venerdì 8 luglio 2011

il soggetto che ha svolto sine titulo un appalto pubblico potrebbe essere chiamato e restituire l’utile di impresa, o all’amministrazione ovvero direttamente alla controparte

anche in caso di integrale esecuzione del contratto, l’aggiudicataria di una gara di appalto conserva l’interesse a dimostrare la legittimità dell’aggiudicazione, in base alla quale il contratto è stato stipulato


L’eventuale annullamento o accertamento di illegittimità dell’aggiudicazione è potenzialmente idoneo a produrre effetti caducanti sul contratto stipulato, anche ex tunc (come stabilito dagli artt. 121 e 122 c.p.a.) o a rendere comunque sine titulo il rapporto intercorso tra stazione appaltante e impresa.

DI Sonia Lazzini


Tratto dalla decisione numero dell’ 8 luglio 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

A dimostrazione dell’interesse dell’aggiudicataria a difendere la legittimità dell’aggiudicazione in suo favore, il nuovo codice del processo amministrativo ha stabilito che l’eventuale beneficiario dell’atto illegittimo sia parte necessaria del giudizio anche di solo risarcimento (art. 41, comma 2, c.p.a.: “Qualora sia proposta azione di condanna, anche in via autonoma, il ricorso è notificato altresì agli eventuali beneficiari dell’atto illegittimo, ai sensi dell’articolo 102 del codice di procedura civile; altrimenti il giudice provvede ai sensi dell’articolo 49”).


L’introduzione di tale previsione è stata giustificata con l’esigenza di provocare la formazione del giudicato sull’illegittimità dell’atto anche nei confronti dei suoi eventuali beneficiari, potendo sorgere obblighi restitutori dallo svolgimento di un rapporto reso senza titolo a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione.

La possibilità di obblighi restitutori si evince anche da un considerando della c.d. direttiva ricorsi (direttiva 2007/66/CE dell’11 dicembre 2007, del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE del Consiglio, per quanto riguarda il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia d’aggiudicazione degli appalti pubblici).

Nel considerando 21 della direttiva si afferma, in relazione alle conseguenze che derivano dalla privazione di effetti di un contratto, che “Il diritto nazionale dovrà determinare inoltre le conseguenze riguardanti il possibile recupero delle somme eventualmente versate nonché ogni altra forma di possibile restituzione, compresa la restituzione in valore qualora la restituzione in natura non sia possibile”.

Con tale periodo si ipotizza che la declaratoria di inefficacia del contratto con effetti ex tunc possa comportare il recupero delle somme versate all’aggiudicatario “illegittimo” e ciò può avvenire nei limiti dell’arricchimento.

La questione era stata in precedenza solo “sfiorata” dalla giurisprudenza, che aveva invitato ad esplorare il ruolo da riconoscersi alle norme in tema di restituzione dell’indebito, o di arricchimento senza causa (l’indebito sarebbe costituito dall’utile di impresa, che potrebbe così essere in tutto o in parte restituito dalla controparte privata che ha svolto il rapporto sine titulo sulla base di un contratto viziato e successivamente dichiarato inefficace dal giudice; Cons. giust. Sic., 21 luglio 2008 n. 600).

Del resto questo Consiglio di Stato, proprio per giustificare l’interesse di un’impresa alla decisione, non ha escluso che il soggetto che ha svolto sine titulo un appalto pubblico possa essere chiamato a restituire l’utile di impresa, o all’amministrazione ovvero direttamente alla controparte che, in esito al giudizio definitivo, sia risultata legittima aggiudicataria, avente come tale titolo a svolgere il lavoro o il servizio (Cons. Stato, sez. VI, 15 aprile 2008 n. 1750).

Tali considerazioni conducono a ritenere, che a differenza di quanto sostenuto dall’appellante incidentale, permanga l’interesse alla decisione del ricorso in appello proposto dall’aggiudicataria della gara.

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