Il bando di gara ha previsto, tra l’altro, la possibilità di proporre offerte in ATI, con esclusione, però (art. 7 del bando), di quelle tra le imprese in grado, già singolarmente, di soddisfare i requisiti economici e tecnici di partecipazione (c.d. ATI “sovrabbondanti”).
In particolare, la Regione ha reputato opportuno, per evitare un uso improprio ed anticoncorrenziale, di non consentire in linea di massima tale tipo di ATI, tranne che non associno anche imprese non ipoqualificate, in coerenza con i principi sul punto da ultimo sanciti dalle deliberazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato – AGCM, nonché dall’AVCP (deliberazioni n. 79 del 7 ottobre 2009, n. 13 dell’11 marzo 2010, ecc.)
Il Collegio osserva che la clausola in parola, nel riferirsi a pronunciamenti dell’AVCP sui possibili effetti anticoncorrenziali della partecipazione a gara delle ATI sovrabbondanti, assolve appunto a tal funzione, discendente dall’obbligo della stazione appaltante d’assicurare la maggior concorrenzialità possibile nella specifica procedura di gara.
Ma, come rettamente osserva la Regione appellante, un divieto di tal tipo di ATI non è posto in assoluto, né sarebbe legittimamente possibile, stante l’evidente favor del diritto comunitario alla partecipazione alle gare ad evidenza pubblica anche dei soggetti riuniti, al di là della forma giuridica di tale loro aggregazione. Il divieto, come d’altronde ogni limite quantitativo all’ingresso di operatori in un dato mercato competitivo, anche regolato, serve a garantire che non si verifichi un’indebita, sproporzionata o irragionevole compressione della concorrenza nella specifica gara. Di converso, il divieto va interpretato secondo gli ordinari canoni di valutazione di coerenza della fonte con le regole ed i principi costituzionali e comunitari, ossia precludendo siffatta partecipazione con riguardo alle evidenze del mercato proprio dell’appalto e nei soli limiti in cui ciò è necessario. Da ciò discende il carattere non immediatamente escludente della clausola, a nulla rilevando che la Società appellata la intenda in modo differente, giacché non v’è evidenza, né a priori, né a seguito dell’effettiva partecipazione di essa alla gara nella forma aggregativa prescelta, che l’ATI sovrabbondante stia creando un’aggregazione anticoncorrenziale.
Pertanto, se è in sé legittima l’inserzione della citata clausola nel bando, negli ovvi limiti della proporzionalità e della ragionevolezza, la relativa applicazione, per esser reputata legittima, non può mai prescindere dal concreto accertamento dell’effetto anticoncorrenziale che quella e solo quella ATI sovrabbondante possa produrre in quella ed in quella singola procedura di gara.
A CURA DI SONIA LAZZINI
passaggio tratto dalla decisione numero 842 del 12 febbraio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato
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