Non può essere condivisa la lettura restrittiva dell’art. 75, comma 6, codice appalti, proposta dall’appellante, secondo cui i fatti dell’affidatario, impedienti la stipulazione del contratto, e che giustificano l’incameramento della cauzione provvisoria, sarebbero solo i comportamenti successivi all’aggiudicazione, quale il rifiuto di stipulare il contratto.
Siffatta limitazione non si desume in alcun modo: la ratio della cauzione provvisoria è di garantire la serietà dell’offerta e di coprire forfettariamente i costi che incontra la stazione appaltante se viene coinvolta in inutili trattative. Il che accade ogni qual volta non si possa far luogo a stipulazione del contratto per fatto dell’aggiudicatario, ed è tale qualunque fatto che impedisce la stipulazione: non solo i fatti successivi all’aggiudicazione, e relativi dunque solo alla mancata stipulazione, ma anche i fatti che afferiscono all’aggiudicazione e che, imponendo il ritiro dell’aggiudicazione, impediscono consequenzialmente anche la stipulazione del contratto.
Neppure possono condividersi gli argomenti esegetici che parte appellante pretende di trarre dall’evoluzione normativa anteriore al codice appalti; infatti la vicenda si è svolta nel vigore del codice appalti, e l’interpretazione “storica” delle sue disposizioni, alla luce di quelle previgenti, non può prevalere sul chiaro tenore testuale delle disposizioni del codice, vale a dire:
- la previsione generale dell’art. 75, comma 6, codice appalti, che sanziona con l’incameramento della cauzione provvisoria, in termini generalissimi, tutti i casi di mancata stipulazione del contratto per fatto dell’aggiudicatario;
- la previsione speciale dell’art. 48, che sanziona con l’incameramento della cauzione il difetto dei requisiti speciali, acclarato in sede di controllo a campione, ovvero di controllo sull’aggiudicatario e sul secondo classificato.
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