L'interesse alla vittoria di un appalto, nella vita di un operatore economico, va oltre l'interesse all'esecuzione dell'opera in sé e ai relativi ricavi diretti.
Sul quantum debeatur, l’amministrazione resistente contesta il meccanismo presuntivo seguito dal ricorrente nella domanda risarcitoria, fondato sul criterio del 10% del prezzo a base d’asta, per il lucro cessante, del 5% per il danno emergente, sostenendo, al contrario, che l’impresa debba provare l’utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto e, comunque, osserva che il principio dell’utile effettivo comporta la decurtazione dalla base d’asta del ribasso offerto dall’impresa e pari- nella fattispecie- al 24,21.
Il rilievo mosso dall’amministrazione resistente è fondato. La giurisprudenza dominante considera superata l’applicazione automatica presuntiva del criterio del 10%, che contrasta con il principio generale secondo cui il danno (emergente e lucro cessante) deve essere allegato e provato.
Il Consiglio di Stato, di recente, ha affermato che, per la quantificazione del danno subito da chi sia stato illegittimamente pretermesso nell’aggiudicazione di una gara pubblica, è necessario che l'impresa fornisca la prova rigorosa della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell'appalto, con riferimento all'offerta economica presentata al seggio di gara. Tale orientamento è stato poi confermato, sul piano legislativo, dall'espressa previsione contenuta nell'art. 124 del codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010), secondo il quale, se il giudice non dichiara l'inefficacia del contratto, dispone il risarcimento del danno per equivalente subito, a condizione tuttavia che lo stesso sia "provato" (Cons. Stato Sez. III, 22-02-2012, n. 968; Cons. Stato Sez. III, 12-05-2011, n. 2850).
In effetti, il criterio del 10%, pur evocato come criterio residuale in una logica equitativa, conduce di regola al risultato che il risarcimento dei danni è per l'imprenditore ben più favorevole dell'impiego del capitale.
Giova considerare, infatti, che a seguito del risarcimento, il danneggiato potrebbe trovarsi in una situazione addirittura migliore rispetto a quella in cui si sarebbe trovata in assenza dell'illecito, per cui va detratto dall'importo dovuto a titolo risarcitorio quanto da lui percepito grazie allo svolgimento di diverse attività lucrative, nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l'appalto in contestazione.
Come precisato dal Consiglio di Stato l'onere di provare (l'assenza del) l'aliunde perceptum grava non sull'Amministrazione, ma sull'impresa (Cons. Stato sez. VI 18 marzo 2011 n. 1681).
Tale ripartizione dell'onere probatorio muove dalla presunzione, a sua volta fondata sull'id quod plerumque accidit, secondo cui l'imprenditore (specie se in forma societaria) -in quanto soggetto che esercita professionalmente un’attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili - normalmente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative dalla cui esecuzione trae utili.
Il Collegio, quindi, in assenza di prova dell’utile effettivo, nonché, in assenza di prova contraria rispetto alla presunzione di aliunde perceptum, in linea con parte della giurisprudenza ( T.A.R. Lazio- Roma sez. III 30 giugno 2011 n. 5767; TA.R. Catania Sicilia sez. III 03 marzo 2011), ritiene equo individuare l'importo del risarcimento dovuto in suo favore nella misura forfettaria del 5% dell’offerta economica effettiva.
Considerato che l’importo dell’offerta presentata dalla impresa ricorrente risulta pari ad € 258.338,67, la somma da liquidarsi a titolo di lucro cessante,per mancata percezione dell'utile, è pari ad € 12.916,93
Passaggio tratto dalla sentenza numero 767 del 19 luglio 2012 pronunciata dal calabria, catanzaro
Con riferimento al danno curriculare giova considerare che tale voce di danno, come chiarito dal Consiglio di Stato, si correla necessariamente alla qualità di impresa operante nel settore degli appalti pubblici e, più in particolare, al fatto stesso di eseguire uno di questi tipi di contratto, a prescindere dal lucro che l'impresa stessa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante. Questa qualità imprenditoriale può ben essere fonte per l'impresa di un vantaggio economicamente valutabile, perché accresce la capacità di competere sul mercato e, quindi, la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti.
