Come si vede, non è in discussione l’erroneità in sé, o meno, della scelta di non ammettere ATI “sovarabbondanti” alla gara in questione, né tampoco se una stazione appaltante abbia, da sola, titolo legittimo ad assumere regole più o meno pro-competitive nell’ambito d’una singola procedura ad evidenza pubblica, ma come valore assoluto e senza alcun collegamento, logico e/o giuridico, con l’utilità sperata dall’esecuzione dell’appalto.
Invero, si può anche ritenere che una scelta siffatta, ossia la limitazione a priori alle imprese della facoltà d’un tipo di ATI per ragioni antitrust, non risponda di per sé sola ad alcuna reale esigenza sottesa all’evidenza pubblica, soprattutto se meramente astratta, non proporzionata al concreto oggetto dell’appalto e non suffragata da gravi indizi di intese di cartello tra le imprese. È, questo, il caso indicato da Cons. St., VI, 19 giugno 2009 n. 4145, richiamato da Cons. St., VI, 18 gennaio 2011 n. 351 (ord.za) per provocare la pronuncia di Ad. plen. n. 4/2011, fermo, al riguardo, restando anche l’ormai risalente parere dell’AGCM del 2003 sulle limitazioni delle ATI “sovrabbondanti” alle gare ad evidenza pubblica.
Pare tuttavia al Collegio che, a tutto concedere, la facoltà delle stazioni appaltanti di non ammettere queste ultime alle gare, non essendo basata su norme imperative (arg. ex CGA, 4 luglio 2011 n. 474) e non potendo esser statuita in via pretoria (cfr. Cons. St., VI, 20 febbraio 2008 n. 588), resta allora soggetta agli ordinari canoni di proporzionalità e di ragionevolezza, sia in sé, sia con riguardo ed all’oggetto dell’appalto ed alla predetta utilità sperata.
Sicché, assodato che la tutela della concorrenza nell’evidenza pubblica va governata all’interno della gara e per il conseguimento del risultato economico che il soggetto aggiudicatore si prefigge, non si può ritenere collusiva un’ATI “sovrabbondante” per il sol fatto che si presenti ad una gara pubblica. L’accordo associativo per tali ATI, come ogni rapporto tra privati, in realtà è neutro e, come tale, soggiace alle ordinarie regole sulla liceità e la meritevolezza della causa e non può dirsi di per sé contrario al confronto concorrenziale proprio dell’evidenza pubblica. Insomma, elidere senz’altro la possibilità di ATI “sovrabbondante”, in assenza di motivate ragioni direttamente incidenti sulle esigenze concorrenziali della gara, soprattutto in gare, come quella per cui è causa, complesse ed articolate, potrebbe anche comprimere in modo eccessivo facoltà dell’imprenditore per ragioni non basate sull’art. 41 Cost. ed anche non consentire quelle virtuose aggregazioni commisurate a tali esigenze reali.
3. – Ma, se tutto questo può giustificare una censura sulla scelta operata dalla lex specialis, da esso non si può direttamente inferire null’altro che l’immediata impugnabilità della clausola, non certo la prova sulla differenziazione dell’interesse del soggetto che l’impugna.
Non basta predicare l’illegittimità, ma occorre dar contezza che l’interesse azionato sia non già di mero fatto o, il che è in pratica lo stesso, basato su una mera ipotesi di possibile ed eventuale ATI “sovrabbondante” con terzi. Occorre che l’interesse sia qualificato dalla dimostrazione d’una seria chance di offerta spendibile in quella gara coeteris paribus e senza dover attendere l’eventuale rinnovazione di essa. Altrimenti, tal interesse non è diverso da quello di qualsiasi altro operatore del settore che non ha inteso partecipare alla gara stessa per i più diversi motivi e che, pur tuttavia, spera nella caducazione dell'intera selezione.
4. – Tutto ciò rende irrilevante la richiesta di rimessione di siffatta questione alla Corte di giustizia UE o di deferimento all’Adunanza plenaria, giacché, come s’è visto, lo snodo essenziale della presente lite è l’ammissibilità in sé non già delle ATI “sovrabbondanti”, bensì dell’interesse azionato in primo grado
a cura di Sonia Lazzini
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