giovedì 13 dicembre 2012

prescrizione chiara, un’ammissione alla regolarizzazione costituirebbe violazione della par condicio fra i concorrenti



l'omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti a pena di esclusione non può considerarsi alla stregua di un'irregolarità sanabile,

 e, quindi, non ne è permessa l'integrazione o la regolarizzazione postuma, non trattandosi di rimediare a vizi puramente formali.

E ciò tanto più quando non sussistano equivoci o incertezze generati dall'ambiguità di clausole della legge di gara (cfr., tra le più recenti: C.d.S., V, 2 agosto 2010, n. 5084; 2 febbraio 2010, n. 428; 15 gennaio 2008, n. 36). I

in presenza di una prescrizione chiara, un’ammissione alla regolarizzazione costituirebbe violazione della par condicio fra i concorrenti. La richiesta di regolarizzazione, pertanto, non può essere formulata per permettere l’integrazione di documenti che, in base a previsioni univoche del bando o della lettera di invito, avrebbero dovuto essere prodotti a pena di esclusione (C.G.A., n. 802 del 2006; C.d.S., IV, n. 4560 del 2005 e n. 2254 del 2007).


si legga anche
Riportiamo qui di seguito la decisione numero 428 del 2 febbraio 2010 emessa dal Consiglio di Stato

la dichiarazione di assenza di carichi penali, poi invece risultanti dai controlli effettuati dall’Amministrazione, integra un’autonoma causa di esclusione dalla gara (cfr. Cons. St., sez. V, 12 aprile 2007, n. 1723; Cons. St., sez. V, 6 giugno 2002, n. 3183).


Riformando la sentenza di primo grado (Tar Lazio, Roma, 20.04.2009 n. 3984), il Consiglio di Stato afferma la legittimità di un annullamento di un’aggiudicazione (con l’escussione della relativa cauzione provvisoria) per omessa dichiarazione di una sentenza conseguita nel 2005 ex art. 444 c.p.p., per omicidio colposo da incidente stradale a carico del legale rappresentante della ditta partecipante

Deve, inoltre, ritenersi in contrasto coi principi che informano le procedure ad evidenza pubblica l’assunto del TAR Lazio secondo cui è necessario che la stazione appaltante, quando si avveda della presenza di reati commessi e non dichiarati dal concorrente, formuli comunque il giudizio di gravità richiesto dalla lettera del primo comma lett. e) dell’art. 38: al di là dell’omessa dichiarazione – costituente autonoma fattispecie - è di palmare evidenza la considerazione per cui si consentirebbe, in tal modo, il superamento della fase di ammissione dei concorrenti alla gara vera e propria falsando tutto il procedimento, con violazione della par condicio dei partecipanti.


Con ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio la Ricorrente di primo grado s.r.l. impugnava, in via principale, il provvedimento con il quale il Municipio III del Comune di Roma l’aveva dichiarata decaduta dall’aggiudicazione provvisoria, già disposta a favore della predetta società all’esito della procedura ristretta semplificata del 18 giugno 2008, per i lavori di manutenzione ordinaria delle strade e dei marciapiedi, bandita dal suindicato Municipio, disponendo l’escussione della cauzione provvisoria di € 9.979,18 pari al 2% dell’importo lavori posto a base della gara.
La Società ricorrente riferiva che il rappresentante legale, sig. Fabrizio M., nel rendere la dichiarazione prevista dall’art. 38, comma 1 lett. c), del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163, non riportava una sentenza conseguita nel 2005 ex art. 444 c.p.p., per omicidio colposo da incidente stradale, dal momento che la lettera di invito faceva esplicito riferimento ad eventuali condanne. Soggiungeva la ricorrente che l’Amministrazione comunale procedente, in data 19 settembre 2008, le notificava il provvedimento impugnato, adottato in quanto “la mancata dichiarazione di aver riportato una condanna penale configura invece una distinta ed autonoma violazione del dovere di dichiarare l’inesistenza di situazioni ostative all’ammissione” (così, nella motivazione, il provvedimento impugnato).
Lamentando l’illegittimità della decisione assunta dall’Amministrazione nei suoi confronti sotto diversi profili, la società ricorrente chiedeva l’annullamento dell’atto impugnato.
Si costituiva in giudizio l’Amministrazione comunale intimata contestando la fondatezza delle avverse prospettazioni e chiedendo la reiezione del gravame. Il particolare la difesa comunale ribadiva la correttezza del comportamento assunto dalla stazione appaltante, che non poteva far altro se non dichiarare decaduta l’odierna ricorrente dall’aggiudicazione provvisoria, stante la “falsa dichiarazione” resa in sede di gara e tenuto conto che, in materia di gare l’autocertificazione è abbastanza rigorosa perché richiede di dichiarare non soltanto l’inesistenza delle cause di esclusione di cui alla lett. c), ma anche tutte le situazioni possibilmente pregiudizievoli per il rapporto fiduciario che è alla base del contratto pubblico.
Si costituiva altresì in giudizio la controinteressata, società CONTROINTERESSATA DI PRIMO GRADO. s.r.l., che chiedeva la reiezione del gravame.
Con ordinanza 22 ottobre 2008, n. 4936 il Tribunale accoglieva, limitatamente all’incameramento della cauzione provvisoria e all’eventuale segnalazione all’Autorità di vigilanza, l’istanza cautelare proposta dalla parte ricorrente.
Con sentenza n. 3984 del 20 aprile 2009 la Sezione II del TER Lazio annullava la determinazione impugnata, di decadenza dall’aggiudicazione provvisoria, sulla base della considerazione che la mancata dichiarazione di un precedente penale non integrerebbe ex se motivo di esclusione, in quanto occorrerebbe indagare se il reato non dichiarato incida effettivamente sulla moralità professionale e sia effettivamente grave in riferimento ad essa; di conseguenza, la discrezionalità della P.A., consentita dalla norma che non identifica condotte tipizzate, secondo la richiamata statuizione del TAR Lazio, sarebbe legittima solo ove l'esclusione sia motivata in ragione della natura e della gravità oggettiva del reato in relazione alla moralità professionale.
La sentenza ha, invece, rigettato la domanda di risarcimento del danno avanzata dalla Soc. Ricorrente di primo grado per carenza di prova sull’esistenza e sull’entità del danno patrimoniale dedotto.
Con ricorso notificato in data 4 giugno 2009 il Comune di Roma ha proposto appello avverso tale sentenza, ritenendola erronea ed ingiusta e chiedendone la riforma, con conseguente rigetto del ricorso di primo grado e con vittoria delle spese. In particolare, la difesa del Comune ha dedotto circa il rischio derivante dalla decisione del TAR: quello di consentire, attraverso l’attribuzione dell’ampia discrezionalità in capo al concorrente nel permettere di autocertificare le sole condotte penali che egli ritenga dirimenti, che il giudizio sull’incidenza della moralità professionale sia rimesso a quest’ultimo e non, invece, come dovrebbe essere, direttamente alla P.A. in veste di stazione appaltante.
Si è costituita la Società Ricorrente di primo grado s.r.l., chiedendo il rigetto dell’appello nel merito per infondatezza dei motivi con lo stesso dedotti.
Si è altresì costituita la CONTROINTERESSATA DI PRIMO GRADO. s.r.l., aggiudicataria in via definitiva della gara, che ha chiesto l’accoglimento dell’appello del Comune.
Questa Sezione, con ordinanza n. 4010/2009, ha respinto la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata.
Le parti hanno depositato memorie, insistendo nelle già rassegnate conclusioni e la causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 23 ottobre 2009.
Il dispositivo di decisione è stato pubblicato con il n. 704/2009.
Qual è il parere dell’adito giudice di appello del Consiglio di Stato?

