sabato 5 novembre 2011

Legittima revoca di aggiudicazione per infiltrazione mafiosa intervenuta prima della cessione del ramo di azienda

Per il Consiglio di Stato risulta legittima la revoca dell’aggiudicazione di un appalto per una situazione che vede  reale “dominus” della società aggiudicataria  un soggetto condannato ai sensi dell’art. 416 bis cod. pen. (associazione di tipo mafioso)., indipendentemente dalla dissociazione in rapporto all’organizzazione mafiosa.


Resta da definire – con riferimento al primo ordine di censure – se la revoca potesse risultare impedita dalla cessione del ramo di azienda, comprendente l’appalto in precedenza specificato, all’attuale appellante RICORRENTE Infrastrutture s.r.l., con regolare subentro di quest’ultima in assenza di osservazioni da parte del Comune, a norma dell’art. 35 della legge 11.2.1994, n. 109.

Il Collegio non ritiene che, nella situazione in esame, detto subentro possa considerarsi intervenuto.

Se da una parte, infatti, il divieto di cessione del contratto, nel settore dei pubblici appalti, risulta temperato nei casi di cessione di azienda, ovvero di trasformazione, fusione o scissione societaria, purché permangano i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti, al fine di non penalizzare i processi di ristrutturazione delle società, è comunque imposta la possibilità di verifica dei predetti requisiti da parte dell’Amministrazione: in tale ottica, come prescrive il citato art. 35, comma 1 della legge n. 109/1994, gli atti sopra indicati non producono effetti nei confronti delle Amministrazioni aggiudicatrici, fino a che non siano intervenute le comunicazioni, di cui all’art. 1 del D.P.C.M. n. 187/1991, circa il nuovo reale assetto societario.

Non può non discendere dalla normativa sopra ricordata la perdurante inefficacia dei medesimi atti in relazione al subentro in rapporti contrattuali, che alla data della cessione siano già stati revocati dall’Amministrazione, non solo non sussistendo in tale ipotesi l’esigenza di non penalizzare i processi di trasformazione societaria, ma potendo configurarsi la cessione come strumento elusivo della inidoneità alla stipula dell’originale soggetto aggiudicatario.
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A cura di Sonia Lazzini

Passaggio tratto dalla decisione numero 5809 del 31 ottobre 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

Nella situazione in esame, il Comune di Ercolano aveva richiesto alla Prefettura di Palermo l’informativa, di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998, nei confronti della società ALFA s.r.l., con sede a Palermo e da tale informativa risultava che il sig. C_ Ettore, coniuge dell’Amministratore unico di ALFA, sig.ra Emilia V_, era stato condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso ed altri reati, con sentenza n. 1069/2001, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Palermo il 27.9.2001, ai sensi dell’art. 444 c.p.p.. Con nota prefettizia del 31.8.2005 (n. 8744) veniva quindi trasmesso al Comune di Ercolano certificato di diniego ex art. 10 del D.P.R. n. 252/1998, confermato su istanza di riesame con provvedimento in data 3.11.2005 (n. 6617), con modifica della classificazione dell’informativa da c) ad a), nei confronti di “BETA s.r.l.”, per “sussistenza delle condizioni interdittive di cui alla legge n. 575/1965 a carico di C_ Ettore, nella qualità di dominus e procuratore della ALFA, oggi trasformatasi in BETA s.r.l.”.

Irrilevante, in tale situazione, sarebbe stata la cessione del ramo d’azienda all’attuale appellante, in quanto comunicata il 22.12.2005 e quindi successivamente alla revoca dell’aggiudicazione, disposta il 3.12.2005; anche l’inclusione del contratto di cui trattasi nella cessione, peraltro, risultava operata in data successiva alla predetta revoca (23.12.2005). Non vi sarebbero state, quindi, comunicazioni da rendere entro 60 giorni da parte della stazione appaltante, risultando riferita la comunicazione, di cui all’art. 35, comma 1, della legge n. 109/1994, ad un contratto con aggiudicazione, nella fattispecie, già revocata. Quanto all’asserita non attualità della condanna emessa a carico del sig. Ettore C_, infine, la stazione appaltante non poteva che ritenersi vincolata all’osservanza dell’art. 10, comma 7, lettera a) del D.P.R. n. 252/1998, indipendentemente dal successivo, rappresentato distacco del condannato rispetto all’organizzazione criminale di originaria appartenenza (restando sussistente, in ogni caso, il fatto oggettivo dell’intervenuta condanna, per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., senza che – sul piano che qui interessa – rilevi l’attenuante della dissociazione, di cui all’art. 8 del D.L. n. 152/1991, trattandosi di attenuante legata ad un contributo prettamente processuale dell’imputato, per vedere mitigata la pena comminabile, ma senza automatica cessazione o diminuzione della pericolosità sociale).

