Esclusa la violazione dell’art. 11 co. 10 ter del Codice dei contratti, resta da accertare se, alla stregua dell’art. 122 c.p.a., si imponga comunque, per altra via, l’inefficacia del contratto.
La risposta, valutati comparativamente tutti gli elementi della fattispecie in esame, deve essere negativa in considerazione dell’avanzato stato di esecuzione del contratto, che avendo durata annuale volge oramai al termine, e che rende prevalente, anche a beneficio degli utenti del servizio, l’interesse alla sua conservazione.
Ne consegue che la domanda di inefficacia non può essere accolta, il che ai sensi dell’art. 124 c.p.a. preclude la tutela in forma specifica.
Resta la tutela per equivalente, che il Consorzio appellante ha invocato in via subordinata nell’atto di appello (v. a p. 42-43), e che aveva già richiesto in primo grado con i motivi aggiunti notificati il 29.11.2011 (v. a p. 17).
La domanda è fondata, sul rilievo dell’illegittimità dell’ammissione del RTI Controinteressata e della aggiudicazione della gara in suo favore e, una volta respinto il ricorso incidentale di Controinteressata, sul presupposto che l’esclusione di tale concorrente avrebbe comportato l’aggiudicazione in favore del Consorzio appellante, risultato secondo classificato in graduatoria.
Dopodiché, in applicazione della giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte di Giustizia, III, 30.9.2010, causa C-314/09), che considera la tutela per equivalente come un succedaneo di quella specifica, in quanto tale sottoposta alle medesime condizioni, non occorre che il Consorzio attore dimostri, e neppure alleghi, la colpa della stazione appaltante.
Quanto alla misura del danno, si distingue in astratto tra danno emergente (spese e costi di partecipazione alla gara) e lucro cessante (mancato utile).
In ordine al primo, il Collegio condivide l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui tale voce andrebbe risarcita solamente in caso di illegittima esclusione, e non anche quando - come nella presente fattispecie - ci si duole della mancata aggiudicazione (v., tra le tante, Cons. St., V, 13.6.2008, n. 2967 e 6 aprile 2009, n. 2143); ciò sulla duplice considerazione che nella liquidazione del lucro cessante “è già ricompresa la remunerazione del capitale impiegato per la partecipazione alla gara”, e che “del resto l’impresa che risulti vincitrice di una gara ed esegua il contratto, non potrebbe mai ottenere, ex se, il rimborso dei costi sostenuti per la partecipazione alla gara”.
Quanto al lucro cessante, si va affermando negli ultimi tempi un indirizzo più aderente al canone generale di cui all’art. 2697 c.c., coerentemente con quanto prescritto dall’art. 124 co. 1 c.p.a. (“danno per equivalente, subito e provato), che richiede la prova, a carico dell'impresa ricorrente, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell'appalto, prova desumibile in via principale dall'esibizione dell'offerta economica presentata al seggio di gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 febbraio 2009, n. 842 e 17 ottobre 2008, n. 5098; Tar Lombardia, Milano, sez. I, 11 febbraio 2009, n. 1243; Cons. Stato, sez. V, 5 aprile 2005, n. 1563).
Da ultimo si va affermando la convinzione che vada risarcito anche il danno curriculare. Sul presupposto che il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico (anche a prescindere dal lucro che l'impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante), possa essere comunque fonte di un vantaggio economicamente valutabile, perché accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti (Cons. St., sez. V, 2 febbraio 2008, n. 491), si ammette che l'impresa illegittimamente privata dell'esecuzione di un appalto possa rivendicare anche la perdita della possibilità di arricchire il proprio curriculum professionale.
Facendo applicazione di tali criteri generali al caso di specie, reputa il Collegio che:
1) nulla possa essere liquidato per le spese sostenute per la presentazione dell’offerta;
2) il lucro cessante debba essere liquidato assumendo come riferimento, anziché il 10% della base d’asta ribassata, l’utile di impresa indicato e quantificato nell’offerta economica e nelle giustificazioni presentate in sede di gara (v. doc. 14), che è pari ad euro 16.235,25 al mese, da moltiplicare per dodici mesi corrispondenti alla durata annuale del contratto, tenuto anche conto che tale dato non è stato minimamente contestato dalla stazione appaltante;
3) il danno curriculare possa essere riconosciuto e liquidato, in via equitativa, in una misura che appare congruo stabilire nel 5% di quanto liquidato per il danno economico al punto precedente.
Trattandosi di debito di valore, l’importo capitale così calcolato andrà rivalutato a far data dal giorno della stipulazione del contratto, da parte del RTI Controinteressata, sino alla pubblicazione della presente sentenza, applicando l’indice Istat.
Dopo la pubblicazione della sentenza il debito si trasformerà in debito di valuta e saranno dovuti gli interessi legali dalla data del deposito sino all’effettivo pagamento.
Si osserva infine, incidentalmente, al cospetto di una domanda risarcitoria proposta in questa sede unicamente nei confronti della Stazione appaltante, come il fatto dannoso sia imputabile anche, in una certa misura, al RTI Controinteressata che quindi, in teoria, potrebbe essere chiamato a risponderne ai sensi dell’art. 2055 (v. Cons. St., sez. VI, 13 gennaio 2012, n. 115 e 15 ottobre 2012, n. 5279)
a cura di Sonia Lazzini
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