martedì 9 ottobre 2012

criteri giudizio devono essere precisati dal bando e conosciuti prima della presentazione offerte

Com’è noto, il testo originario dell’art. 83, comma 4, del codice degli appalti prescriveva che la commissione formulasse i propri criteri motivazionali prima dell’apertura delle buste contenenti l’offerta; e si discuteva se si trattasse di un adempimento dovuto in ogni caso.

Successivamente, questa disposizione è stata eliminata, nell’intento di ribadire il concetto che i criteri di giudizio debbono essere precisati dal bando e conosciuti dai concorrenti prima ancora della presentazione delle offerte.

In questo contesto si può ritenere comunemente condiviso che il bando non può demandare o delegare (esplicitamente o tacitamente) alla commissione la formulazione dei criteri di giudizio e se lo facesse sarebbe illegittimo; in ogni caso, la formulazione dei criteri da parte della commissione non sopperisce alla mancanza o incompletezza della relativa indicazione del bando.

Una cosa però è dire questo, e altro sarebbe dire che sia vietato alla commissione (pena l’annullabilità della gara) esternare i propri criteri di valutazione, pur quando il bando, sotto questo profilo, sia esente da vizi (come nella vicenda presente).

Si è visto che l’indicazione dei criteri contenuta nel bando non può essere (e comunque può non essere) tanto minuziosa da esaurire ogni margine di discrezionalità, tanto da rendere vincolata l’attività della commissione.Peraltro, se la commissione dispone di margini di discrezionalità nella valutazione delle offerte (pur nell’ambito dei criteri dettati dal bando), ciò comporta che può adottare atti di autolimitazione della discrezionalità. Ed invero, dove vi è un potere discrezionale (e non importa che i suoi margini siano più o meno ristretti) vi è anche, inevitabilmente, lo spazio per atti di autolimitazione della discrezionalità.

Anzi, in un certo senso un momento di autolimitazione è sempre presente nella fase iniziale dell’esercizio della discrezionalità (quanto meno, se la discrezionalità non degenera in arbitrio). Semmai, la distinzione è fra i casi nei quali l’atto di autolimitazione viene formalizzato ed esternato, e quelli nei quali viene mantenuto in pectore per essere poi applicato di fatto.

Anche nella vicenda in esame, in effetti, la commissione di gara, invece di adottare i propri subcriteri con atto formale e verbalizzato, avrebbe potuto applicarli tacitamente e di fatto: se così fosse avvenuto, non sarebbe stato ipotizzabile alcun vizio di procedura.

Ma se questo è vero, ci si chiede come possa risolversi in vizio invalidante la circostanza che quell’atto di autolimitazione, invece che rimanere serbato in pectore, sia stato reso di pubblica ragione. La formalizzazione giova alla trasparenza e alla sindacabilità delle valutazioni conclusive.

Resta vero tuttavia che l’atto di autolimitazione della discrezionalità è, esso stesso, un atto di esercizio della discrezionalità e come tale è sindacabile sotto il profilo dell’eccesso di potere.

Perciò, quante volte una commissione di gara (senza esservi tenuta, e senza che il bando lo richieda) procede ad esternare i propri criteri (o subcriteri) di giudizio, sarà possibile censurarli come illogici, incoerenti, incongrui e via dicendo; soprattutto essi risulteranno viziati (e vizianti) qualora producano l’effetto di alterare e squilibrare l’impianto dei criteri dettati dal bando. Q


uest’ultimo profilo è di particolare importanza in relazione all’esigenza, già ricordata, che i concorrenti, prima ancora di presentare le offerte, abbiano contezza dei criteri con cui saranno giudicati; ma che l’atto della commissione sia viziato per questa ragione deve essere dimostrato in concreto e non può essere presunto a priori.


a cura di Sonia Lazzini

decisione numero 5111 del 27 settembre  2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

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