giovedì 7 marzo 2013

singoli comportamenti non possono essere qualificati come mobbing, per pronuncia risarcitoria

il comportamento datoriale può considerarsi mobbizzante ove lo stesso, anche se in astratto lecito, si riveli univocamente sorretto da scopi emulativi e cioè dall'unica (illecita) finalità di condurre alla progressiva emarginazione della vittima dall'ambiente lavorativo


secondo la concorde giurisprudenza civile e amministrativa, in assenza di una definizione normativa, per mobbing verticale nello svolgimento del rapporto di lavoro subordinato deve intendersi una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti di un lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti in-tenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all'ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del lavoratore stesso, tale che ne consegua un effetto lesivo della sua salute psicofisica.

Pertanto, ai fini della configurabilità di una siffatta condotta lesiva sono rilevanti: a) la molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio; b) l'evento lesivo della salute psicofisica del dipendente; il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio. (cfr. ad es. Cass. sez. lavoro n. 3785 del 2009 e VI sez. n. 856 del 2012).
Conseguentemente l’accertamento della sussistenza del c.d. danno da mobbing - appunto derivante da una condotta del datore di lavoro sistematica e protratta nel tempo, connotata dal carattere della persecuzione e finalizzata all'emarginazione del lavoratore in modo da concretare una lesione della sua integrità psicofisica e della sua personalità - comporta una valutazione complessiva degli episodi lamentati dall'interessato, i quali devono essere considerati in modo unitario, tenuto conto da un lato dell'idoneità offensiva della condotta datoriale, come desumibile dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione e, dall'altro, della connotazione univocamente emulativa e pretestuosa della richiamata condotta. (cfr. VI sez. n. 4738 del 2008).
I criteri interpretativi ora enunciati comportano in sostanza che la ricorrenza di un'ipotesi di condotta mobbizzante deve essere esclusa quante volte la valutazione complessiva dell'insieme di circostanze addotte ed accertate nella loro materialità, pur se idonea a palesare singulatim elementi ed episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo dal complesso delle condotte datoriali poste in essere sul luogo di lavoro.
Il che, come ben posto in luce dal T.A.R., è quanto è dato registrare nella vicenda all’esame.
In essa infatti emergono senz’altro a giudizio del Collegio incertezze operative poste in essere dall’Amministrazione (non soltanto a livello territoriale) nonchè una persistente marcata lacunosità dei comportamenti gestionali tenuti nel tempo dai responsabili del commissariato succedutisi in carica.
In definitiva nella vicenda vengono in rilievo a più riprese scelte espressive di adesione a canoni organizzativo/gestionali forieri di sicure disfunzioni e in definitiva non abbastanza attente a quelle fondamentali esigenze di efficienza operativa che costantemente contraddistinguono l’operato delle strutture della Polizia di Stato.
E tuttavia la non adeguata gestione di una pur complessa situazione ambientale da parte delle Autorità locali di Polizia nonchè da parte delle strutture ministeriali centrali non trasmoda mai – alla luce di quanto è dato inferire dagli episodi richiamati dal ricorrente – in un disegno unitario, premeditato o almeno genericamente volontario, volto alla emarginazione o discriminazione dell’odierno appellante.
a cura di Sonia Lazzini

decisione  numero 253  del 20 febbraio 2013 pronunciata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana

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