Appare dunque, del tutto coerente con il contesto normativo e giurisprudenziale appena descritto la scelta iniziale del ricorrente di agire in primo luogo dinanzi al G.A. per ottenere l'annullamento del provvedimento di diniego, con facoltà di proporre la domanda risarcitoria una volta passata in giudicato l'eventuale sentenza di annullamento
E' inoltre necessario ricordare che il risarcimento del diniego di un permesso di costruire sia ammesso dalla Giurisprudenza prevalente laddove ha sancito che….."deve ammettersi il risarcimento dell'interesse pretensivo all'ottenimento di permesso di costruire la cui lesione sia stata cagionata dal duplice diniego illegittimamente opposto dall'amministrazione comunale e dal conseguente ritardo nel provvedere in senso favorevole (Cons. Stato Ad. Plen. 03-12-2008, n. 13)".
Se, infatti, risulta evidente che in materia ci troviamo in presenza di interessi pretensivi, è altresì parimenti inequivocabile che, in considerazione delle peculiarità della fattispecie in esame, l'intervenuta variante del piano regolatore (delibera della Regione Veneto n. 15798 del 23/05/2003) non ha consentito (come pure di norma avviene) il riesercizio del potere e, quindi, la possibilità dell’accoglimento di una successiva istanza che, in quanto tale, avrebbe potuto integrare gli estremi di un risarcimento in forma specifica.
La variante sopra citata è intervenuta nel corso dell’anno 2003 e, quindi, nel corso del giudizio avente ad oggetto la legittimità del provvedimento di diniego dell'istanza di concessione edilizia.
E' del tutto evidente come nel caso in esame la tutela risarcitoria abbia costituito l'unica forma di giustizia perseguibile da parte del ricorrente e, ciò, pur considerando come lo stesso ricorrente non abbia proceduto ad impugnare la variante al Prg che qualificava nuovamente l’area quale area pubblica, variante che pure di fatto permetteva un’edificabilità limitata in quanto diretta a ricomprendere l’area di cui si tratta all’interno del c.d. Parco della Collina del Castello.
Se dunque vi è un danno, questo va individuato in un ristretto ambito temporale. Se detta lesione viene in essere a partire 09.06.1997 (data del provvedimento di diniego) va verificato sino a quale periodo perduri.
Sul punto appare utile ricordare che il codice del processo amministrativo, pur mostrando di voler affermare l'autonomia processuale della domanda di risarcimento dalla domanda di annullamento, è giunto a una soluzione in qualche misura "intermedia" introducendo la c.d. pregiudiziale mascherata. Il nuovo codice ha valutato che il mancato esperimento degli strumenti di tutela previsti, ivi compresa l'azione di annullamento, costituisca un fatto concreto da apprezzare, nel quadro del comportamento complessivo delle parti e, ciò, fino ad escludere il risarcimento dei danni che il danneggiato avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.
Com’è noto la consequenziale applicazione dei principi di "causalità ipotetica" impedisce di fatto di ritenere ammissibile il risarcimento del danno tutte le volte che lo stesso danno non si sarebbe prodotto se il “creditore” avesse tenuto il comportamento collaborativo di cui ai criteri di correttezza e buona fede sanciti dall'art. 1227 del codice civile.
7. Sulla base di quanto sopra precisato appare del tutto evidente che l’impugnativa della modifica al Prg approvata dalla Regione Veneto, con delibera n. 15798 del 23/05/2003 - e l’eventuale annullamento dello stesso atto per quanto attiene la prescrizione urbanistica che incide nell’area del ricorrente -, avrebbe impedito il realizzarsi anche (ma non solo) della lesione allo ius aedificandi. Ma l'eventuale accoglimento, così come sopra precisato, avrebbe soprattutto impedito il venire in essere del danno correlato alla diminuzione di valore del fondo che, a seguito della variante al Prg è stato classificato come “PU standard pubblico”, così come avrebbe impedito anche il danno allo ius aedificandi prodottosi a partire dalla data di approvazione della variante.
Va comunque rilevato che i procedimenti relativi alla concessione edilizia e all’adozione di una variante al Prg attengono a valutazioni e interessi del tutto differenti e, ciò, laddove si consideri che la concessione edilizia è diretta a permettere l’esercizio di un diritto del singolo proprietario connaturato al fondo, mentre l’adozione di una variante al Prg è diretta a tutelare gli interessi di una determinata collettività che incide su una determinata area.
La diversità di presupposti dei due procedimenti, dell’ambito in cui essi incidono, suggerisce di distinguere le lesioni effettivamente prodottesi, nel caso di specie, in due distinte fasi. In relazione a detti due momenti andranno anche individuati differenti “gradazioni” degli oneri di lealtà e correttezza in relazione agli oneri di parte ricorrente di attivarsi per impedire il realizzarsi del danno.
Argomentare in modo contrario porterebbe a subordinare il risarcimento del danno all’impugnativa di due diversi provvedimenti (diniego di concessione e variante di Prg), diretti ciascuno alla tutela di interessi differenti e, ancora, in astratto e in via generale a tutti i provvedimenti che, pur estranei ad uno stesso procedimento, dovessero comunque essere riferiti ad una determinata area o soggetto.
8. Ma sul punto va comunque sottolineata la violazione dei principi di correttezza e buona fede connaturati al comportamento del ricorrente che non ha proceduto all’impugnativa della variante al Prg.
Deve pertanto ammettersi l'applicazione, proprio per quanto attiene la mancata impugnativa della variante, dei principi di cui al connaturato disposto degli art. 2056 e 1227 comma 2° del codice civile nella parte in cui consentono di escludere il risarcimento del danno che si sarebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza e, quindi, con l’impugnazione della variante del Prg sopra citata.
