento del servizio assicurativo RCO/RCT in considerazione della illegittima estensione dell’assicurazione di che trattasi anche alle ipotesi di dolo o colpa grave; nonché per l’ulteriore illegittima previsione della cessione dell’azione di rivalsa in favore dell’assicurazione
A questo punto la P.A ., una volta risarcito il terzo, potrà a sua volta agire nei confronti del dipendente non già a titolo di regresso tra condebitori solidali, bensì sulla base della violazione dei doveri d’ufficio da questi compiuta; e non già innanzi al giudice ordinario, bensì davanti alla Corte dei Conti, in ragione anche della normativa che richiede, ai fini della nascita della responsabilità del dipendente, il requisito del dolo o delle colpa grave.
In altri termini, malgrado sia riconducibile al medesimo “evento”, l’azione che la P.A. esercita nei confronti del proprio dipendente, una volta risarcito innanzi al G.O. il terzo danneggiato, muta il titolo della responsabilità sottostante (con le connesse implicazioni sulla individuazione del diverso Giudice chiamato a conoscerla): si è in presenza infatti, in questi casi, della c.d. responsabilità amministrativa.
Quanto precede spiega altresì perché certa dottrina preferisca parlare in tali evenienza di “responsabilità civile-amministrativa”, sottolineando così il genus comune, insieme con le differenze, non irrilevanti, specifiche.
Di Sonia Lazzini
Tratto dalla sentenza numero 205 del 24 gennaio 2007 pronunciata dal Tar Sicilia, Palermo
Le argomentazioni appena svolte consentono al Collegio di ritenere parimenti infondata la censura n.8 del medesimo ricorso R.G.3214/05, considerata l’evidente omogeneità con quella di cui al precedente punto n.7.
9. Per quanto attiene al profilo iii), richiamato al precedente punto 6.1, viene in primo luogo in rilievo – per quanto di ragione – la doglianza articolata al n.9 par.B2 del ricorso in esame, con cui il ricorrente censura la violazione di legge ed eccesso di potere in ordine agli asseriti spunti problematici evidenziati dall’azienda sugli artt.20, 23A, 23B e 26 del disciplinare.
9.1 L’Azienda infatti motiva l’annullamento in autotutela della procedura per l’affidamento del servizio assicurativo RCO/RCT in considerazione della illegittima estensione dell’assicurazione di che trattasi anche alle ipotesi di dolo o colpa grave; nonché per l’ulteriore illegittima previsione della cessione dell’azione di rivalsa in favore dell’assicurazione.
9.2 Si premettere che, per il personale dell’area della Dirigenza Medica e Veterinaria, la disciplina già prevista dall’art.28 co.2 D.P.R.761/79 è stata espressamente disapplicata dall’art..65 co.1 lett.I) del C.C.N.L. 6 giugno 2000 (stessa disposizione è prevista all’art.67 co,1 lett.I del C.C.N.L. 08/06/2000 per il personale della Dirigenza Sanitaria Professionale Tecnica ed Amministrativa). Ai sensi della disposizione pattizia, di cui all’art.24 del C.C.N.L., si prevede che “Le aziende assumono tutte le iniziative necessarie per garantire la copertura assicurativa della responsabilità civile dei Dirigenti, (…) per le eventuali conseguenze derivanti da azioni giudiziarie dei terzi, relativamente alla loro attività, ivi compresa la libera professione intramuraria, senza diritto di rivalsa, salvo le ipotesi di dolo e colpa grave”.
9.3 Il nodo centrale della questione attiene, a ben vedere, alla possibilità o meno per l’Azienda Ospedaliera di poter cedere all’Assicurazione l’azione di rivalsa nei confronti dei propri dipendenti per il quanto elargito a titolo di risarcimento del danno imputabile anche a titolo di colpa grave e dolo.
9.4 In altri termini, viene in rilievo la tematica della natura della responsabilità amministrativa, di cui la dottrina si è da tempo occupata, siccome ammessa anche nei confronti dei cittadini per l’attività di diritto pubblico posta in essere dalla P.A.. In tale materia occorre infatti conciliare le opposte esigenze di tutela dei cittadini, di fronte agli illeciti dei pubblici poteri, con l’altrettanta ineluttabile esigenza di salvaguardare le finanza pubbliche da risarcimenti insostenibili, nella ulteriore considerazione che, comunque, gli illeciti (ove commessi) sono di fatto riconducibili all’attività di persone fisiche inserite a vario titolo nella compagine organizzativa dell’Amministrazione. In relazione a tali soggetti, risulta inoltre imponderabile la ricerca di un giusto equilibrio tra le preoccupazioni dei pubblici dipendenti (verso cui il timore di essere chiamati a rispondere eventuali danni potrebbe indurre ad un rallentamento dell’attività pubblica) ed lo scongiurare la creazione di qualsiasi forma di privilegio o di vantaggio non giustificabile.
