Tratto dalla decisione numero 4052 del 7 luglio 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato
Con il terzo motivo di gravame la Azienda appellante principale ha dedotto, in ordine alla condanna al risarcimento danni per perdita di “chance”, “error in iudicando” per violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 del c.c., perché sarebbe stato onere del ricorrente di provare, in ossequio al principio dispositivo, la sussistenza dei presupposti della responsabilità extra contrattuale in capo alla pubblica Amministrazione (cioè sia il fatto illecito e sia l’elemento psicologico); inoltre ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 245- quinquies e degli artt. 345 della l. n. 2248/1865 , all. F), e 35, comma 2, del d. lgs. n. 80/1998, perché il Giudice di prime cure avrebbe ignorato l’insussistenza del presupposto dell’aver titolo all’aggiudicazione in capo al ricorrente
Osserva la Sezione che, di norma, al fine di ottenere il risarcimento per perdita di “chance” è necessario che il danneggiato dimostri, anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate, la ragionevole probabilità della verificazione futura del danno e provi, conseguentemente, la realizzazione in concreto almeno di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita, della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta.
Tanto è stato tenuto ben presente dal Giudice di prime cure, che, tuttavia, nel particolare caso che occupa, per le modalità e la tempistica con cui l’illegittimità della "lex specialis" si è manifestata, ha ritenuto che fosse ascrivibile a colpa dell’amministrazione, sub specie di negligenza ed imprudenza, l’aver proseguito nella procedura di gara pur essendo pacificamente in tempo per poter espungere le clausole illegittime e integrare la disciplina di gara con previsioni rispettose delle regole di concorrenza, nelle forme di legge mediante l’adozione di un atto di ritiro.
Ha inoltre ritenuta indubbia la sussistenza del nesso di causalità tra l’evento dannoso, consistente nella perdita della possibilità di aggiudicarsi l’appalto all’esito di una procedura “secundum legem”, e il comportamento colposo della stazione appaltante.
Ha quindi, stante la macroscopica illegittimità degli atti impugnati e in considerazione della pervicacia con cui l’Amministrazione aveva ignorato la possibilità di ricondurre la gara nella legalità, ritenuto che, alla mancata allegazione da parte della ricorrente di circostanze certe sulla base delle quali effettuare il giudizio prognostico sotteso alla risarcibilità della "chance" perduta, potesse ovviarsi con lo strumento della condanna al risarcimento del danno ex art. 35 comma 2, del d. lgs. 31 marzo 1998 n. 80, modificato dalla l. 21 luglio 2000 n. 205, che è applicabile ove la quantificazione del danno necessiti di una ulteriore attività collaborativa dell'Amministrazione, prevedendo che in caso di mancato raggiungimento dell’accordo le parti potranno rivolgersi nuovamente al Giudice per la determinazione delle somme dovute nelle forme del giudizio di ottemperanza.
Considerato che con l’atto di appello non è stata contestata la possibilità per la ricorrente principale di primo grado di conseguire l’aggiudicazione, né la sussistenza della colpa e del danno, ma solo la mancata prova, ritiene la Sezione che la previsione contenuta in sentenza, all’atto della fissazione dei criteri per la quantificazione del danno da parte dell’Amministrazione (tenendo conto della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito dall'esecuzione del contratto, ove fosse risultata aggiudicataria dell'appalto, desumibile principalmente dall'offerta economica presentata in sede di gara, considerando non solo i dati economici e contabili dell'offerta ma anche altri elementi, quali il danno all'immagine aziendale, la perdita della possibilità di utilizzare l'aggiudicazione quale titolo ulteriore e referenza specifica, considerati nel loro insieme, con un ragionevole coefficiente di riduzione in relazione al numero di partecipanti alla gara) possa ritenersi (si ripete: nel particolare caso di specie) condivisibile pur in assenza di prova del danno subito da parte di essa ricorrente, essendo la soluzione equiparabile alla liquidabilità in via equitativa, possibile in assenza di prova del preciso ammontare del danno; ciò considerato anche che in caso di mancato raggiungimento dell’accordo la quantificazione del danno de quo è ancora “sub iudice”.
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