Va inoltre rilevato come non appaia condivisibile la considerazione, di parte ricorrente, diretta a ricordare come lo stesso ricorrente abbia preso parte al procedimento che ha portato alla variante del 2003, presentando memorie e deduzioni.
Com'è noto, infatti, il ricorso per l’annullamento, pur non essendo l’unica tutela esperibile, costituisce, ancora oggi e a seguito dell'introduzione dell'art.30 c.p.a. lo strumento primario predisposto dall’ordinamento a rimuovere la fonte del danno. Ne deriva che la violazione dei principi di buona fede di cui all’art. 1227 comma 2 del codice civile vanno individuati, anche, nel mancato utilizzo del rimedio appropriato previsto dall’ordinamento per raggiungere gli obiettivi della tutela specifica delle situazioni incise.
Come ha affermato una recente pronuncia del Consiglio di Stato (sez. VI 31 Marzo 2011 n. 1983) ..” non basta ad integrare un comportamento attivo di ordinaria diligenza, l’invito e la messa in guardia dell’Amministrazione sull’ingiustizia dei danni che l’atto causa; né basta esperire un rimedio interno, come un ricorso gerarchico, se poi viene respinto. Occorre una vera e propria domanda di giustizia, cioè che l’interessato si spinga al rimedio giustiziale disponibile contro l’atto amministrativo illegittimo per ottenerne l’annullamento e dunque la cessazione della produzione”.
Questa stessa pronuncia ha poi sancito l’applicabilità de principi di cui all’art. 1227 del codice civile anche ai giudizi proposti (quale è quello in esame) prima della vigenza del codice del processo in quanto la regola di cui si tratta “si fonda su un canone generale di correttezza e buona fede oggettiva”.
9. Deve convenirsi, inoltre, con la parte ricorrente circa la considerazione della sussistenza, nella fattispecie in esame, di tutti gli elementi tipici del danno e, ciò, pur solo per quanto attiene il provvedimento di diniego di concessione edilizia. Sussiste certamente il nesso causale, in quanto è indubitabile che la lesione allo ius aedificandi sia stata provocata dall' "arresto procedimentale" del diniego in questione che, proprio in quanto tale, ha impedito lo sfruttamento economico dell'area. Sussiste, altresì, l'evento dannoso, dato dall'adozione dello stesso provvedimento di diniego e del prodursi degli effetti ad esso correlati; così come viene in essere anche l'elemento soggettivo, quanto meno, della "colpa" dell'Amministrazione che ha negato una concessione edilizia pur in presenza di un Piano Regolatore che qualificava l’area come edificabile.
10. Tutto quanto premesso va comunque ribadito che il danno si è prodotto; e si è prodotto nello spazio temporale intercorrente tra la data di diniego della concessione edilizia, fino alla mutata qualificazione urbanistica della zona che ha trasformato la previsione urbanistica da edificabile in standard “pubblico”.
Detto danno è da ascrivere al solo mancato esercizio dello ius aedificandi sul terreno di proprietà del ricorrente e, in quanto tale, va individuato nella lesione al bene della vita riconducibile al beneficio, patrimonialmente valutabile, che il proprietario avrebbe realizzato se avesse potuto procedere all'edificazione dei fabbricati di cui all'istanza di concessione.
La somma da quantificare dovrà pertanto risultare comprensiva sia del danno emergente sia del lucro cessante e, ciò, in ossequio agli arresti Giurisprudenziali in materia di danno da chance, laddove comprendono anche il lucro cessante tutte le volte che vi sia la rilevante probabilità di raggiungere il risultato sperato.
In detta quantificazione non potrà computarsi, come sopra anticipato e come vorrebbe il ricorrente, il danno patrimoniale conseguente alla diminuzione di valore del fondo, quest’ultimo riconducibile - per nesso causale - alla modifica al Piano regolatore e in quanto riferito ad una fase successiva nell’ambito della quale deve considerarsi prevalente la lesione dei principi di buona fede e correttezza conseguenti alla mancata impugnazione della variante al Prg..
Va ancora precisato che la somma da individuare a titolo di risarcimento del danno dovrà altresì essere commisurata alla potenzialità edificatoria (5.846 mc) dell'area al momento del diniego dell'istanza di concessione edilizia e dovrà essere comprensiva degli interessi e della rivalutazione monetaria.
11. Al fine di procedere alla materiale quantificazione del danno, questo Collegio ritiene utile ricorrere allo strumento di cui all’art. 34 comma 4° del codice del processo Amministrativo e, quindi, di permettere alle parti l’individuazione di una somma di denaro e di ricercare così un accordo sul quantum e, in ciò, valorizzando quei contatti già in precedenza instaurati.
In ossequio a quanto previsto dall’art. 34 comma 4 del codice del processo il debitore (nella species il Comune di Conegliano) dovrà proporre, utilizzando i criteri sopra precisati, al creditore (Dott. Paccagnella Adriano) e a titolo di soddisfo del risarcimento del danno in questione, il pagamento di una somma commisurata alla lesione dello ius aedificandi, entro un congruo periodo di tempo che, si stima pari a 60 (sessanta) giorni a decorrere dalla data di emanazione della presente sentenza.
In conclusione va, pertanto, parzialmente accolto il ricorso nei limiti sopra precisati.
L'estrema complessità delle questioni di fatto e di diritto portate all'attenzione del Collegio, e la reciproca parziale soccombenza delle parti costituite, comporta l'integrale compensazione delle spese di giudizio tra le medesime.
Tratto dalla sentenza numero 462 del 29 marzo 2012 pronunciata dal Tar Veneto, Venezia
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