domenica 11 settembre 2011

La rinnovazione della procedura è doverosa sulla base di principi di imparzialità e buon andamento

Giova al riguardo rilevare che il primo comma dell’art. 21 quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, al primo periodo, stabilisce che per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge, aggiungendo al secondo periodo che la revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti

La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che, secondo la predetta norma, tre sono i presupposti che in via alternativa legittimano l'adozione di un provvedimento di revoca di un provvedimento amministrativo ad efficacia durevole da parte dell'Autorità emanante ovvero da altro organo previsto dalla legge, cioè sopravvenuti motivi di pubblico interesse, mutamento della situazione di fatto e nuova valutazione dell'interesse pubblico originario (C.d.S., sez. V, 18 gennaio 2011 , n. 283) e che deve essere considerato legittimo il provvedimento di revoca di una gara di appalto, disposta in una fase non ancora definita della procedura concorsuale, ancora prima del consolidarsi delle posizioni delle parti e quando il contratto non è stato ancora concluso, motivato anche con riferimento al risparmio economico che deriverebbe dalla revoca stessa, ciò in quanto la ricordata disposizione ammette un ripensamento da parte della amministrazione a seguito di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (C.d.S., sez. III, 13 aprile 2011 , n. 2291).

Sempre in tema di procedure ad evidenza pubblica è stato evidenziato che fino a quando non sia intervenuta l’aggiudicazione, rientra nel potere discrezionale dell’amministrazione disporre la revoca del bando di gara e degli atti successivi, laddove sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara, puntualizzando che le ragioni tecniche nell’organizzazione del servizio attinenti le modalità di presenziamento, il riassetto societario, la volontà di provvedere in autoproduzione e non mediante esternalizzazione, la necessità di consentire attraverso tale scelta organizzativa un maggior assorbimento di personale in un quadro di attività concertate in sede sindacale mirante alla valorizzazione del personale interno, sono tutti profili attinenti al merito dell’azione amministrativa e di conseguenza insindacabili da parte del giudice, in assenza di palesi e manifesti indici di irragionevolezza (C.d.S., sez. V, 9 aprile 2010 , n. 1997).

Passaggio tratto dalla decisione 5050 numero dell’ 8 settembre 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato



Facendo applicazione di tali condivisibili principi alla fattispecie in esame, l’operato dell’amministrazione sfugge alle censure sollevate, come del resto convincentemente affermato dai primi giudici.

Non vi è dubbio, infatti, che la scelta di procedere alla revoca dell’appalto originariamente indetto con la determinazione dirigenziale n. 1927 del 20 ottobre 2009 è stata fondata sulla “…necessità di ampliare il raggio di intervento della manutenzione e gestione di vaste aree di verde pubblico che risultano trascurate dal precedente bando” e dall’esigenza e urgenza “…di apportare una modifica del modello organizzativo del personale dedito alla gestione ed alla manutenzione del verde”, essendosi constatato che “…il numero degli operatori dediti al verde, personale comunale, è diminuito in misura considerevole…”, tant’è che “…i giardinieri che si occupano del verde sono 316 con circa 40.000.000 di mq. di verde di cui 11.000.000 in economia” e che “ seguito di un’analisi in termini di costi e di miglioramento del servizio proposto si individuano ulteriori 11.000.000 mq di verde da gestire e che pertanto risulta necessario, visto il numero ridotto di giardinieri a disposizione, procedere all’esternalizzazione delle aree da gestire in economia, considerato che il numero degli addetti non riesce a soddisfare in maniera efficiente la manutenzione del verde”: ciò tenuto conto anche dell’obsolescenza e dell’insufficienza dei mezzi in dotazione a disposizione del già insufficiente numero di giardinieri”; nella ricordata determinazione di revoca si legge ancora che “…il progetto predisposto dal Servizio Giardini, rielabora la suddivisione delle aree in considerazione che i circa 11.000.000 mq di verde da mantenere risultano aree di verde limitrofe a quelle inserite nel bando e quindi si rappresenta la necessità di razionalizzazione e di economizzare attraverso la predisposizione di un nuovo bando di manutenzione del verde, che includa quelle che purtroppo non possono essere gestite dagli attuali operatori del Servizio Giardini”.