9.5 Occorre previamente, seppur brevemente, ripercorrere lo sviluppo della tematica che ci occupa.
Nell’ordinamento antecedente alla Costituzione repubblicana, la giurisprudenza (nel silenzio del legislatore) aveva ritenuto di poter applicare alle questioni connesse alla responsabilità della P.A. (ivi compresa la tematica della responsabilità civile verso terzi dei propri dipendenti) le norme civilistiche della c.d. responsabilità indiretta (o per fatto altrui) nella considerazione che la persona giuridica non può che operare ed agire a mezzo delle persone fisiche. Una sua responsabilità può quindi risiedere solo in ragione del rapporto di servizio considerato, che colui che beneficia dell’opera altrui ne deve sopportare anche le conseguenze sfavorevoli (cuius comoda, eius incomoda). Solo in seguito si è fatta strada la c.d. teoria organica: l’originaria incapacità di agire della P.A. viene risolta attraverso il principio organizzatorio secondo cui l’Ente utilizza direttamente come propria l’attività e la volontà dei soggetti preposti, con la conseguenza che l’eventuale illecito è alla P.A. direttamente imputabile come fatto proprio (responsabilità diretta). Essendo quindi l’ente, in tale prospettiva, autore dell’illecito, l’agente fisico viene a perdere importanza di fronte al terzo danneggiato: questi ha la possibilità di agire più facilmente (sia in termini probatori che di riscontro di solvibilità) contro la P.A ..
Il quadro muta con l’art.28 della Costituzione a norma del quale si stabilisce che “i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali civili ed amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità si estende allo Stato e agli enti pubblici”. Il dato letterale della norma costituzionale sembrerebbe infatti avallare, come sostenuto in dottrina, il ritorno alla c.d. responsabilità indiretta della P.A. (assumendo valore determinante il sottostante rapporto di servizio); anche se non mancano altri orientamenti di segno contrario che continuano a sostenere la tesi della responsabilità diretta. A ciò si aggiunga che con l’emanazione del T.U degli impiegati civili dello Stato (D.P.R.3/57, non modificato in punto di responsabilità dal T.U.165/01) il legislatore è intervenuto in materia di responsabilità dei pubblici dipendenti, alleggerendo i criteri previsti - in generale - dall’art.2043 in tema di danno ingiusto, sostituendo il requisito della colpa con quello della colpa grave (di ben più difficile prova da parte del terzo danneggiato). Si è quindi rafforzata, per certi versi, la teoria della responsabilità diretta della P.A., da ricondursi ad una fattispecie di illecito diversa da quella prevista dall’art.28 Cost. (in combinato disposto con il D.P.R.3/57 cit.). L’elemento soggettivo è qui dato dalla colpa ex 2043 dell’uomo medio e, in primo momento, solo in relazione all’attività materiale della P.A., escludendo il danno derivante da un atto amministrativo (o dalla sua esecuzione). Invero, sotto tale ultimo aspetto, per effetto della sentenza della SS.UU. Cassazione n. 500/99 è stata estesa e riconosciuta la possibilità di accertare e valutare anche la colpa (non del funzionario agente ma) della P.A. come apparato.
9.6 Resta immutato, comunque, il requisito previsto per la diretta responsabilità del dipendente per il quale è richiesta la colpa grave: sotto tale aspetto, l’intento del costituente di mettere innanzi al danneggiato direttamente il fautore dell’illecito è stato sostanzialmente vanificato. Il terzo, infatti, troverà certamente più agevole agire in via “diretta” ex art.2043 verso la P.A ..
9.7 A questo punto la P.A ., una volta risarcito il terzo, potrà a sua volta agire nei confronti del dipendente non già a titolo di regresso tra condebitori solidali, bensì sulla base della violazione dei doveri d’ufficio da questi compiuta; e non già innanzi al giudice ordinario, bensì davanti alla Corte dei Conti, in ragione anche della normativa che richiede, ai fini della nascita della responsabilità del dipendente, il requisito del dolo o delle colpa grave.
