Nel caso di specie, si sono realizzati la condotta dell'Amministrazione e il nesso causale diretto tra la violazione degli obblighi di correttezza incombenti sulla stazione appaltante e il danno subito dal soggetto leso.
L’ illegittima aggiudicazione ad altra ditta ha, infatti, comportato la mancata aggiudicazione alla ricorrente con conseguente verificarsi del danno, consistito appunto nella mancata aggiudicazione.
E’ poi evidente la colpa della stazione appaltante derivante dalla circostanza che era agevolmente rilevabile il difetto dei requisiti idonei allo svolgimento del servizio da parte della ditta aggiudicataria.
Sull'entità del risarcimento va osservato che il criterio di liquidazione (del 10% della somma indicata nell’offerta) invocato dalla ricorrente viene desunto da disposizioni in tema di lavori pubblici che riguardano, però, altri istituti, come l'indennizzo dell'appaltatore nel caso di recesso dell'Amministrazione committente, o la determinazione del prezzo a base d'asta.
La tecnica di quantificazione del danno in discorso, pur se frequentemente impiegata, è stata messa profondamente in discussione dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. IV, n. 6485 del 2010; Sez. V, n. 2967 del 2008; Sez. VI, n. 3144 del 2009; n. 8646 del 2010).
È stato osservato (anche da questa Sezione) che il relativo criterio non può essere oggetto di applicazione automatica. Viceversa, deve esigersi la prova rigorosa, a carico dell'impresa, della percentuale di utile effettivo che essa avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell'appalto (Cons. Stato, V, 6 aprile 2009, n. 2143; 17 ottobre 2008, n. 5098; 5 aprile 2005, n. 1563; Sez. VI, 4 aprile 2003, n. 478, Tar Sardegna, Sezione I, 8 ottobre 2009 n. 1498).
A conforto di tale orientamento può oggi essere senz’altro richiamata l’espressa previsione contenuta nell'art. 124 del Codice del processo amministrativo, a tenore del quale "se il giudice non dichiara l'inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per equivalente subìto", a condizione, tuttavia, che lo stesso sia stato "provato".
Sempre secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di annullamento dell'aggiudicazione e di certezza dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se questi dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista dell'aggiudicazione. In difetto di tale dimostrazione (che compete dunque al concorrente fornire), è da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi: da qui la decurtazione del risarcimento di una misura a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum.
Sempre il Supremo consesso giurisdizionale amministrativo ha avuto di recente modo di ricordare che “non va dimenticato, infatti, che, ai sensi dell'art. 1227 c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno. Nelle gare di appalto l'impresa non aggiudicataria, ancorché proponga un ricorso e possa ragionevolmente confidare di riuscire vittoriosa, non può mai nutrire la matematica certezza che le verrà aggiudicato il contratto, atteso che sono molteplici le possibili sopravvenienze ostative. Pertanto, non costituisce normalmente condotta diligente quella di immobilizzare tutti i mezzi d’impresa nelle more del giudizio nell'attesa dell'aggiudicazione in proprio favore, essendo invece ben più razionale che l'impresa si attivi per svolgere nelle more altre attività, procurandosi prestazioni contrattuali alternative dalla quali trarre utili.
Da qui la piena ragionevolezza di una detrazione dal risarcimento del mancato utile, affermata dalla giurisprudenza (in particolare, nella misura del 50%), sia dell'aliunde perceptum, sia dell' aliunde percipiendum con l'originaria diligenza (Consiglio di Stato, sez. v - sentenza 20 aprile 2012 n. 2317).
Nel caso qui esaminato dal Collegio la parte danneggiata, al di là della produzione della propria offerta economica (documento 6), non ha fornito alcuna altra prova puntuale.
E’ quindi da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri analoghi lavori (o servizi o forniture), così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità; in tale ipotesi il risarcimento può essere ridotto in via equitativa, in misura pari al 5% dell'offerta dell'impresa (l’offerta era pari a € 38.000).
In ordine al danno curriculare va ricordato che nelle procedure per l'assegnazione di appalti pubblici di servizi l'esistenza di tale danno può essere ritenuta in re ipsa, per il fatto stesso dell'impossibilità di utilizzare le referenze derivanti dall'esecuzione dell'appalto in controversia nell'ambito di futuri procedimenti simili di gara cui la stessa ricorrente potrebbe partecipare, con la conseguenza che un'impresa operante nel settore degli appalti di servizi non può dirsi gravata, al riguardo, da alcuno specifico onere probatorio (Consiglio di Stato sez. V, 03 maggio 2012, n. 2546).
Tale voce va equitativamente determinata nella misura del 3% del valore dell’appalto, come definibile dalla misura dell’offerta (Consiglio di Stato, sez. IV, 7 febbraio 2012 n. 662).
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