L’ampia e puntuale ricordata motivazione della determinazione dirigenziale n. 684 del 25 marzo 2010 manifesta che essa si fonda effettivamente, diversamente da quanto sostenuto dalle appellanti, su di una nuova valutazione dell’interesse pubblico (sottostante e comune anche all’originaria gara), essendo stata operata una più approfondita analisi di tutti gli aspetti organizzativi, gestionali e funzionali del servizio di manutenzione del verde pubblico ed individuando una soluzione più adeguata, sotto il profilo quantitativo e qualitativo di quella originariamente prescelta e posta a fondamento della gara di appalto poi revocata.

Sebbene possa anche stigmatizzarsi l’atteggiamento originariamente superficiale e poco accorto dell’amministrazione, non può tuttavia negarsi il potere e quindi la legittimità della rinnovata valutazione dell’interesse pubblico, rinnovazione da considerarsi addirittura doverosa in ragione dei fondamentali principi di imparzialità e buon andamento cui deve improntarsi l’azione amministrativa, secondo il dettato dell’articolo 97 della Costituzione, per il perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia, adeguatezza ed economicità.

Peraltro sul punto, come già si è avuto modo di accennare, deve ricordarsi che le scelte con le quali l’amministrazione rivede le proprie originarie determinazioni impingono nel merito dell’azione amministrativo e come tali si sottraggono al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate dai macroscopici vizi di irragionevolezza, irrazionalità, illogicità o travisamento di fatti, che non si rinvengono nel caso di specie, non potendo al riguardo considerarsi rilevanti e decisive le valutazioni meramente soggettive delle appellanti, che finiscono per esaurirsi in un mero (comprensibile dal punto di visto fattuale, ma inammissibile sotto il profilo giuridico) dissenso all’operato della pubblica amministrazione.

Né può condividersi la tesi, in realtà meramente formalistica, secondo cui nell’impugnata determinazione dirigenziale di revoca dell’originaria gara di appalto l’amministrazione abbia mai fatto esplicito riferimento ad una nuova valutazione dell’interesse pubblico, essendosi piuttosto limitata ad esporre genericamente le ragioni, assolutamente non condivisibili e sostanzialmente immotivate, del provvedimento di revoca: la rinnovata valutazione dell’interesse pubblico (che originariamente si intendeva tutelare con la gara di appalto e che successivamente invece ha giustificato un diverso modello organizzativo, gestionale e funzionale, solo all’esito del quale valutare, in che termini ed in che misura procedere all’affidamento all’esterno del servizio di manutenzione delle aree verdi) emerge plasticamente ed effettivamente non solo e non tanto da mere intenzioni o da generiche considerazioni politiche programmatiche, ma da puntuali riscontri obiettivi sullo stato e sulla consistenza (di uomini e mezzi) degli uffici comunali addetti alla manutenzione del verde pubblico e sulla necessità di rivedere le precedenti modalità di gestione del servizio stesso, elementi tutti che (neppure contestati dalle appellanti) non costituiscono né sopravvenuti motivi di pubblico interesse (rispetto a quelli posti a base dell’originaria indizione della gara di appalto), né tanto meno una mutazione dell’originaria situazione di fatto.


Ciò senza contare che, proprio sotto il profilo delle garanzie procedimentali (tema che, seppure non espressamente introdotto nella causa, sembra in qualche modo affacciarsi proprio attraverso il richiamo alla omessa valutazione dell’interesse pubblico e degli interessi contrapposti nella fattispecie in questione), la Sezione non ritiene di doversi discostare dai consolidati condivisibili principi giurisprudenziali, secondo cui anche il sistema di democraticità delle decisioni amministrative deve essere presidiato nella sostanza e non nella mera forma (C.d.S., V, 18/11/2002 n. 6389 ,VI, 24 ottobre 2000, n. 5693; IV, 22 giugno 2000, n. 3556; IV, 15 marzo 2000, n. 1398), per cui le norme in materia di partecipazione non devono essere applicate meccanicamente e non devono essere invocate a fini meramente strumentali ( Cfr. Cons. St. , sez. IV, 22 giugno 2004 n. 4445): nel caso di specie, per contro, ricordata la pacifica natura discrezionale delle scelte effettuate dall’amministrazione comunale, le appellanti si sono limitate ad una loro mera contestazione, senza riuscire a fornire elementi idonei a provare i pur eccepiti vizi di travisamento di fatto o a far dubitare della loro ragionevolezza, logicità o arbitrarietà, che sole avrebbero consentito l’esercizio del sindacato di legittimità.

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