il comma 1 dell’articolo 243-bis del ‘codice dei contratti’ stabilisce che i soggetti che intendono proporre un ricorso giurisdizionale nelle materie di cui all’articolo 244, comma 1, del ‘codice’ informano le stazioni appaltanti della presunta violazione e della intenzione di proporre un ricorso giurisdizionale.
Il successivo comma 4 stabilisce che la stazione appaltante, entro quindici giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, comunica le proprie determinazioni in ordine ai motivi indicati dall'interessato, stabilendo se intervenire o meno in autotutela. L'inerzia equivale a diniego di autotutela.
Il successivo comma 5 stabilisce, poi, che l'inerzia della stazione appaltante costituisce comportamento valutabile, ai fini della decisione sulle spese di giudizio, nonché ai sensi dell'articolo 1227 del codice civile.
Ebbene, già dalla lettura testuale delle disposizioni da ultimo richiamate emerge che la mancata risposta da parte dell’amministrazione al c.d. ‘preavviso di ricorso’ di cui al comma 1 dell’articolo 243-bis non determina ex se (e in via sostanzialmente automatica) la condanna alle spese in capo all’amministrazione, ovvero la compensazione delle stesse.
Al contrario, tali circostanze devono soltanto essere valutate in modo adeguato dal giudice, qualificandosi la statuizione di cui al comma 5 dell’articolo 243-bis, cit. quale criterio integrativo della generale previsione di cui all’articolo 91 del c.p.c.
Pertanto, nella materia in questione resta immutato sotto ogni aspetto il generale principio secondo cui le statuizioni del giudice in ordine alla condanna della parte soccombente alla rifusione delle spese e degli onorari del giudizio sono di per sé ampiamente discrezionali nonché espressione di regole di equità e convenienza, dovendosi peraltro in tale sede fare applicazione del criterio, di cui all'art. 91 c.p.c., per il quale l'onere delle spese va valutato tenendo conto (inter alia) delle alterne vicende verificatesi nei diversi gradi del giudizio, con riguardo al suo esito finale ed alla effettiva spendita in essi di attività processuale (in tal senso –ex plurimis -: Cons. Stato, V, 28 dicembre 2006, n. 8053).
Pertanto, anche a voler tenere nella massima considerazione ai fini del riparto delle spese di lite il criterio sussidiario di cui al ridetto comma 5 dell’articolo 243-bis del ‘Codice dei contratti’, il Collegio ritiene che non emerga in atti alcun elemento atto a palesare la complessiva incongruità della statuizione sulle spese adottata dai primi Giudici, poiché:
- i motivi di doglianza di cui si è lamentata la mancata valutazione in sede di ‘preavviso di ricorso’ si sono rivelati infondati in entrambi i gradi di giudizio;
- a fronte di un affidamento il cui valore stimato era pari a circa 2,65 milioni di euro (IVA esclusa), la condanna alle spese è stata contenuta in appena 500 euro, oltre gli accessori di legge (il che costituisce di per sé indice del fatto che il mancato rispetto della previsione di cui al comma 5 dell’articolo 243-bis, d.lgs. 163 del 2006 è stato adeguatamente valutato ai fii della condanna alle spese)
a cura di Sonia Lazzini
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