mercoledì 21 settembre 2011

l'impresa che può essere condizionata dalla malavita organizzata non può essere contraente con la pa

l'interdittiva prefettizia antimafia “tipica” costituisce una misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione.

Trattandosi di una misura a carattere preventivo, l’interdittiva comminata dal Prefetto prescinde dall'accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente.

Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 7260 del 1 ottobre 2010).

Passaggio tratto dalla decisone numero 5130 del 14 settembre 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato



Si è inoltre precisato che, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata (Consiglio di Stato, Sez. V n. 405 del 20 gennaio 2011). Non occorre quindi avere la certezza dell’ingerenza ma è sufficiente una qualificata probabilità che la stessa si determini (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 510 del 27 gennaio 2009).

Per quanto riguarda, in particolare, gli elementi di fatto sui quali deve fondarsi l’interdittiva, si è affermato che non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso e che la stessa può fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo (Consiglio di Stato Sez. VI n. 882 del 9 febbraio 2011).

Non possono tuttavia ritenersi sufficienti il solo sospetto o mere congetture prive di alcun riscontro fattuale. Occorre invece che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la pubblica amministrazione.

Si è poi aggiunto, in relazione alla questione (sollevata nel caso di specie) riguardante la rilevanza del rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata, che il mero rapporto di parentela, in assenza di ulteriori elementi, non è di per sé solo idoneo a dare conto del tentativo di infiltrazione in quanto non può ritenersi un vero e proprio automatismo tra un legame familiare, sia pure tra stretti congiunti, e il condizionamento dell’impresa.

Se è infatti vero, in base alle regole di comune esperienza, che il vincolo di sangue può esporre il soggetto all'influsso dell'organizzazione, se non addirittura imporre (in determinati contesti) un coinvolgimento nella stessa, tuttavia l'attendibilità dell'interferenza dipende anche da una serie di circostanze che qualificano il rapporto di parentela, quali, soprattutto, l'intensità del vincolo e il contesto in cui gli interessati operano (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 268 del 20 gennaio 2009).

Si è quindi ritenuto che l’eventuale attività pregiudizievole posta in essere da un genitore non può riverberarsi automaticamente sull’attività imprenditoriale di un figlio, perché altrimenti quest’ultimo sarebbe, senza sua colpa, nell’impossibilità di potere svolgere attività lecite costituzionalmente tutelate. L’applicazione automatica della misura interdittiva rappresenterebbe inoltre un irragionevole ostacolo al ripristino di un regime di vita lavorativa improntato al rispetto della legge nelle aree geografiche del Paese contraddistinte dalla forte presenza di organizzazioni criminali (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 5866 del 25 novembre 2009).

8.1.- Sulla base di tali considerazioni si deve quindi ritenere che, quando la misura interdittiva trova il suo presupposto nel rapporto di parentela dei soggetti che svolgono l’attività imprenditoriale con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata, deve essere accertata anche l’eventuale esistenza di ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre effettivi collegamenti tra i soggetti sul cui conto l’autorità prefettizia ha individuato l’esistenza di pregiudizi e l’impresa esercitata da loro congiunti.

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