giovedì 28 marzo 2013

se è possibile un nuovo esercizio di potere amministrativo, esclusa la possibilità di accordare tutela risarcitoria

l’esame della sussistenza del danno da perdita di chance interviene:
- o attraverso la constatazione in concreto della sua esistenza, ottenuta attraverso elementi probatori (ad esempio, con riferimento alle gare d’appalto, si è in presenza di un contratto eseguito o in esecuzione, che avrebbe dovuto essere certamente eseguito da una diversa impresa, in luogo di quella beneficiaria di aggiudicazione illegittima);
- o attraverso una articolazione di argomentazioni logiche, che, sulla base di un processo deduttivo rigorosamente sorvegliato, inducono a concludere per la sua sussistenza;
- ovvero ancora attraverso un processo deduttivo secondo il criterio, elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, del c.d. “più probabile che non” (Cass. civ., n. 22022/2010), e cioè “alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata dai dati della comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali” (Cass., sez. III civ., n. 22837/2010).

Nel caso dei procedimenti amministrativi volti ad attribuire maggiori “potenzialità” all’interessato ed al suo patrimonio giuridico (come nell’ipotesi di procedimenti di concorso, ovvero come nel caso di specie relativo a pianificazione urbanistica) la posizione giuridica sostanziale assurge sicuramente ad interesse legittimo (pretensivo).
Tali situazioni giuridiche, tuttavia, possono ricevere tutela - sol che il titolare la richieda onerandosi del rispetto delle norme procedurali previste - eminentemente sul piano ripristinatorio, mediante annullamento del provvedimento illegittimo e, prima ancora, mediante l’adozione di provvedimenti cautelari da parte del giudice.
Ciò in quanto, nell’interesse legittimo pretensivo, come si è già avuto modo di affermare, l’oggetto della posizione, tale da definirne il contenuto sostanziale (nel cd. lato interno della relazione) non è un “bene” già esistente nel patrimonio giuridico del titolare, bensì la stessa possibilità di conseguimento di un’utilitas per il tramite dell’esercizio del potere amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 3 agosto 2011, n. 4644, cit.).
È del tutto evidente che l’illegittimo esercizio del potere comporta un vulnus per la posizione giuridica di interesse legittimo. Ma tale vulnus – afferendo, a tutta evidenza, ad una situazione dinamica di possibilità di conseguimento di una utilitas – non può che ricevere riparazione se non per il tramite di una tutela del tipo ripristinatorio, per mezzo, cioè, dell’annullamento dell’atto, che consente il riesercizio del potere amministrativo, e quindi il ristabilirsi della “chance di conseguimento dell’utilità finale”.
E ciò con la sola eccezione – come affermano le stesse Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 6594/2011 cit.; ma in tal senso già la sent. n. 500/1999) – di ipotesi di istanze obiettivamente fondate, tali definibili sulla base della situazione concreta dell’istante, dell’assetto normativo applicabile al caso di specie, e del concreto modus agendi, in ipotesi analoghe, della pubblica amministrazione.
Peraltro, nelle ipotesi nelle quali, per effetto dell’annullamento dell’atto, è possibile un nuovo esercizio di potere amministrativo, la giurisprudenza esclude la possibilità di accordare tutela risarcitoria (Cons. Stato, sez. V, 8 febbraio 2011, n. 854; 24 gennaio 2011, n. 462).
A maggior ragione, il mero interesse procedimentale, l’interesse alla correttezza della complessiva gestione del procedimento da parte dell’amministrazione secondo le regole che lo governano, si pone come situazione meramente strumentale alla tutela di una posizione di interesse legittimo. Pertanto, esso non solo non è risarcibile in sé (in quanto, diversamente opinando, si costruirebbe l’interesse legittimo come generica pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa), ma rifluisce nella più generale considerazione dell’interesse legittimo pretensivo (al quale è strumentale), e degli strumenti di tutela per questo esperibili

a cura di Sonia Lazzini

decisione  numero 1403  del 7 marzo 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

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