lunedì 2 luglio 2012

mancato esperimento rimedi reintegrazione specifica non incide sul risarcimento equivalente

Non può essere condivisa nemmeno l’ulteriore questione, con la quale l’appellante sostiene che l’appellata ha concorso a provocare il danno non avendo proposto azione per l’annullamento del silenzio

ovvero per l’ottemperanza del giudicato e quindi il rilascio dell’autorizzazione una volta formatosi il giudicato favorevole.

La domanda di risarcimento riguarda il periodo che ha avuto inizio con l’adozione del provvedimento di diniego ed è durato fino al suo annullamento da parte di questo Consiglio di Stato, durante il quale all’appellante è stato impedito lo svolgimento dell’attività commerciale.

Non rileva quindi, rispetto alla pretesa risarcitoria, il mancato esperimento di strumenti necessari per ottenere il rilascio dell’autorizzazione con effetto “ex nunc” quindi senza alcuna incidenza sul periodo precedente.

Giova poi osservare come, in realtà, il lungo tempo trascorso dalla presentazione della domanda all’annullamento del diniego (oltre dieci anni) giustifichi anche un’eventuale volontà dell’appellante di rinunciare, a causa di mutate scelte imprenditoriali, allo svolgimento di quella attività economica, limitandosi a chiedere il risarcimento per il periodo durante il quale la stessa le è stata illegittimamente impedita, per cui il mancato esperimento dei rimedi per la reintegrazione in forma specifica non incide sulla problematica relativa al risarcimento per equivalente.

3c. Il Comune appellante sostiene che l’appellata avrebbe potuto evitare il danno usando l’ordinaria diligenza (art. 1227 c.c.).
L’appellata infatti una volta entrato in vigore il d. lgs. 31 marzo 1998, n. 114, avrebbe potuto inviare la comunicazione di cui all’art. 7 del predetto decreto, e su quella base avviare l’attività commerciale di cui si tratta.
L’appellante sostiene, in sostanza, che una volta entrata in vigore la normativa “liberalizzatrice” da esso invocata l’appellata non avrebbe avuto interesse a coltivare il giudizio di impugnazione, in quanto il bene della vita che intendeva ottenere mediante quel processo poteva essere conseguito con un’iniziativa estranea a quel contenzioso.

La tesi non può essere condivisa in quanto l’interesse all’impugnazione costituiva presupposto di quel processo, ed al suo interno il giudice non ha rilevato la sua mancanza.

Atteso che il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, la questione non può in alcun modo essere proposta nell’ambito del presente, e distinto, giudizio.

Tratto dalla decisione numero 3735 del 26 giugno 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

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