9.8 In altri termini, malgrado sia riconducibile al medesimo “evento”, l’azione che la P.A. esercita nei confronti del proprio dipendente, una volta risarcito innanzi al G.O. il terzo danneggiato, muta il titolo della responsabilità sottostante (con le connesse implicazioni sulla individuazione del diverso Giudice chiamato a conoscerla): si è in presenza infatti, in questi casi, della c.d. responsabilità amministrativa. Quanto precede spiega altresì perché certa dottrina preferisca parlare in tali evenienza di “responsabilità civile-amministrativa”, sottolineando così il genus comune, insieme con le differenze, non irrilevanti, specifiche.
Tale tipo di responsabilità trae le sue fonti normative negli artt.82 e 83 r.d.2440/1923, nell’art.52 del T.U. sulla Corte dei Conti (r.d.1214/34) e negli artt.18, 19 e 20 D.P.R.3/57. La disciplina è stata in ultimo ulteriormente estesa dalle L.20/94 e L.639/96 (nonché, per quanto di ragione, dall’art.33 D.lgs76/2000 per i dipendenti della Regione e art.93 D.Lgs267/2000 per i dipendenti degli enti locali).
9.9 Ciò posto, in tema di ammissibilità dei contratti di assicurazione stipulati dalle PP.AA., se certa parte della dottrina e giurisprudenza pare incline ad ammettere la legittimità dei contratti di assicurazione contro i rischi dei dipendenti connessi all’espletamento della loro attività, sono unanimi i dubbi circa l’ammissibilità di contratti di assicurazione della responsabilità amministrativa per danno erariale dei propri dipendenti. In tali evenienza, a ben vedere, l’ente si configura come creditore del proprio dipendente: con la stipula di un contratto assicurativo di tal fatta la P.A ., lungi dal coprire un’alea a se riferibile, sopporterebbe il pagamento di quanto dovuto dal proprio lavoratore (finendo quindi per vantare un credito nei confronti di se stessa).
10. Il quadro normativo e dottrinario appena evidenziato, induce il Collegio alle seguenti conclusioni. Con la previsione della cessione all’Assicurazione dell’azione di rivalsa nei confronti del proprio dipendente, le sfera della responsabilità tout court civile si incrocia con l’ambito della responsabilità amministrativa (o civile-amministrativa, se si preferisce la terminologia adoperata da parte della dottrina). Di guisa tale che, siccome riconosciuta la prevalente natura amministrativa all’azione di rivalsa in parola, la stessa risulta sottratta alla disponibilità della singola P.A., appartenendo alla giurisdizione della Corte dei Conti, per come sopra precisato.
Considerata altresì la norma interpretativa ex co.274 art.1 L.266/05 (ai sensi della quale Al fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali, l'articolo 26 del regolamento di procedura di cui al regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, si interpreta nel senso che il procuratore regionale della Corte dei conti dispone di tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, del codice civile), ciò che rileva ai fini della risoluzione della controversia è comunque il valore indisponibile dell’azione di rivalsa, in cui si sostanzia – per quanto già esposto e per dottrina unanime - la tipica espressione della responsabilità amministrativa dei pubblici dipendenti innanzi la propria amministrazione (per fatti imputabili a titolo di dolo e colpa grave).
Ciò comporta, per quanto di ragione, la legittimità dell’operato della P.A. che ha agito in via di autotutela anche in considerazione di tale aspetto, in quanto la disposizione del capitolato che ne prevedeva la possibilità configge con norma imperativa, incidendo altresì sulla giurisdizione.
In tal senso, infatti, le stesse SS.UU. della Cassazione hanno riconosciuto che “qualora un ente ospedaliero venga condannato al risarcimento del danno subito da un assistito per fatto colposo del proprio dipendente e poi agisca <<in rivalsa>> nei confronti del dipendente medesimo, la relativa controversia spetta alla cognizione della Corte dei Conti, atteso che la giurisdizione di tale Corte (…) non si riferisce ai soli fatti inerenti al maneggio di denaro ma si estende ad ogni ipotesi di responsabilità per pregiudizi economici arrecati allo Stato o ad enti pubblici da persone legate da vincoli di impiego o di servizio ed in conseguenza di violazione degli obblighi inerenti a detti rapporti (cfr. SS.UU. Cass. 4 dicembre 2001 n.15228 e 15 luglio 1988 n.4634).
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