giovedì 13 ottobre 2011

Un decreto penale di condanna per mancato versamento di ritenute sulle retribuzioni, comporta la risoluzione contrattuale (con escussione della cauzione provvisoria)

La stazione appaltante ha, invero, fatto corretta applicazione non solo dell’art 38 del d.lgs 163/2006, ma anche della clausola risolutiva espressa contemplata nel contratto di appalto intercorso con la società ricorrente.

Sul punto , si osserva che , la previsione , in un contratto di appalto di servizi, di una clausola risolutiva espressa destinata ad operare in caso di inesatta e o mendace autodichiarazione dell’appaltatore contiene a priori la valutazione circa la gravità dell’inadempimento posto in essere e giustifica il mero richiamo, da parte della stazione appaltante che intende avvalersene, alla verifica compiuta in ordine alla omissione addebitabile al ricorrente


la valutazione di tenuità della violazione ascritta al rappresentante legale della ricorrente non può essere condivisa.

Il mancato ripetuto versamento di ritenute operate sulle retribuzioni dei dipendenti costituisce violazione grave nei confronti della collettività perché lede il bene giuridico della sicurezza previdenziale del lavoratore stesso .

Di questa connotazione di particolare antigiuridicità è conscio il legislatore atteso che lo stesso articolo 38 del d.lgs 163/2006 commina la sanzione della esclusione dalla gara , alla lettera i ) proprio nei riguardi di coloro che “ hanno commesso violazioni gravi , definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali , secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti”

Passaggio tratto dalla sentenza numero 1724 del 5 ottobre 2011 pronunciata dal Tar Puglia, Lecce

La responsabilità del rappresentante della società ricorrente è stata accertata con decreto penale di condanna ; si tratta, com’è noto, di provvedimento giurisdizionale che, pur non avendo attitudine ad acquisire la medesima forza del giudicato , propria della sentenza di condanna, è , tuttavia, suscettibile di divenire irrevocabile a seguito di mancata opposizione nei termini.

Si tratta, peraltro, di provvedimento che la stessa norma di cui all’art 38 del codice appalti accomuna alla sentenza di condanna passata in giudicato ai fini della comminatoria di esclusione dalla gara.

Sotto tale profilo, contrariamente a quanto è stato sostenuto dalla giurisprudenza che la parte ricorrente ha citato a sostegno della tesi difensiva, si deve notare che la scelta compiuta dal legislatore di prevedere che anche la condanna riportata con decreto penale possa rilevare quale causa di esclusione dalla gara o di scioglimento del contratto stipulato finisce con l’esigere un quid pluris di lealtà nel dichiarante.

Si deve, cioè, ritenere che la valutazione compiuta dall’interessato in ordine alla gravità del reato per il quale è stata riportata la condanna debba orientarsi non tanto in base al parametro della mancata iscrizione del provvedimento nel certificato del casellario rilasciato ad istanza dell’interessato ( ex art.689 c.p.p.) atteso che si tratta di circostanza inidonea ad illustrare il livello di antigiuridicità dell’infrazione commessa, quanto , semmai, in relazione alla oggettività giuridica del reato nel suo manifestarsi ( ad. Es. il fatto che la violazione si sia protratta nel tempo dando luogo ad una ipotesi di reato continuato ex art.81 cpv. c.p.) e, dunque, alla percezione di una sua reale offensività con riguardo alla natura degli interessi lesi.

Né può giovare la circostanza che si sia proceduto al pagamento della cartella esattoriale notificata dall’Istituto previdenziale titolare del relativo credito perché si tratta di circostanza priva di peso ai fini del giudizio sulla responsabilità penale del rappresentante legale della ricorrente, il quale , per sua ammissione, non ha esercitato neanche la facoltà processuale di promuovere opposizione al decreto penale di condanna.

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