domenica 24 luglio 2011

Respinto il risarcimento per equivalente se non viene richiesto anche quello in forma specifica_ Il principio di auto-responsabilità cristallizzato dall'art. 1227, comma 2, c.c., implica la non risarcibilità del danno evitabile

la ricorrente si è limitata a chiedere la condanna dell’amministrazione comunale al risarcimento dei danni asseritamente sofferti per la perdita della chance di aggiudicarsi la nuova procedura negoziata e per le spese inutilmente sostenute nel precedente doppio grado di giudizio (relativo alla prima gara), invocando la liquidazione di detti danni per equivalente e affermando espressamente di non esse[re] più interessata, in oggi, all’aggiudicazione”.


la scelta di non avvalersi della forma di tutela specifica e non (comparativamente) complessa che, grazie anche alle misure cautelari previste dall'ordinamento processuale, avrebbe plausibilmente (ossia più probabilmente che non) evitato, in tutto o in parte il danno, integra violazione dell'obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l'effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile

detta omissione, apprezzata congiuntamente alla successiva proposizione di una domanda tesa al risarcimento di un danno che la tempestiva azione di annullamento avrebbe scongiurato, rende configurabile un comportamento complessivo di tipo opportunistico che viola il canone della buona fede e, quindi, in forza del principio di auto-responsabilità cristallizzato dall'art. 1227, comma 2, c.c., implica la non risarcibilità del danno evitabile

Pertanto, ove anche le censure di illegittimità degli atti di gara formulate dalla parte ricorrente fossero state fondate (e non lo sono), la domanda risarcitoria qui in esame avrebbe dovuto essere ugualmente respinta perché ispirata da un comportamento di tipo rinunciatario ed opportunistico dell’interessata che, anziché tendere, come pure avrebbe potuto, a conseguire l’effettivo bene della vita oggetto di tutela (l’aggiudicazione dell’appalto, nel caso in esame) ha inteso trasformare le dedotte illegittimità in una mera occasione di lucro

A cura di Sonia Lazzini

Tratto dalla sentenza numero 801 del 20 luglio 2011 pronunciata dal Tar Piemonte, Torino

A tali assorbenti considerazioni, sufficienti a giustificare il rigetto del ricorso, il collegio ritiene opportuno aggiungerne un’altra in ordine al carattere “opportunistico” dell’azione risarcitoria proposta (secondo la definizione data da Cons. Stato Ad Plen. 23 marzo 2011 n.3): carattere che avrebbe giustificato il rigetto della domanda quand’anche la stessa, per mera ipotesi, fosse stata fondata.

Va osservato che la ricorrente ha proposto il ricorso qui in esame in tempo utile per ottenere la sospensione dell’aggiudicazione definitiva e, nel merito, l’annullamento dell’intera procedura di gara (nel caso, beninteso, che l’accertamento dell’asserita illegittimità della nuova procedura negoziata avesse dato esito positivo). L’annullamento della procedura impugnata avrebbe imposto all’amministrazione comunale di rinnovare la procedura di gara invitandovi (anche) la ricorrente, la quale, in tal modo, avrebbe soddisfatto in forma specifica l’interesse a giocarsi in sede concorsuale la chance di aggiudicazione dell’appalto in questione. E invece, pur essendo nei termini per conseguire tale risultato, la ricorrente si è limitata a chiedere la condanna dell’amministrazione comunale al risarcimento dei danni asseritamente sofferti per la perdita della chance di aggiudicarsi la nuova procedura negoziata e per le spese inutilmente sostenute nel precedente doppio grado di giudizio (relativo alla prima gara), invocando la liquidazione di detti danni per equivalente e affermando espressamente di non esse[re] più interessata, in oggi, all’aggiudicazione”. La stessa istanza di sospensione, proposta contestualmente alla domanda risarcitoria, è stata successivamente rinunciata dall’interessata senza una giustificazione comprensibile che non fosse, appunto, quella di non avere più interesse (non è dato comprendere perché) a partecipare ad una nuova gara e a conseguire l’aggiudicazione dell’appalto.

Ciò posto, il collegio non può fare a meno di richiamare i principi affermati dalla citata decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3/2011 secondo cui, la scelta di non avvalersi della forma di tutela specifica e non (comparativamente) complessa che, grazie anche alle misure cautelari previste dall'ordinamento processuale, avrebbe plausibilmente (ossia più probabilmente che non) evitato, in tutto o in parte il danno, integra violazione dell'obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l'effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile; detta omissione, apprezzata congiuntamente alla successiva proposizione di una domanda tesa al risarcimento di un danno che la tempestiva azione di annullamento avrebbe scongiurato, rende configurabile un comportamento complessivo di tipo opportunistico che viola il canone della buona fede e, quindi, in forza del principio di auto-responsabilità cristallizzato dall'art. 1227, comma 2, c.c., implica la non risarcibilità del danno evitabile.

Pertanto, ove anche le censure di illegittimità degli atti di gara formulate dalla parte ricorrente fossero state fondate (e non lo sono), la domanda risarcitoria qui in esame avrebbe dovuto essere ugualmente respinta perché ispirata da un comportamento di tipo rinunciatario ed opportunistico dell’interessata che, anziché tendere, come pure avrebbe potuto, a conseguire l’effettivo bene della vita oggetto di tutela (l’aggiudicazione dell’appalto, nel caso in esame) ha inteso trasformare le dedotte illegittimità in una mera occasione di lucro.


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