L'interesse alla vittoria di un appalto, nella vita di un operatore economico, va oltre l'interesse all'esecuzione dell'opera in sé e ai relativi ricavi diretti.
Alla mancata esecuzione di un'opera pubblica illegittimamente appaltata si ricollegano, infatti, indiretti nocumenti all'immagine della società, al suo radicamento nel mercato, all'ampliamento della qualità industriale o commerciale dell'azienda, al suo avviamento, per non dire, poi, della lesione al più generale interesse pubblico al rispetto della concorrenza, in conseguenza dell'indebito potenziamento di imprese concorrenti che operino sul medesimo target di mercato, in modo illegittimo, dichiarate aggiudicatarie della gara.
In linea di massima, pertanto, deve ammettersi che l'impresa ingiustamente privata dell'esecuzione di un appalto possa rivendicare, a titolo di lucro cessante, anche la perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale, da intendersi anche come immagine e prestigio professionale, al di là dell'incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare ( Cons. Stato, sez. VI 18 marzo 2011 n. 1681; sez. VI, 11 gennaio 2010 , n. 20 ; sez. VI, 21 maggio 2009 , n. 3144; sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751 ; sez. IV, 6 giugno 2008 , n. 2680 ; sez. V, 23 luglio 2009 , n. 4594 ; sez. V, 12 febbraio 2008, n. 491; sez. IV, 29 luglio 2008 , n. 3723 ; Cass., 4 giugno 2007, n. 12929 ).
Esa va quantificato nella misura, ritenuta equa, del 3% della somma da corrispondere per risarcimento da mancata percezione dell'utile ( in tal senso Cons. Stato sez. V 3 maggio 2012 n. 2546).
Su dette somme, trattandosi di debiti di valore, spetta la rivalutazione monetaria a decorrere dal momento della concretizzazione del danno, individuato alla data di mancata aggiudicazione dell'appalto, sino alla pubblicazione della predetta sentenza; a decorrere da tale momento, in conseguenza della liquidazione giudiziale che trasforma il debito di valore in debito di valuta, spettano gli interessi legali fino al soddisfo.
Quanto, invece, al risarcimento del danno emergente, il Collegio condivide la tesi, diffusamente seguita in giurisprudenza, in forza della quale i costi sostenuti per la partecipazione alla gara non sono risarcibili in favore dell'impresa che lamenti la mancata aggiudicazione dell'appalto (o anche solo la perdita della chance di aggiudicarselo).
Giova, al riguardo, osservare che la partecipazione alle gare di appalto comporta per le imprese dei costi che, ordinariamente, restano a carico delle imprese medesime, sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione.
Detti costi di partecipazione, come il Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare (Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751; n. 4435/2002), si colorano come danno emergente solo qualora l'impresa subisca una illegittima esclusione, perché in tal caso viene in considerazione la pretesa del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili. Essi, peraltro, vanno, in via prioritaria e preferenziale, ristorati in forma specifica, mediante rinnovo delle operazioni di gara e solo ove tale rinnovo non sia possibile, vanno ristorati per equivalente.
Per converso, nel caso in cui l'impresa ottenga il risarcimento del danno per mancata aggiudicazione (o per la perdita della possibilità di aggiudicazione), come nel caso di specie, non vi sono i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all'impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall'aggiudicazione (Cons. Stato sez. VI 18 marzo 2011 n. 1681; Cons. Stato sez. VI 9 giugno 2008 n. 2751).
Il Comune di Bonifati va perciò condannato al pagamento del risarcimento del danno in favore della società ricorrente nella misura e secondo le modalità indicate.
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