L’appello del Comune di Roma è fondato e, quindi, merita di essere accolto per le seguenti considerazioni.
Questa Sezione ha di recente sostenuto che il riferimento a “reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale” è stato intenzionalmente operato dalla normativa di recepimento delle c.d. direttive appalti per lasciare un ampio margine di apprezzamento alla stazione appaltante sia sulla incidenza del reato, sia sulla moralità professionale, sia per l’offensività per lo Stato o per la Comunità, sia sulla gravità del fatto (Cons. St., sez. V, 12 giugno 2009, n. 3773).
In tale ottica, la circostanza che il rappresentante dell’impresa abbia oggettivamente omesso di dichiarare il precedente penale, ha senza dubbio integrato la violazione dell’art. 38 lett. e) del D.Igs. 163/06, anche in riferimento al secondo comma ("i concorrenti dichiarano anche i reati per i quali abbiano beneficiato della non menzione") ed in linea con la prescrizione della lex specialis di gara che prevedeva la dichiarazione del possesso di tutti i requisiti compresi i reati ex art. 38 lett c) anche se oggetto di non menzione) richiesti per la partecipazione alla gara.
L’amministratore della Ricorrente di primo grado, infatti, ha esplicitamente dichiarato che nei suoi confronti non era stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale. In tale contesto, va quindi ribadito l’insegnamento di questa Sezione secondo cui il giudizio sulla gravità del reato è rimesso solo e soltanto all’amministrazione committente (cfr. Cons. St., sez. V, 12 giugno 2009, n. 3773 ove si afferma che "la mancanza di parametri fissi e la genericità della prescrizione lascia un ampio spazio di valutazione discrezionale per la stazione appaltante che consente alla stessa margini di flessibilità operativa”).
Né, nel caso in esame, pare potersi affermare l’oggettiva oscurità delle clausole del bando o la portata non sostanziale dell’adempimento omesso dal concorrente. L’oscurità, poi, non può dirsi sussistente laddove – come nel caso di specie – il bando o la lettera di invito richiamino espressamente una norma di legge imperativa (quali sono pressoché tutte quelle che regolano le procedure ad evidenza pubblica) perché in questo caso è onere del concorrente andare a verificare che cosa quella norma prevede e regolarsi di conseguenza. Ora, nel caso di specie la norma di riferimento è costituita dal combinato disposto fra gli arti. 38, comma 1, lett. c), e 38, comma 2, del d.lgs. n. 163/2006. Com’è noto, al comma 1 lett. c), il Legislatore delegato ha previsto, quale causa di esclusione, l’essere stato il concorrente condannato per reati che incidono sulla moralità professionale (indicando di seguito alcuni reati per i quali tale incidenza sia presente iuris et de iure), fatti salvi gli effetti della riabilitazione; al comma 2, invece, ha stabilito che il concorrente deve dichiarare nella domanda anche le eventuali condanne per le quali abbia beneficiato della non menzione. L’art. 38, comma 2, stabilisce expressis verbis, l’obbligo di dichiarare tutte le condanne subite (salvo che non sia intervenuta la riabilitazione), la valutazione della loro incidenza essendo rimessa all’amministrazione giudicatrice. Pertanto, sotto questo profilo, nessuna oscurità esiste nella legge, e quindi, neanche nel bando o nella lettera di invito (la lex specialis) che la legge richiamino.
Nel caso di specie, la documentazione di gara è stata molto puntuale nel prevedere esplicita dichiarazione dei reati ex art. 38 lett. c) comprese "eventuali condanne per le quali il dichiarante abbia beneficiato della non menzione”.
Per tali assorbenti considerazioni l’appello in esame è fondato e deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso di primo grado.

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