Poiché nessun partecipante ad una gara di appalto per l'affidamento dell'incarico di brokeraggio assicurativo per tre anni, ha presentato la cauzione provvisoria_in quanto nel bando non se ne faceva menzione_ed in considerazione che detta omissione comporterebbe l’esclusione di tutte le concorrenti, correttamente la Stazione appaltante ha annullato l’intera procedura
l’Amministrazione proprio mediante l’avversata determina dirigenziale n. 216 del 9.8.2010 (ampiamente motivata) ha sostanzialmente deciso di “azzerare” la gara di che trattasi revocando tutti gli atti relativi, nella inoppugnabile considerazione che il bando era “nato monco” anche per le ragioni evidenziate dalla odierna ricorrente (e quindi anche al condivisibile fine di non dovere aggiudicare l’appalto senza una adeguata platea di offerte poste a confronto ed in concorrenza tra loro)
In linea generale la giurisprudenza ha da tempo chiarito che la pubblica amministrazione conserva, anche in relazione ai procedimenti di gara per la scelta del contraente, il potere di annullare in via di auto-tutela il bando, le singole operazioni di gara e lo stesso provvedimento di aggiudicazione, ancorché definitivo, quando i criteri di selezione si manifestino come suscettibili di produrre effetti indesiderati o comun-que illogici ovvero in presenza di gravi vizi dell'intera procedura, do-vendo tener conto delle preminenti ragioni di salvaguardia del pubbli-co interesse (IV Sez. n. 5374 del 2006).
Nello specifico tale potere di autotutela, che trova fondamento nei principi costituzionali predicati dall'articolo 97 della Costituzione cui deve ispirarsi notoriamente l'azione amministrativa, incontra il solo limite insuperabile nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza, alla cui puntuale osservanza è tenuta anche la pubblica amministrazio-ne (VI Sez. n. 4309 del 2008).
L'amministrazione, di conseguenza, è legittimata a revocare la procedura solo se fornisce una adeguata motivazione in ordine alla natura e alla gravità delle anomalie contenute nel bando o verificatesi nel corso delle operazioni di gara o comunque negli atti della fase pro-cedimentale che, alla luce della comparazione dell'interesse pubblico con le contrapposte posizioni dei partecipanti alla gara, giustificano il provvedimento di autotutela.
Applicando i criteri ermeneutici ora sintetizzati al caso in esame deve riconoscersi che il provvedimento emanato dall’Amministrazione nell'esercizio del potere di autotutela ai fini della rimozione degli ef-fetti di una procedura peraltro mai giunta allo stadio dell’aggiudi-cazione definitiva contiene, oltre ad una corretta individuazione dei vizi dell'atto, una enunciazione dell’interesse pubblico alla rimozione dello stesso.
Tale interesse è identificato in sostanza nella opportunità di non procedere all’affidamento in un contesto in cui le prescrizioni imposte dal bando ai concorrenti si sono ex post rivelate manchevoli e con-traddittorie rispetto al quadro normativo di riferimento e tali dunque da falsare il fisiologico e aperto confronto tra le offerte, con probabile insorgere di complesso contenzioso.
Passaggio tratto dalla decisione numero 785 del 7 novembre 2011 pronunciata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana
Trattasi, come si vede, di considerazioni ispirate a criteri di tu-tela dei principi - nazionali e comunitari - che presidiano lo svol-gimento delle gare d’appalto e che dunque non esibiscono alcuno di quei profili di illogicità o di travisamento che l’appellante deduce.
Il mezzo in rassegna va quindi respinto.
Conseguentemente, una volta acclarata la piena legittimità dell’operato dell’Amministrazione divengono improcedibili per difetto di interesse i motivi mediante i quali l’appellante torna a illustrare i vizi che affliggono il bando di gara.
Parimenti, una volta chiarita la legittimità della revoca, va re-spinta la domanda con la quale l’appellante chiede il risarcimento - a titolo di perduto utile e lucro cessante - dei danni patiti a seguito della mancata aggiudicazione dell’appalto.
Parimenti, una volta chiarita la legittimità della revoca, va re-spinta la domanda con la quale l’appellante chiede il risarcimento - a titolo di perduto utile e lucro cessante - dei danni patiti a seguito della mancata aggiudicazione dell’appalto.
Per quanto specificamente riguarda le spese di partecipazione, secondo l’indirizzo giurisprudenziale prevalente, in assenza di una specifica previsione di legge le spese sostenute per la partecipazione ad una gara pubblica non sono mai rimborsabili, a nulla rilevando se l'impresa che ne pretenda la restituzione sia risultata o meno aggiudi-cataria, trattandosi di un onere ordinariamente affrontato da ogni im-presa interessata a procacciarsi un affare e, quindi, a carico dei concor-renti in conseguenza della sola partecipazione a una procedura di evi-denza pubblica e del tutto indipendentemente dal relativo esito (V Sez. n. 808 del 2010).
Indipendentemente da ogni approfondimento sul punto, nel ca-so all’esame va peraltro rilevato che l’appellante non ha nemmeno quantificato gli esborsi compiuti al fine di partecipare alla selezione, di talchè per questa parte la domanda risarcitoria presenta evidenti profili di inammissibilità per genericità.
Come chiarito in giurisprudenza, infatti, il difetto di prova dei danni patiti non è superabile mediante il ricorso al rimedio della liqui-dazione equitativa del danno ex art. 1226 cod. civ. ove, come nel caso di specie, non sussista alcuna impossibilità o difficoltà di quantificare esattamente i pregiudizi subiti, ricadendo tutti gli elementi idonei a comprovare la consistenza degli stessi nella disponibilità della parte interessata.
Sulla base delle considerazioni che precedono l’appello va quindi nel suo complesso respinto
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