il principio della “prova rigorosa”, costantemente affermato dalla giurisprudenza, trova oggi espressa conferma nell’art. 124 del D.Lgs. 104/2010 che, nel rito degli appalti, prevede il risarcimento del danno (per equivalente) “subito e provato”
d)Può essere adesso esaminata la questione concernente la misura del risarcimento:
Non può essere accolta la pretesa della ricorrente di ottenere l’equivalente del 10% dell’importo a base d’asta.
Questa Sezione, aderendo alla più recente giurisprudenza (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato-Sezione 6^, 16 settembre 2011, n. 5168) ha già affermato che il criterio del 10% del prezzo a base d’asta -se pure è in grado di fondare una presunzione su quello che normalmente è l’utile che un’impresa ritrae dall’appalto- non può non essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata, poiché rischierebbe di rendere il risarcimento dei danni più favorevole per l’imprenditore dell’impiego del capitale: appare allora preferibile l’indirizzo che esige la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto.
Tratto dalla sentenza numero 1386 del 29 maggio 2012 pronunciata dal Tar Sicilia, Catania
Al riguardo, si ritiene di condividere l’orientamento espresso dalla più recente giurisprudenza (Consiglio di Stato-Sez. 5^, n. 1193 del 24 febbraio 2011, Sezione 6^, n. 7004 del 21 settembre 2010; questa stessa Sezione, n. 1122/2012) secondo cui, in difetto della effettiva e concreta prova del danno nei termini sopra descritti, è da ritenere -secondo l’id quod plerumque accidit- che l’impresa “in quanto soggetto che esercita professionalmente un’attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili-normalmente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative dalla cui esecuzione trae utili (Consiglio di stato-Sezione 5^, n. 16819 del 15 febbraio 2011).
Inoltre, il principio della “prova rigorosa”, costantemente affermato dalla giurisprudenza, trova oggi espressa conferma nell’art. 124 del D.Lgs. 104/2010 che, nel rito degli appalti, prevede il risarcimento del danno (per equivalente) “subito e provato”.
In conclusione, per quanto riguarda la fattispecie in esame –avuto riguardo al fatto che l’impresa ricorrente non ha assolto all’onere di provare l’ammontare effettivo del danno conseguito, l’importo del risarcimento dovuto in suo favore va individuato, in via equitativa, nella misura del 5% dell’offerta economica prodotta in gara dalla stessa.
Su tale somma dovrà essere corrisposta la rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, dalla data della stipula del contratto con l’impresa che è risultata illegittimamente aggiudicataria fino a quella di deposito della decisione del giudice del risarcimento, data quest’ultima che costituisce il momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta; sulle somme rivalutate non si devono, invece, corrispondere gli interessi, atteso che altrimenti si produrrebbe l’effetto di far conseguire al creditore più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto nel caso di assegnazione dell’appalto (Consiglio di Stato-Sezione 5^, n. 3806 del 30 luglio 2008).
Spettano, invece, gli interessi nella misura legale dalla data della presentazione della presente decisione fino all’effettivo soddisfo.
e)La società ricorrente chiede, altresì, il danno curriculare.
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