venerdì 24 maggio 2013

no alla condanna a titolo di danni punitivi _nemmeno se limitata ai casi di dolo o colpa grave

PER IL COLLEGIO LA TESI CHE RICONDUCE L’ARTICOLO 114, COMMA 4, LETT. E) C.P.A. ALLA CATEGORIA DEI DANNI PUNITIVI NON CONVINCE: È DUBBIO CHE SIFFATTA TIPOLOGIA DI DANNI POSSA TROVARE INGRESSO NEL NOSTRO ORDINAMENTO
 ANCHE NEGLI ORDINAMENTI DI STAMPO ANGLOSASSONE, LA CONDANNA A TITOLO DI DANNI PUNITIVI È LIMITATA AI CASI DI DOLO O COLPA GRAVE, LADDOVE LA NORMA IN QUESTIONE NULLA PREVEDE AL RIGUARDO

<< Art. 114. Procedimento
1. L'azione si propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta; l'azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza.
2. Unitamente al ricorso è depositato in copia autentica il provvedimento di cui si chiede l'ottemperanza, con l'eventuale prova del suo passaggio in giudicato.
(comma così sostituito dall'art. 1, comma 1, d.lgs. n. 195 del 2011)
3. Il giudice decide con sentenza in forma semplificata.
4. Il giudice, in caso di accoglimento del ricorso:
    a) ordina l'ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l'emanazione dello stesso in luogo dell'amministrazione;
    b) dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato;
    c) nel caso di ottemperanza di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti, determina le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione e provvede di conseguenza, tenendo conto degli effetti che ne derivano;
    d) nomina, ove occorra, un commissario ad acta;
    e) salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo.>>
Venendo al merito dell’appello, recente dottrina ha evidenziato la necessità di rivisitare i tradizionali insegnamenti perché nel nostro ordinamento esistono già delle previsioni normative che prevedono la condanna al pagamento di una somma di denaro senza collegarla all’accertamento di un danno effettivamente subito: l’articolo 125 d. lgs. 10 febbraio 2005 n. 30, oltre al pregiudizio subito dal danneggiato, fa riferimento ai “benefici realizzati dall'autore della violazione” e, sotto altro aspetto, l’articolo 158 l. 22 aprile 1941 n. 633 impone di tener conto degli utili realizzati in violazione del diritto. Tali previsioni, anche in una prospettiva di analisi economica del diritto, potrebbero generare benefici effetti sul sistema complessivamente considerato eliminando (o fortemente riducendo) la convenienza per il danneggiante a tenere certe condotte: è stato dimostrato, infatti, che il danneggiante a volte assume scientemente la decisione di tenere determinate condotte illecite e dannose perché, in considerazione degli alti costi dei processi e di una certa difficoltà per i soggetti danneggiati ad instaurare i giudizi, è per il danneggiante più conveniente risarcire chi intraprende il giudizio piuttosto che rispettare (nei confronti di tutti) la regola imposta dall’ordinamento.
Con specifico riferimento poi alla disposizione contenuta nell’articolo 114, comma 4, lett. e) c.p.a., va rilevato che la dottrina discute sulla natura della norma invocata dal ricorrente. Per alcuni autori, infatti, si tratterebbe – così come nel caso dell’articolo 614 bis, comma 1, c.p.c. («Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento») – di una forma di risarcimento forfettario e anticipato del danno da quantificare sempre con riferimento all’accertamento di un effettivo pregiudizio subito dal danneggiante. Per altri, invece, la disposizione in questione dovrebbe essere più correttamente ascritta alla categoria dei danni punitivi con la conseguente libertà del giudice di stabilire la somma da pagare senza essere vincolato dal danno subito e subendo.
Per la giurisprudenza si è innanzi a «una misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario, modellata sulla falsariga dell'istituto francese dell'astreinte, che mira a vincere la resistenza del debitore, inducendolo ad adempiere all'obbligazione sancita a sua carico dall'ordine del giudice» (Cons. St., VI, 6 agosto 2012 n. 4523; Cons. St., V, 11 giugno 2012 n. 3397).
Per il Collegio la tesi che riconduce l’articolo 114, comma 4, lett. e) c.p.a. alla categoria dei danni punitivi non convince sia perché, per le ragioni prima esposte, è dubbio che siffatta tipologia di danni possa trovare ingresso nel nostro ordinamento sia perché, anche negli ordinamenti di stampo anglosassone, la condanna a titolo di danni punitivi è limitata ai casi di dolo o colpa grave, laddove la norma in questione nulla prevede al riguardo.
Per il Consiglio, invece, la previsione in questione si inquadra tra le sanzioni civili indirette (anche perché in tema di esecuzione di giudicato è pacifico che la posizione è di diritto soggettivo) e conseguentemente permette (ed impone) al giudice di riferirsi nella sua determinazione anche alla posizione vantata dal ricorrente.

a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione  numero 424 del 30 aprile 2013   pronunciata dalla Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana

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