Premesso quanto sopra – e ritenute non sussistenti le ragioni per un ulteriore rinvio della decisione (essendo applicabile anche nel processo amministrativo l’art. 85 c.p.c., circa gli effetti della rinuncia al mandato difensivo), nonché in assenza di formali comunicazioni, in ordine ad eventi interruttivi del giudizio (cfr Cons. St., sez. VI, 30.3.2004, n. 1706) – il Collegio ritiene che l’appello non possa trovare accoglimento.

Si deve infatti in primo luogo escludere, secondo un ordine logico di trattazione delle questioni sottoposte a giudizio, che l’Amministrazione abbia erroneamente applicato, nel caso di specie, la normativa in materia di condizionamento delle imprese da parte della criminalità organizzata, con particolare riguardo all’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998., il cui comma 7, lettera a), rendeva la revoca dell’appalto, a suo tempo aggiudicato alla società ALFA s.r.l. (poi divenuta BETA s.r.l.), un atto dovuto (cfr. in tal senso Cons. St., sez. V, 2.3.2009, n. 1148). Quanto sopra in una situazione che vedeva reale “dominus” della società aggiudicataria – circostanza, questa, in fatto non contestata – un soggetto condannato ai sensi dell’art. 416 bis cod. pen. (associazione di tipo mafioso).

In un contesto normativo, che persegue esigenze di tutela dell’ordine pubblico, con anticipazione della soglia di difesa sociale nel contrasto con la criminalità organizzata, il secondo ordine di censure prospettato non può dunque che essere respinto, essendo in effetti sussistenti i presupposti per la revoca dell’aggiudicazione dell’appalto di cui trattasi alla società ALFA, indipendentemente dalla dissociazione poi espressa dal signor Ettore C_ in rapporto all’organizzazione mafiosa.

Resta da definire – con riferimento al primo ordine di censure – se la revoca potesse risultare impedita dalla cessione del ramo di azienda, comprendente l’appalto in precedenza specificato, all’attuale appellante RICORRENTE Infrastrutture s.r.l., con regolare subentro di quest’ultima in assenza di osservazioni da parte del Comune, a norma dell’art. 35 della legge 11.2.1994, n. 109.

Il Collegio non ritiene che, nella situazione in esame, detto subentro possa considerarsi intervenuto.

Se da una parte, infatti, il divieto di cessione del contratto, nel settore dei pubblici appalti, risulta temperato nei casi di cessione di azienda, ovvero di trasformazione, fusione o scissione societaria, purché permangano i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti, al fine di non penalizzare i processi di ristrutturazione delle società, è comunque imposta la possibilità di verifica dei predetti requisiti da parte dell’Amministrazione: in tale ottica, come prescrive il citato art. 35, comma 1 della legge n. 109/1994, gli atti sopra indicati non producono effetti nei confronti delle Amministrazioni aggiudicatrici, fino a che non siano intervenute le comunicazioni, di cui all’art. 1 del D.P.C.M. n. 187/1991, circa il nuovo reale assetto societario.

Non può non discendere dalla normativa sopra ricordata la perdurante inefficacia dei medesimi atti in relazione al subentro in rapporti contrattuali, che alla data della cessione siano già stati revocati dall’Amministrazione, non solo non sussistendo in tale ipotesi l’esigenza di non penalizzare i processi di trasformazione societaria, ma potendo configurarsi la cessione come strumento elusivo della inidoneità alla stipula dell’originale soggetto aggiudicatario.

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