l' art. 2087, cod civ obbliga il datore di lavoro a tutelare l’integrità psico-fisica del dipendente
la semplice esistenza del menzionato dovere del datore non può risultare sempre e comunque sufficiente a sostenere la domanda risarcitoria ove il danno da cui di chiede ristoro non risulti diretta e provata conseguenza di una condotta del datore di lavoro, tenuta in violazione dei propri doveri
il nesso eziologico oggettivo, per dare luogo a conseguenze ristoratrici, deve essere presente sia nella causa di servizio che nel meccanismo dell’art. 2043 cod.civ.; ma il risarcimento costituisce una forma di tutela autonoma offerta dall’ordinamento , basandosi non semplicemente sul rapporto oggettivamente accertabile tra causa (o concausa) ed effetto patologico, bensì sulla dimostrazione di una specifica e diretta relazione tra responsabilità organizzativa del servizio da parte del soggetto datore di lavoro e l’ evento dannoso insorto a carico del dipendente
passaggio tratto dalla decisione numero 641 del 4 febbraio 2013 pronunciata dal Consiglio di Stato
la sfera dei doveri del datore di lavoro, la cui violazione determina la responsabilità ex art. 2087, cod civ. è stata dalla giurisprudenza individuata in forma alquanto ampia (e che appare più estesa della giurisprudenza citata dall’appellante (Cass.,s.l.,nn. 12467/2003 e 14946/2009)) , poiché detta norma ha funzione di “chiusura del sistema infortunistico”, obbligando il lavoratore a tutelare l’integrità psico-fisica del dipendente, imponendogli l’adozione di tutte le misure atte allo scopo (Cons. di Stato, sez.VI, n.365/2011).
Ma proprio in ragione di tali principi, elaborati dalla giurisprudenza con specifico riferimento al differente campo delle prestazioni specifiche dovute in caso di eventi lesivi correlati al servizio, la semplice esistenza del menzionato dovere del datore non può risultare sempre e comunque sufficiente a sostenere la domanda risarcitoria ove il danno da cui di chiede ristoro non risulti diretta e provata conseguenza di una condotta del datore di lavoro, tenuta in violazione dei propri doveri.
A tale dimostrazione, dunque, non può condurre un giudizio medico espresso in sede di riconoscimento da parte della CMO nel senso che le patologie insorte a carico del lavoratore siano dipendenti da causa di servizio , poiché tale presenza non implica necessariamente che tutti eventi gli dannosi siano derivati da condizioni di insicurezza dell’ambiente di lavoro. Questo profilo, sviluppato da ulteriore argomentazione svolta appellante, altro non evidenzia la differenza esistente tra la causa di servizio, che avendo natura oggettiva e medico legale determina una provvidenza quale l’equo indennizzo, e l’ istituto giuridico del tutto distinto dal risarcimento del danno, che si fonda specificamente sulla violazione di singoli obblighi del soggetto datore di lavoro di assicurare condizioni di sicurezza. In sostanza il nesso eziologico oggettivo, per dare luogo a conseguenze ristoratrici, deve essere presente sia nella causa di servizio che nel meccanismo dell’art. 2043 cod.civ.; ma il risarcimento costituisce una forma di tutela autonoma offerta dall’ordinamento , basandosi non semplicemente sul rapporto oggettivamente accertabile tra causa (o concausa) ed effetto patologico, bensì sulla dimostrazione di una specifica e diretta relazione tra responsabilità organizzativa del servizio da parte del soggetto datore di lavoro e l’ evento dannoso insorto a carico del dipendente . Va anche precisato (analogamente a quanto affermato in materia di azione risarcitoria del lavoratore infortunato (cfr. Cons. di Stato, sez.VI, n.365/2011)) che il riconoscimento della causa di servizio e del conseguente equo indennizzo tendono già a reintegrare il danno costituito dalla diminuzione della capacità lavorativa , sicchè i residui profili differenziali (danno biologico e non patrimoniale) non possono che soggiacere agli indicati oneri probatori di una specifica responsabilità organizzativa del soggetto datore di lavoro.
Pertanto, al di fuori di ogni questione sulla parziale cumulabilità tra causa di servizio e risarcimento (aspetto non sollevato nella controversia in esame), il riconoscimento della prima non può costituire motivo per affermare, per totale sovrapposizione, la spettanza giuridica del secondo.
Quanto sopra permette dunque di concludere per l’erroneità della sentenza gravata ove ha accolto la richiesta di riconoscimento di danno biologico permanente in misura comprensiva delle componenti non patrimoniali diverse dal biologico (danno alla vita di relazione, e danno morale quale sofferenza soggettiva).
a cura di Sonia Lazzini
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